capture 548 31032020 181840A tu per tu con lo chef esperto di cucina salutistica e Ambasciatore della Dieta Mediterranea nel mondo, oggi Eccellenza del Made in Italy, comunicatore e divulgatore della variopinta cultura gastronomica del Bel Paese. “Cucinare - dice - è un gesto colmo d’amore e di rispetto”

“Io in cucina mi ci sono materializzato fin da piccolo”: quasi come catapultato da un altro pianeta, Renato Bernardi, 49 anni, veneto doc, romano di adozione, esperto di cucina salutistica, quella vocazione per l’arte culinaria l’ha sentita fin da piccolo, voluta e coltivata da adolescente attraverso un percorso segnato da disciplina e fatica prima ancora che da tanti e indiscussi successi.

Versatile e creativo, un concentrato di pignoleria mantecata con un “pizzico” di egocentrismo, Renato Bernardi è un professionista fuori dagli schemi, tanto schietto e sincero quanto severo e appassionato che della Cucina parla con devozione e gratitudine: “Il mio è un mestiere tanto romantico quanto rigoroso - mi spiega -, per eccellere bisogna essere al top. È un percorso che non ammette scorciatoie per chi vuole essere fiero ambasciatore dell'alta cucina italiana”. 
Proprio come lui, da anni Ambasciatore della Dieta Mediterranea nel mondo, impegnato nella valorizzazione e nella promozione del Made in Italy enogastronomico soprattutto presso le ambasciate italiane all’estero. Ed è proprio al rientro da un viaggio nel Principato di Monaco, dove ha recentemente presentato uno dei suoi libri ‘La Nutriscienza’, che decido di incontrarlo per esplorare insieme qualche aspetto poco conosciuto della sua professione:

Renato Bernardi cuoco ma non troppo, più scrittore che chef: tre libri in due anni ed uno attualmente in fine stesura…

“ La scrittura è una splendida forma di comunicazione e di trasferimento di conoscenza. Nel caso specifico, nei miei libri mi piace affrontare argomenti poco esplorati, come la dieta mediterranea e la salute a tavola, l’innovazione nell’alimentazione con la genomica e la nutriscienza oppure come far mangiare ai bambini cibi rifiutati a priori. Ma sempre, ci tengo a sottolinearlo, in sinergia con esperti di altissimo profilo nel settore della nutrizione”.

 

Ciò che colpisce in questi libri, infatti, oltre alle ricette è la perfetta sintonia tra lo chef e gli esperti dietologi o nutrizionisti:

“E non potrebbe essere diversamente quando si parla di salute a tavola. Gli esperti aiutano e ispirano lo chef a trasporre in salute le squisitezze alimentari derivanti dalle sue capacità artistico-creative, una sinergia di conoscenze professionali che permettono di coniugare nei cibi la necessaria salubrità alla gradevolezza del gusto per realizzare piatti gustosi e allo stesso tempo salutistici”.

Quanto il cibo oggi, secondo lei, è comunicazione?

“Il cibo è una forma potentissima di comunicazione, basti pensare a come la tavola abbatta le barriere sociali e istituzionali mettendoci tutti allo stesso livello, come alimenta il dialogo tra i singoli e tra i popoli, come celebra gli avvenimenti importanti della nostra vita. Il cibo è qualcosa di atavico, che segue la nostra evoluzione, fa parte della nostra cultura, e con le sue tradizioni della nostra storia. Il cibo siamo noi, la nostra capacità di relazionarci con noi stessi e con gli altri”.

Lei ha uno spazio in tv, conduce un programma radiofonico ed è ora allo studio un format per il web: secondo lei il mercato dei mezzi di comunicazione non è già saturo di cibo?

“In parte sì in parte no. Mi spiego, certamente le persone sono esposte a centinaia di contenuti su tutti i mezzi di comunicazione. D’altra parte, però, questi stessi mezzi oggi  offrono una possibilità a quanti fanno divulgazione di arrivare in modo veloce ad un pubblico differenziato, veicolando concetti ma utilizzando linguaggi e modi di comunicare diversi. Se si è coerenti con la linea scelta io la vedo come un’opportunità”.

Chef di cucina perché? Come ha iniziato?

“Ho iniziato a 13 anni con le primissime esperienze di cameriere ancora prima di iniziare la scuola alberghiera. Ma era da piccolo che dicevo che volevo fare il cuoco e così è stato: nella cucina mi sento a mio agio”.

Essere un “chef” per lei vuol dire…?

“Non rovinare quello che Madre Natura ci mette a diposizione ogni giorno”.

“Cucinare” per lei è…?

“Amare! Dare da mangiare alle persone che ami è un gesto colmo d’amore e di premura. Noi cuochi viviamo la cucina come un grandissimo privilegio che ci consente di lavorare con rispetto a partire dai produttori e dalla materia prima, che nelle nostre mani diventa creatività e gusto, fino chi la degusterà con lo stupore negli occhi”.

E così che si compie il miracolo della consapevolezza verso un cibo sano?

“Direi che la consapevolezza avviene “anche” attraverso la soddisfazione del palato per il gusto di alimenti salutari, stagionali e sostenibili. La grande attività di conoscenza, informazione e divulgazione di cui parlavamo prima fa in resto nel processo di sensibilizzazione”.

Si sente spesso dire “Puntare al massimo”, io aggiungo “senza”…?

“Senza perdere di vista il fine ultimo dell’autentica ristorazione italiana: regalare un intenso piacere a chi ne fa esperienza. Una sfida che può vincere solo chi pensa alla Cucina come domanda, “Voglio fare davvero il cuoco?” E non come alla risposta, perché quest’ultima è il percorso per restare, viverla e farne una professione”.  

È questo l’insegnamento che trasferisce a tanti ragazzi che incontra negli istituti alberghieri in giro per l’Italia?

“Da adolescente come molti di loro, già lavoravo nei locali e nei ristoranti di Roma e dintorni per mettere in pratica le nozioni apprese all’Istituto Alberghiero e negli stage di alta cucina in Italia e all’estero al fianco di importanti maestri di cucina. Ai giovani oggi dico amate profondamente il vostro lavoro in cucina, abbiate sempre l’umile curiosità per vivere di continue scoperte e il coraggio di osare perché è incontenibile in voi il desiderio di creare memoria attraverso il cibo”.

di Francesca Nanni 

foto di Marco Banci