capture 283 29042020 122437Nessuna ripresa delle funzioni nella Fase 2: l'annuncio del premier scatena la contestazione che circolava già da giorni nei gruppi di parrocchie, movimenti e oratori

ROMA - La diga è crollata appena si è concluso il messaggio in diretta del premier Giuseppe Conte sulla Fase 2 dell'emergenza coronavirus. L'onda di malcontento che da giorni si agitava nello stagno del lockdown è diventata incontenibile e ha travolto i canali social del mondo cattolico: ci si aspettava una ripresa - anche parziale - delle funzioni religiose, migliaia di parrocchie stavano già attrezzando spazi esterni e banchi distanziati. E nel frattempo l'ala moderata rintuzzava le esuberanze che già contestavano a gran voce lamentando violazioni della libertà di culto. Ma le scarne parole con le quali il presidente del Consiglio ha rinviato ogni decisione sui riti sacri che non siano funerali ha scatenato lo tsunami."Chiesa" è entrata con prepotenza tra le tendenze Twitter, Google ha registrato alle 20 e 40 un picco vertiginoso di ricerche sulla sigla Cei: era l'assalto al motore di ricerca per verificare se la Conferenza episcopale aveva reagito alle parole del premier. E una seconda impennata di ricerche si registra due ore dopo, quando in effetti ha cominciato a circolare il testo redatto dalla presidenza dei vescovi italiani per contestare che "nel momento in cui vengano ridotte le limitazioni assunte per far fronte alla pandemia, la Chiesa esige di poter riprendere la sua azione pastorale".

 

Ma i canali nei quali l'indignazione cattolica scorre più rapidamente si chiamano Telegram e Whatsapp. Sono le migliaia di chat di gruppi parrocchiali, movimenti, oratori. Parte subito un assalto ai parroci, tempestati di domande: c'è chi prova ancora, con imbarazzo, a predicare la calma, ma adesso la maggioranza dei sacerdoti è infuriata. Il parallelo più ricorrente, nelle parole digitate sugli smartphone, evoca i ristoranti, a costo di sembrare dissacranti: "Dal 4 maggio per loro è autorizzato l'asporto e dal primo giugno la riapertura: possibile che a noi venga proibito di distribuire la comunione e impedito di pianificare una messa in chiesa con capienza ridotta o addirittura all'aperto?"

Passa poco e arriva il tweet di Giorgio Meloni: "Non si possono calpestare i diritti costituzionali a colpi di Dpcm. Il vaso è colmo". Il riferimento alla Costituzione non è casuale: è un'altra delle parole chiave evocate da giorni per contestare lo stop alle funzioni. Le altre sono "offesa", "protesta". Il post che condivide il comunicato stampa dei vescovi sulla pagina Facebook della Conferenza episcopale italiana registra livelli di condivisione mai visti nella storia - peraltro recente - del canale: in dodici ore oltre quattromila condivisioni e duemila commenti. "È una cosa incredibile. Si può andare nei musei e non a messa, rispettando tutte le norme". Oppure: "Bene, alla luce di questo, celebriamo nel rispetto della legge come previsto x supermercati palestre".

C'è qualcuno che prova a stemperare: "Il Vangelo, cari vescovi, ci insegna ad impuntarci per la celebrazione della messa con il popolo?". Ma sono voci sommerse da quelle che invocano una presa di posizione ancora più forte. Le stesse voci che, nei giorni scorsi, accusavano la Cei e contestavano il Papa per aver "permesso al governo di calpestare la sacralità". Una posizione dilagata nelle chat insieme al video del sacerdote di Soncino, in provincia di Cremona, interrotto durante la messa e multato: quelle immagini sono diventate ora un simbolo della protesta social.

di ANDREA GUALTIERI per www.repubblica.it