Il premier brasiliano nel mirino degli ambientalisti per l'eccesso di deforestazione. Persi in un anno 26 mila chilometri quadrat

RIO DE JANEIRO - Uno smacco per il governo Lula, una pessima notizia per il Brasile e l’umanità. Il ritmo di distruzione della foresta amazzonica ha ripreso a crescere in maniera allarmante, nonostante gli impegni, le promesse e i segnali di rallentamento di qualche anno fa.
Un'immagine aerea della deforestazione in Amazzonia (Reuters)
Secondo i dati diffusi dal governo brasiliano, raccolti grazie a moderne tecnologie satellitari, la più grande foresta della Terra ha perduto in un anno altri 26.130 chilometri quadrati, una superficie di poco superiore all’intera Sicilia. La crescita è di oltre il 6 per cento. E’ il peggior risultato dell’ultimo decennio e segnala una tendenza che spiazza il governo brasiliano, ma non le organizzazioni ambientaliste, che da tempo gridano contro l’anarchia provocata dallo sviluppo dell’agricoltura intensiva. La foresta primaria, difatti, muore sotto l’attacco delle motoseghe e del fuoco, con l’obiettivo principale di creare grandi spazi per la coltivazione di cereali e soprattutto di soia. Marina Silva, il ministro dell’Ambiente che per anni, dall’opposizione, è stato il simbolo della tutela della foresta, ammette il disastro, ma assicura che nei prossimi anni la tendenza cambierà. «Sono dati ingiustificabili, ma bisogna tener conto che si riferiscono ad un anno dove la crescita economica è stata del 5 per cento», dice la Silva, conosciuta nel mondo come l’erede di Chico Mendes. Argomento ripreso da Greenpeace, che parla però di «contraddizione fondamentale» nell’azione del governo Lula: «Non è possibile voler contenere la deforestazione e allo stesso tempo promuovere con ogni maniera la crescita accelerata dell’agrobusiness, per aumentare le esportazioni e pagare il debito estero».
La soia, è l'imputata numero uno. Un legume che sta vivendo un boom senza precedenti, richiesto in Occidente come in Cina, dove la produzione nazionale è insufficiente e bisogna far affidamento sempre di più sulle navi container in arrivo dal Brasile e dall’Argentina. Oggi la regione centrale del Brasile è l’area con la maggiore produttività al mondo. Il clima caldo, le piogge costanti e il terreno piatto e regolare che resta dopo i grandi incendi hanno fatto il miracolo. Entro due anni, si dice, il Brasile supererà gli Stati Uniti come maggior produttore mondiale. Come esportatore l’ha già fatto. Ma anche i cereali (due raccolti l’anno) e i pascoli per l’allevamento incidono parecchio. Il colossale avanzo della bilancia commerciale brasiliana porta insomma un solo nome: Amazzonia.
Wwf e Greenpeace puntano il dito sul governo. Il nuovo piano di lotta agli incendi non funziona - dicono - perché si basa su un’azione interministeriale dove gli interessi sono divergenti.
I ministeri economici tirano l’acqua al mulino degli imprenditori, quello dell’Ambiente non ha risorse. Greenpeace porta l’esempio più eclatante. Metà degli oltre 26.000 chilometri quadrati spariti in dodici mesi si trovano in un solo Stato, il Mato Grosso, un tempo sinonimo dell’impenetrabilità della giungla. Qui si concentrano i grandi produttori di soia e il principale è Blairo Maggi, un imprenditore di lontane origini italiane che è anche governatore dello Stato. Maggi nega il conflitto di interessi, ma allo stesso tempo mantiene il suo programma. Per lui lo sviluppo sostenibile dell’Amazzonia è una leggenda e lo spazio per l’agricoltura deve crescere. L’anno scorso, in una intervista al Corriere , Maggi disse: «Il futuro dell’Amazzonia è un grande parco naturale, intoccabile, delle dimensioni pari alla metà di quelle attuali».
Il presidente brasiliano Ignacio Lula da Silva con Naomi Campbell durante una campagna per la promozione delle bellezze del Brasile (Afp)
Da anni i governi brasiliani cercano rimedi, attraverso le tecnologie (monitoramento via satellite) e le multe. Ma buona parte della regione amazzonica è un Far West senza legge, come dimostra il recente omicidio di suor Dorothy, la missionaria americana uccisa nel Parà perché si opponeva ai fazendeiros e ai predatori di terre pubbliche. La foresta muore ai lati delle strade di terra battuta, costruite illegalmente su terreni pubblici o privatizzati grazie a carte fasulle. Marina Silva, che in questi anni è stata più volte sul punto di dimettersi, assicura oggi che le ricadute del piano del governo inizieranno a farsi sentire con la prossima rilevazione, tra un anno. Un altro ministro, Ciro Gomes, rileva il fatto che le immagini satellitari sono aumentate di precisione, il che può avere inciso sui numeri.
Resta il dato più drammatico. Da quando l’uomo ha iniziato l’attacco all’Amazzonia sono spariti 680.000 chilometri quadrati, Francia e Portogallo messi insieme. Della foresta pluviale originaria resta circa l’82 per cento. Per qualcuno è ancora troppo.
 
 
 
 
 
 
di Rocco Cotroneo per https://www.corriere.it