capture 148 21052020 180207Più che di fase 2 bis, da oggi sarebbe il caso di parlare di fase Post. Post comeil dopo di una guerra, post come un messaggio virale di speranza da pubblicare online. Ma P.O.S.T. anche come il protocollo messo a punto dal professor Alberto Zangrillo, primario di Terapia intensivagenerale e cardiovascolare del San Raffaele di Milano. Un acronimo per avviare la ripartenza, oltrechécon la giusta cautela, anche con buon senso e spirito costruttivo. Senza più forme di terrorismo psicologico.

Professor Zangrillo, il Paese è già pronto per la fase 3, cioè per una totale riapertura del sistema produttivo e una ripresa vera della
socialità? 

«Il paese deve essere pronto per la fase 3. L'osservazione clinica sta producendo tutti glielementi utili non per fare la scelta coraggiosa, ma quella razionale che avvia la fase della ripresa.Il protocollo è la base scientifica di una corretta ripartenza. Finora abbiamo vissuto di proiezioni statistiche, epidemiologiche, matematiche, ma non di dati clinici. Chi ha conosciuto il virus sul territorio e soprattutto in ospedale non ha avuto la possibilità di essere ascoltato dal Comitatotecnico-scientifico».
 

 

La prima lettera del POST è la P di "prudenza". A suo giudizio bisognerebbe essere più prudenti per tutelare gli over 65? 
«Le indicazioni del governo riguardano tutti allo stesso modo. Ma, sulla base di un lavoro svolto su più di 4500 pazienti, siamo giunti alla conclusione che esiste una categoria ben precisa di cittadini che possono sviluppare la forma più grave dell'infezionevirale. È nei loro confronti che dobbiamo esercitare prudenza, ossia le stesse norme di buon senso che finora hanno saputo manifestare gli italiani. Per capirci: impedire la socializzazione dei ragazzi è uncontrosenso, se poi non si controlla il giovane adulto di 18-20 anni che va a trovare il nonno. Allostesso modo: che senso ha distanziare di due metri il nucleo familiare che va al ristorante, se poi quel nucleo è abituato a condividere gli stessi spazi a casa nella sala da pranzo?».
 

"O" di Organizzazione, "S" di Sorveglianza e "T" di Tempestività. Me le spiega? 
«Si tratta di organizzare un sistema triangolare in cui l'istituzione ospedaliera, la sanitàregionale e il medico di medicina generale sono in collegamento per sorvegliare i soggetti a rischio. E questo al fine di agire con tempestività. La cura tempestiva a domicilio, se adottata correttamente,è una cura efficace. Anche la tempestività della cura ospedaliera produce effetti positivi che nonpossiamo raggiungere se il paziente viene portato in ospedale troppo tardi».
 

Le altre misure volute dal governo sono efficaci? Penso a distanziamento e mascherine. 
«Più che del governo, è una competenza del Comitato tecnico-scientifico. E comunque non c'è alcuna evidenza scientifica per cui dobbiamo stare distanti, tanto più se questa misura è basata sulla logica del centimetro. E poi: sette metri quadrati a testa in piscina? Su quale base? Quanto alla mascherina, finché non avremo certezza che i principi suddetti, la protezione degli anziani e il buon senso, vengono applicati, resta una tutela generica. Del resto sulle mascherine si è creata una dialettica che ha rasentato il ridicolo: siamo passati dall'esasperata ricerca della mascherina che rispondesse ai criteri più rigorosi al proporre quella fatta in casa. Eppure il cittadino italiano ha mediamente dimostrato di essere responsabile e disposto a ogni sacrificio. Bisogna parlargli come a un adulto; non come a un bambino che non possiede tutti gli strumenti dellacomprensione».
 

L'app Immuni servirà a qualcosa? 
«Non sono appassionato al tema, ma credo che abbia l'aspettativa di vita di una farfalla».
 

Idati clinici invece cosa ci dicono? 
«Noi stiamo producendo una serie di ricerche cliniche. Esse prevedono l'arruolamento di pazienticontagiati in forma grave, non necessariamente in terapia intensiva. Ma questi pazienti fortunatamentenon li troviamo più al San Raffaele almeno da un mese. Questo non vuol dire necessariamente che il virus sia mutato, ma potrebbe essere mutata l'interazione tra il virus e l'uomo. Se prima il virusdava un certo impatto sui recettori dell'albero respiratorio, scatenando una forte reazione infiammatoria, ora questo non lo osserviamo più. Insomma, ci stiamo abituando a convivere con il virus. Ed è tutto da dimostrare che in autunno il virus tornerà minaccioso. Anche se fosse, non citroveremmo impreparati, perché ora conosciamo molto più del virus e molto di più delle cure e siamo molto più attrezzati a livello territoriale e ospedaliero».
 

Per qualsiasi evenienza, è giusto aumentare il numero dei posti di terapia intensiva? 
«No, ritengo assolutamente fuori luogo pensare di risolvere il problema investendo su un raddoppiamento delle terapie
intensive. Innanzitutto la terapia intensiva non è solo una struttura sanitaria, ma soprattutto un gruppo di lavoro. Per pensare di
raddoppiare le terapie intensive bisogna pensare a chi ci va a lavorare. Civuole un gruppo di lavoro molto competente e addestrato e anche molto affiatato. Non è comeraddoppiare i supermercati, i barbieri o le piscine. In secondo luogo, gli eventuali nuovi posti di terapia intensiva dovrebbero essere creati vicino alla struttura ospedaliera cui fanno riferimento, econ lo stesso gruppo di lavoro che opera nelle terapia intensive dell'ospedale. Ma soprattutto leterapie intensive, che erano il primo problema nella fase 1, adesso devono diventare l'opzione estrema. Dobbiamo fortificare piuttosto la medicina del territorio e la collaborazione tra medico di base e ospedale». 
 

Parlando di terapie, so che al San Raffaele state sperimentando con successo un farmaco control'artrite reumatoide. 
«In tutta Italia ci sono sperimentazioni cliniche importanti. Noi, in collaborazione con altri centridi ricerca, stiamo avendo evidenze di rilievo nel campo degli antinfiammatori, degli antivirali e deifarmaci immuno-modulanti. Ma ricordiamolo: al momento la cura specifica anti-Covid non esiste».
 

E che mi dice del plasma iperimmune? 
«È un'opzione terapeutica che deve assolutamente essere sperimentata per vedere se è ingrado di produrre delle evidenze nella cura del malato. Se è così, è la benvenuta. Il tanto clamoreintorno al plasma forse nasce dal fatto che se ne è parlato in termini troppo entusiastici primaancora dell'ottenimento di un risultato. Ma siamo lontani dal dimostrare che è una cura specifica».
 

A suo giudizio arriverà prima il farmaco anti-Covid o il vaccino? O magari il virus si estingueràprima di entrambi? 
«Se dovessi fare una scommessa, punterei una fiche su quest' ultima opzione».

di Gianluca Veneziani per www.liberoquotidiano.it