capture 081 07082020 115855Alida Valli, forte della sua strepitosa fotogenia, attraversa il primo tempo della carriera come in trance nel sogno a occhi aperti di un divismo a portata di mano, casalingo e autarchico, apparendo in una trentina di titoli che accompagnano il cinema di regime dalla nascita di Cinecittà ai tempestosi anni di guerra.

Sul set fin da giovanissima – nata a Pola il 31 maggio 1921, muore il 22 aprile 2006 a Roma – nel cambiare dei ruoli resta sempre la ragazza borghese in bilico tra integrazione e rifiuto, ingenuità e malizia, a cui è difficile attribuire un passato. Soltanto Mario Soldati in Piccolo mondo antico (1941) riesce a farla diventare personaggio nel ruolo vibrante di Luisa in ansia per il marito e angosciata per la perdita della figlia: un’immagine indimenticabile del cinema italiano in cerca d’identità.

Se nel dopoguerra la trasferta hollywoodiana è deludente, merita una prova d’appello Il caso Paradine (1947), il misconosciuto capolavoro di Alfred Hitchcock che punta tutto sulla bellezza glaciale dell’attrice, sulla sua fascinosa impassibilità nello spettacolo voyeuristico del tribunale, per trasformare il processo nello scontro tra ambiguità e colpi bassi, sospetti e reticenze, in cui l’intricato gioco di coppie si risolve in un’implacabile discesa agli inferi. Barocco e ridondante, Il terzo uomo(1949) di Carol Reed si muove senza illusioni nella Vienna occupata, tra le rovine, i vicoli, le fogne della città, nel labirinto psicologico e sociale di un mondo in stato d’assedio, dove il genio del male Orson Welles si sottrae a una Alida in gran forma.

 

Nessun altro film nella sua lunga carriera è importante come Senso (1954) di Luchino Visconti, in cui sullo sfondo della vicenda risorgimentale vista come rivoluzione tradita si rivela grandissima attrice nella parte della contessa Livia Serpieri, fulcro palpitante del melodramma di dannazione e di morte, scambiato all’epoca per passaggio dal neorealismo al realismo. “Lontana e aristocratica nel palco del teatro La Fenice, maliziosa e regale nel corso della passeggiata notturna, infuocata, seducente, desiderabile nella scena in cui, lisciandosi i lunghi capelli sciolti, divora con gli occhi il giovane ufficiale, lascia germogliare in sé lentamente l’inquietudine che la conduce dalla debolezza alla bassezza” (Freddy Buache). Sfigurata dalla follia, dopo aver denunciato l’amante al comando austriaco, si trascina lungo le mura di Verona invocando il suo nome nel cupo finale che suggella il suo disperato viaggio verso l’abisso.

Nonostante le numerose apparizioni cinematografiche, la sua ultima stagione la vive a teatro, animando intense figure femminili al limite, madri che divorano i figli con il loro amore, mogli cieche che vedono nel cuore degli uomini. Nel corso degli anni, i testi di Pirandello, Ibsen, Osborne, Cocteau, Wedekind, Čechov, O’Neill sanno dare all’attrice versatile, alla donna tenace e indistruttibile, quello che il cinema da tempo non sapeva più offrirle.

di Orio Caldiron per www.bonculture.it