capture 083 03092020 135005Non era la prima volta che il generale Carlo Alberto dalla Chiesa veniva inviato in Sicilia, per ragioni di servizio. Ma purtroppo questa sarà l’ultima.

Vi era già stato, una prima volta nel 1949, al tempo in cui Salvatore Giuliano aveva da poco ucciso, nel corso di un conflitto a fuoco con le forze dell’ordine, il carabiniere Antonio Mancino, facente parte di una pattuglia in servizio anti contrabbando di frumento. Con quel delitto Giuliano assumerà la veste di bandito latitante, re di Montelepre. A quel tempo, dalla Chiesa, era un giovane capitano. Fu posto, a Palermo, alle dipendenze gerarchiche del colonnello Ugo Luca, noto per essere stato a capo del “Comando forze repressione banditismo” in sostituzione dell’Ispettorato generale di Pubblica sicurezza in Sicilia, sino a quel momento retto dall’Ispettore Generale di PS Ciro Verdiani. Questi si toglierà la vita nel 1952 dopo aver deposto al processo di Viterbo. Luca è anche noto quale ispiratore della falsa uccisione, durante una sparatoria con i carabinieri, del bandito Giuliano a Castelvetrano il 5 luglio 1950. In realtà l’uccisione era avvenuta per mano di Gaspare Pisciotta mentre il bandito dormiva in casa dell’avv. De Maria. Per i risultati conseguiti in Sicilia Dalla Chiesa ricevette una medaglia d’argento al valor militare.

Dopo diversi incarichi lungo la Penisola, torna una seconda volta in Sicilia col grado di colonnello, al comando della Legione carabinieri di Palermo. Oltre le indagini d’istituto volte a contrastare la malavita organizzata, nel gennaio 1968 intervenne coi suoi reparti in soccorso delle popolazioni del Belice colpite dal terremoto. Per la personale partecipazione “in prima linea” oltre che una medaglia di bronzo al valor civile gli fu riconosciuta la cittadinanza onoraria di Gibellina e Montevago. Tra il ’66 e il ’73 ebbe occasione di occuparsi, tra l’altro anche della scomparsa del giornalista dell’Ora di Palermo Mauro de Mauro. Era costui un ottimo cronista, con un passato di nazifascista “stranamente” approdato nella redazione del quotidiano del pomeriggio palermitano d’indiscussa ispirazione comunista.

 

Gli anni ’70, si sa, furono caratterizzati dal fenomeno dal terrorismo politico di cui le brigate Rosse erano l’elemento trainante. Col grado di generale di brigata fu trasferito a Torino ove profuse il massimo dell’impegno nella lotta contro l’eversione. Qui, nel 1974 dopo avere selezionato dieci ufficiali dell’arma, dalla Chiesa creò una struttura antiterrorismo, denominata Nucleo Speciale Antiterrorismo. Nel settembre del 1974 il Nucleo in parola riuscì a catturare a PineroloRenato Curcio e Alberto Franceschini, esponenti di spicco e fondatori delle Brigate Rosse, grazie anche alla determinante collaborazione di Silvano Girotto, detto “frate mitra.

CURCIO E FRATE MITRA

Renato Curcio nasce a Monterotondo (Roma) il 23 settembre 1941. Trascorre la sua adolescenza tra Milano e Alberga, ove si diploma all’Istituto Galileo Galilei di Campochiesa. Nel 1962 si trasferisce a Trento e s’iscrive alla storica facoltà di sociologia, conosce Margherita “Mara” Cagol, la quale diventerà sua moglie. Diventa amico di Mauro Rostagno uomo di sinistra, colto e carismatico, che verrà anche soprannominato il “Che” di Trento. Completerà tutti gli esami, poi per scelta politica, deciderà di non laurearsi. Nel 1969 Curcio vive in pieno la contestazione studentesca e partecipa all’ormai famoso Convegno di Chiavari presso l’hotel Stella Maris. E’ proprio in questa occasione che vengono gettate le basi per l’avvio della lotta armata in Italia da cui l’anno successivo nasceranno le Brigate Rosse. La prima operazione violenta cui Curcio parteciperà risale al 17 settembre 1970 insieme alla moglie Mara e ad Alberto Franceschini. L’azione è volta a far saltare in aria il garage di Giuseppe Leoni, dirigente dell’azienda SIT Siemens che con Pirelli e Alfa Romeo rappresenteranno le prime industrie ove il partito armato si insedierà. Nel 1974 è arrestato dagli uomini del generale dalla Chiesa, grazie alla collaborazione di Silvano Girotto, noto anche come Frate Mitra. In quell’occasione in Pinerolo, alle porte di Torino, fu preso anche Alberto Franceschini. Nel febbraio del 1975 Curcio riuscì a evadere dal carcere di Casale Monferrato, grazie a un intervento di un nucleo delle BR, capeggiato dalla stessa moglie, Margherita “Mara” Cagol che morirà successivamente nel corso di un conflitto a fuoco. Curcio sarà nuovamente arrestato all’inizio del 1976.

Nel complesso il brigatista sarà condannato a 30 anni di carcere, ridotti poi a 28 di cui 4 in semilibertà, con l’accusa di concorso morale in omicidio volontario nella morte dei militanti del MSI Giralucci e Mazzola, essendo stato ritenuto il mandante dell’assalto alla sede del Movimento Sociale Italiano di Padova, nonché per costituzione e direzione di associazione sovversivaevasione oltre a partecipazione a banda armata.

Frate Mitra, al secolo Salvano Girotto, alias Padre Leone nasce a Caselle Torinese3 aprile 1939. Può certo vantare un’esistenza avventurosa. Infatti, è ex legionario, ex frate francescano missionario in Bolivia ed ex guerrigliero italiano in Cile. Se sulla sua strada non avesse incontrato il generale Dalla Chiesa, con ogni probabilità la sua notorietà non sarebbe andata oltre gli ambienti francescani e legionari. Invece, lasciatosi convincere dal generale a intrufolarsi negli ambienti terroristici, rese un servizio allo Stato che lo rese noto alle cronache del tempo. Come prevedeva il progetto, ottenne alcuni colloqui direttamente con Curcio a Pinerolo riuscendo a far credere d’essere disponibile ad accettare l’incarico di coordinatore e addestratore di un gruppo terroristico atto alla guerriglia urbana. Ciò grazie alle sue precedenti esperienze in sud America. Come detto, Curcio e Girotto s’incontrarono un paio di volte per saggiare le proprie opinioni e per essere certi della reciproca fiducia. Il primo in assoluto avvenne nella città di Pinerolo, dove si presentò Renato Curcio, capo e fondatore dell’organizzazione, cui le intenzioni del “frate” apparvero genuine. Ne seguì un altro e un altro ancora. Ma, questa volta, Girotto si presentò assieme ai carabinieri che come espressamente richiesto dallo stesso, avevano seguito e documentato fotograficamente tutti i movimenti precedenti. Furono arrestati Renato Curcio e Alberto Franceschini, entrambi capi e fondatori delle BR.

Nel 1982 Dalla Chiesa è nominato Prefetto di Palermo. Accetta solo perché il ministro Virginio Rognoni gli assicurò l’ottenimento di poteri straordinari per combattere la mafia. Poteri che non ebbe mai. Fu lui stesso a lamentarsene e a individuare la carenza di un effettivo sostegno da parte dello Stato nella sua lotta alla malavita organizzata. Ebbe occasione di affermare infatti: «Mi mandano in una realtà come Palermo con gli stessi poteri del prefetto di Forlì, se è vero che esiste un potere, questo potere è solo quello dello Stato, delle sue istituzioni e delle sue leggi, non possiamo delegare questo potere né ai prevaricatori, né ai prepotenti, né ai disonesti.». Nel corso di una intervista a cura di Giorgio Bocca, disse: «Oggi mi colpisce il policentrismo della Mafia, anche in Sicilia, e questa è davvero una svolta storica. È finita la Mafia geograficamente definita della Sicilia occidentale. Oggi la Mafia è forte anche a Catania, anzi da Catania viene alla conquista di Palermo. Con il consenso della Mafia palermitana, le quattro maggiori imprese edili catanesi oggi lavorano a Palermo. Lei crede che potrebbero farlo se dietro non ci fosse una nuova mappa del potere mafioso?».

La morte del generale fu una storia annunciata, non per nulla, a fine agosto, una voce anonima avverte i carabinieri di Palermo che «l’operazione Carlo Alberto è quasi conclusa, dico quasi conclusa.».

Si concluse appieno, purtroppo, alle ore 21,15 del 3 settembre 1982, quando la A112 sulla quale viaggiava il Prefetto, guidata dalla moglie Emanuela Setti Carraro, fu affiancata in via Isidoro Carini a Palermo da una BMW, dalla quale, partirono alcune raffiche di Kalashnikov AK-47, che uccisero il Prefetto e la moglie. Nello stesso momento l’auto con a bordo l’autista e l’agente di scorta, Domenico Russo, che seguiva la vettura del Prefetto, veniva affiancata da una motocicletta, partì un’altra scarica di mitra che ferì gravemente Domenico Russo, il quale morì in seguito all’ospedale di Palermo.

Sul luogo dell’eccidio, il giorno dopo, un anonimo lasciò scritto: “Qui è morta la speranza dei siciliani onesti”.

di Giuseppe Rinaldi  per www.lanuovapadania.it