Il caso di "Claudio" Sabashvili, georgiano, espulso da Berna per 8 anni dopo che non ha rinnovato alcuni documenti per l'ingresso nello Stato: "Ho sbagliato, è vero, ma non ho ucciso nessuno. Non vedere i miei figli è una tortura".  Davanti alla sede del consolato svizzero di Milano, in via Palestro, un uomo protesta da giorni, inascoltato. E’ georgiano, ha 48 anni, si chiama Kakhaber Sabashvili ma preferisce farsi chiamare Claudio ed è disperato. La sua famiglia è in Svizzera ma non la può vedere. Il motivo è che è stato espulso dal Dipartimento Federale di Giustizia della Svizzera e non può entrare in quel Paese, nemmeno per rivedere i tre figli di 13, 11 e 3 anni. Ha appeso uno striscione al suo furgone, i suoi sit-in si moltiplicano giorno dopo giorno e ora minaccia di darsi fuoco, di rendersi protagonista di chissà quale pericolosa azione di protesta, di violare il decreto. Ma in realtà piange. “Non dico di essere uno stinco di santo, ma non mi merito questa tortura. Mio figlio è tutta la mia vita e sentirlo ogni sera in lacrime perché non può abbracciarmi mi uccide. Nessun padre dovrebbe subire quello che sto vivendo io. Ho sbagliato, è vero, ma non ho ucciso nessuno, sono una brava persona”.

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“Non conosco bene la situazione e non voglio espormi – ha spiegato il viceconsole Sergio Fabiano – ma se la Svizzera ha deciso di vietargli l’ingresso per 8 anni significa che deve aver commesso qualcosa di davvero molto grave, perché normalmente gli anni che vengono inflitti sono al massimo 5 e già in quel caso si tratta di situazioni legate a comportamenti giuridicamente rilevanti”.

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