capture 072 23122020 081810Un Paese che riveste una posizione dominante negli equilibri geopolitici mondiali ha nascosto al mondo il pericolo per più di un mese. Il motivo è nelle sue politiche repressive.

 C’è un legame tra la pandemia che ammala il mondo da inizio anno e i diritti umani costantemente calpestati in Cina. Tra questi, rientra anche la libertà di informazione. Non è possibile dire che se la Repubblica popolare cinese fosse stata un Paese diverso a quest’ora il Coronavirus non esisterebbe. Viene il dubbio legittimo, però, che le conseguenze potessero essere diverse.

È l’analisi tracciata oggi sul Corriere della Sera da Luigi Offeddu Milena Gabanelli, nel consueto spazio di inchiesta dell’ex conduttrice e ideatrice di Report. Vengono messe in fila le responsabilità della Cina. Un’unica, sola e grande mancanza, in fondo: quella dei diritti. Discende da qui, in effetti, il ritardo col quale l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) viene avvertita dalle autorità cinesi. Tra il primo caso di Covid a Wuhan (17 novembre 2019) e la comunicazione ufficiale del pericolo (31 dicembre 2019) passa più di un mese. Ce ne vuole un altro (30 gennaio) perché sia dichiarata l’emergenza internazionale. Il tutto mentre turismo e commercio globale continuano a spostarsi sulle rotte cinesi, alimentando i contagi: più di cinquemila, come riporta il CorSera, i voli solo con l’Europa a dicembre 2019.

 

Appena prima del fermo totale, con il lockdown, Cina e Italia stanno lavorando a un poderoso progetto di incremento del traffico aereo settimanale. «Un mese di silenzio il cui prezzo è stato incalcolabile», deduce Gabanelli. Incalcolabile nel senso che non si sa ancora, né sarà mai possibile sapere quanti contagi si sarebbero potuti risparmiare con una tempestiva circolazione delle informazioni, che avrebbe permesso di anticipare il blocco.

È accaduto che chi abbia accusato la Cina di questo sia stato arrestato. È successo a Xu Zhangrun, professore universitario, che sosteneva che la mancanza totale di libertà di parola abbia agevolato la diffusione del virus. E che dire di Li Wenliang, il medico cinese che ha individuato il Covid per primo e lanciato l’allarme a dicembre? Ha subito il fermo, la censura dalla polizia per aver ammonito sulla gravità del morbo dal suo blog e alla fine è morto di Coronavirus.

I precedenti sono il pugno di ferro su Taiwan, la repressione a Hong Kong e in Tibet, il primato nelle esecuzioni capitali. Soffocare sistematicamente il dissenso è il contrario della trasparenza: proprio come è accaduto con la pandemia. Tuttora, non è possibile sapere con certezza se i numeri che la Cina diffonde (8 casi su un miliardo di abitanti) siano reali o no. A farne le spese, deduce il quotidiano milanese, rischia di essere un intero mondo globalizzato e interconnesso, dove la Cina ricopre una posizione evidentemente dominante. Ecco perché la Repubblica popolare non potrebbe sbagliare ed ecco, al tempo stesso, perché sbaglia: le politiche antidemocratiche di una nazione così cruciale negli equilibri mondiali finiscono per pesare sulla sicurezza globale. Con un’eterna condanna all’incertezza, perché la conta dei danni è concretamente impossibile. L’Oms, in teoria, su questo ha un’indagine aperta. In pratica, non se ne sa nulla.

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