Come ha detto brillantemente qualcuno, “decidere significa ridurre il numero dei possibili errori ad uno”. E poiché la funzione del governo è quella di decidere, esso non può che commettere “una serie di errori”. Perfino quando riesce a far contenti alcuni, è subissato dalle critiche degli altri. Nella dittatura si ha il diritto e forse il dovere di esecrare il governo, ma in democrazia bisognerebbe cominciare ad averne pietà. Perché il suo compito va al di là delle possibilità umane. E un esempio paradigmatico di ciò che qui si scrive è la figura di Mario Draghi.

Quest’uomo è stato universalmente apprezzato per competenza e carattere. Perfino in ambito internazionale. Ho sentito un brillante commentatore politico francese dirne tanto “male” da averne detto il massimo bene. Infatti metteva l’Europa in guardia contro di lui, come se Draghi fosse abbastanza furbo per metterla nel sacco.

Sulla caratura di Draghi non ci piove. Non è un Giuseppe Conte qualunque. E tuttavia, a poche settimane dalla sua nomina a Presidente del Consiglio, le critiche cominciano a superare le lodi. C’è chi si aspettava una maggiore discontinuità, chi un maggiore coraggio, chi una sorta di rinascita improvvisa del Paese, sotto una tale guida. Oggi un giornale come “Libero” (articolo di Paolo Bechi) spara ad alzo zero sul Mario nazionale: “nessuno si aspettava che Draghi fosse così poco ‘decisionista’ “; “che non avesse il coraggio di presentarsi in totale discontinuità con la gestione fallimentare dell’emergenza sanitaria”. A un anno dagli errori di Conte, Draghi rifà il lockdown, e addirittura – orrore! - “riprende le autocertificazioni”. Insomma fa “le stesse cose di Conte attribuendole a Speranza”. Il giornalista non fa neppure l’ipotesi che quella linea di governo possa essere giusta, o almeno inevitabile. Forse qui c’è un eccesso di vis polemica.

 

 Di Gianni Pardo per www.affaritaliani.it