referendum voucherIl lavoro per “disinnescare” i referendum della Cgil è iniziato. Soprattutto sui voucher. Già prima che la Corte si pronunciasse per l’ammissibilità del quesito il ministro Poletti aveva “aperto” sulla necessità di mettere mano alla normativa sui voucher. Ora la parola d’ordine del governo è “fare presto, fare bene”, perché è chiaro che più passa il tempo più la campagna elettorale rischia di rendere l’operazione più complicata. Con un pezzo di sinistra – Speranza, Damiano, Epifani – che ha già detto “se il governo non ci mette mano ai voucher votiamo sì al referendum della Cgil”. Ma che, però, è pronta ad accogliere modifiche che correggano la normativa attuale anche senza l'abrogazione totale chiesta dalla Cgil. Dice Bersani nel corso della sua intervista a #Cartabianca "Io cerchero' di lavorare per una riforma, non per evitare ma per sdrammatizzare i referendum. I voucher devono tornare alla loro natura originaria, per i lavoretti".

Partita delicata, tutta politica. Perché “disinnescare” del tutto il quesito, facendo saltare tout court il referendum è complicato. Ecco perché allo studio del governo c’è piuttosto l’idea di “depotenziarlo” politicamente. Andiamo con ordine: il quesito della Cgil non chiede “modifiche” sull’utilizzo dei voucher, ma chiede l’abrogazione totale dell’istituto. Totale. Dunque tutte le proposte che si muovono nel senso di limitarne uso e di colpire gli abusi, è difficile che possano impedire che si celebri il referendum. Accadrebbe questo, spiegano siano fonti governative che fonti della Cgil: “In caso di un intervento normativo del governo spetterebbe all’ufficio centrale della Cassazione valutare la corrispondenza tra l’atto normativo del Parlamento e il quesito. Qualora la Cassazione dicesse che il quesito è superato dalla nuova normativa approvata, il comitato promotore potrebbe ricorrere alla Corte Costituzionale”.

Dunque: se il governo non cancella del tutto la normativa esistente sostituendola con un altro istituto contrattuale è difficile che non si celebri il referendum. Anche se venissero accolte alcune proposte di modifica già depositate. Ad esempio quella di Cesare Damiano, presidente della Commissione Lavoro del Pd. Il quale, all’HuffPost, spiega: “Personalmente sono contrario alla cancellazione dei voucher, ma combatto l’uso distorto che ne è stato fatto. Per questo propongo il ritorno alla Legge Biagi del 2003 che metterebbe fine all’abuso dei voucher riportandoli ad un uso esclusivo per i lavori occasionali”. Sulla linea Damiano c’è ampia convergenza nella commissione Lavoro, dal momento che i Cinque stelle hanno presentato una proposta analoga e anche Renata Polverini (Forza Italia) si appresta a farlo: “Questo – prosegue Damiano – non è un intervento fasullo, ma un intervento radicale. Né abbiamo intenzione di accettare interventi fasulli. Poi Cgil e consulta faranno loro valutazioni”.

Il ministro Poletti è pronto a collaborare, tenendo conto di ciò che emerge in Parlamento. Prima della proposta però attende l’esito del monitoraggio sulla tracciabilità, che riguarda l’ultimo trimestre dello scorso anno. Tornando al referendum della Cgil. Questa impostazione non lo fa saltare, ma è chiaro che lo depotenzia “politicamente”. E mette in difficoltà la Cgil. Lo schema è questo: il governo fissa la data del referendum nella finestra tra il 15 aprile e il 15 giugno e, da quel che si capisce, nessuno ha questa fretta; nel frattempo mette mano ai voucher all’insegna del “abbiamo corretto gli abusi”; si arriva al referendum a giugno con la norma migliorata, e senza il quesito sull’articolo 18, che Corte non ha ammesso. “Difficile raggiungere il quorum sui voucher senza l’articolo 18, perché è su questo che la gente sarebbe andata a votare” sussurrano anche a Corso Italia. Ancora più difficile in caso di modifica. Anche dentro la sinistra dem, in parecchi vedono il referendum come uno strumento di pressione, ma sono pronti a valorizzare un buon compromesso del Parlamento sul tema più che intestarsi una sconfitta, anche se magari nobile.

di per huffingtonpost.it 

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