capture 023 24042021 085240Nelle grandi metropoli del Dragone il virus sembra scomparso. Non farebbe che aggravare le colpe del governo, che punta a conquistare nuovi amici grazie al vaccino

Il 21 ottobre la Commissione nazionale per la salute ha riportato appena 39 nuovi casi di coronavirus in Cina, tutti «importati», un lieve peggioramento rispetto ai 26 del giorno precedente. I numeri sono impressionanti se paragonati a quelli dei paesi europei e americani. Mentre tutto il mondo ragiona su quali servizi chiudere e se imporre o meno nuovi lockdown, a costi devastanti per l’economia e la salute psicologica delle persone, il paese che per primo ha confinato i suoi abitanti e dove la pandemia ha avuto origine sembra essersi perfino dimenticato dell’esistenza del Covid 19.

TUTTO APERTO, TUTTO IN ORDINE

Bar e ristoranti aperti, lezioni regolari a scuola, uffici pieni, mezzi di trasporto perfettamente funzionanti, rispetto (ma neanche troppo) dell’obbligo di portare la mascherina: l’immagine che ci arriva dalla Cina è quella di un paese che si è lasciato alle spalle la paura. Lo dicono gli articoli (in particolare questo dello Spiegel) e le immagini dei servizi dei corrispondenti stranieri e dei blogger di tutto il mondo – siano essi di stanza a Wuhan, Chongqing, Pechino, Shanghai o Urumqi -, lo ricorda la stampa locale e lo certificano i dati economici: nel terzo trimestre il Pil cinese è cresciuto del 4,9% rispetto allo stesso periodo del 2019 e tra le maggiori economie del mondo, quella cinese è l’unica che si avvia a chiudere il 2020 con un “più” davanti.

 

Parlare di “ritorno alla normalità” per la Cina è fin troppo poco. Durante la Settimana d’oro, i sette giorni di festa concessi ogni anno per celebrare la nascita della Repubblica popolare l’1 ottobre, metà della popolazione, circa 637 milioni di persone, hanno viaggiato liberamente in tutto il paese. A due settimane di distanza da questo spostamento di massa (altro che vacanze di Natale!) il dato dei contagi non registra alcuna impennata, anzi.

I DUBBI SU PECHINO

C’è chi attribuisce l’anomalia cinese all’efficienza di un sistema autoritario nell’imporre e far rispettare eccezionali misure preventive e restrittive della libera circolazione degli individui (specie con la tecnologia); c’è chi esalta la rapidità con cui il sistema sanitario cinese è in grado di individuare i positivi eseguendo tamponi su milioni di persone in pochi giorni (come a Qingdao, nove milioni di test in cinque giorni); c’è chi semplicemente non crede ai dati diffusi da Pechino (atteggiamento comprensibile visti i precedenti poco trasparenti del regime comunista).

Se la pandemia ha davvero rallentato in Cina fino quasi a scomparire, questo non fa che aggravare le responsabilità del governo di Xi Jinping per aver colpevolmente permesso, pur avendo i mezzi per contrastare il contagio, che la pandemia si diffondesse in tutto il mondo, insabbiando per oltre un mese la presenza del primo focolaio a Wuhan e punendo i medici che avevano cercato di avvisare le autorità sanitarie e la popolazione.

«VI VENDEREMO IL VACCINO A UN PREZZO EQUO»

A fronte, poi, della sfavillante ripresa economica cinese, che non potrà che migliorare ora che tutto il mondo si avvia verso un secondo lockdown, è impossibile negare che il Covid 19 si sta rivelando una gallina dalle uova d’oro per il Dragone. Al di là del vantaggio economico rispetto ai concorrenti americani ed europei, il gigante asiatico pregusta già l’affare miliardario rappresentato dal vaccino. La Cina ha già sperimentato il suo prototipo su almeno un milione di persone. Zheng Zhongwei, membro della task force della Commissione nazionale per la salute che sta sviluppando la cura, ha dichiarato mercoledì che entro la fine del 2020 il Dragone sarà in grado di produrre 610 milioni di dosi all’anno e la capacità «aumenterà ancora l’anno prossimo». Il vaccino, ha aggiunto, sarà venduto a un prezzo «giusto e ragionevole».

PRIMA AGLI AMICI, POI AGLI ALTRI

Come affermato anche dal leader Xi Jinping, il vaccino cinese sarà «un bene pubblico globale», qualsiasi cosa questo voglia dire. Di sicuro, al di là dei ricavi che ne potrà trarre, il Dragone lo considera come un’arma preziosa da utilizzare nel suo progetto di espansione. Il ministro degli Esteri Wang Yi, ad esempio, ha dichiarato a luglio che i paesi latinoamericani e caraibici riceveranno prestiti dalla Cina fino a 1 miliardo di dollari per comprare le dosi necessarie a immunizzare la popolazione. Pakistan e Indonesia invece, che stanno ospitando i test clinici del siero, avranno accesso a corsie preferenziali e a prezzi d’occasione. Le prime dosi saranno inviate a questi paesi tra due settimane.

Ma tra le nazioni che saranno benedette dalla clemenza cinese ci sono anche quelle africane e asiatiche. Sempre il ministro Wang ha assicurato che Malaysia, Thailanda, Cambogia e Laos saranno tra i primi a ricevere il vaccino. Infine, Pechino ha promesso che darà priorità nella distribuzione a tutti i paesi africani. Le autorità cinesi hanno anche spiegato che non si tratta di beneficenza pelosa con l’obiettivo di “conquistare” nuovi amici, ma di un atteggiamento normale per una «superpotenza responsabile». Un osservatore disincantato come Huang Yanzhong, membro del Council of Foreign Relations, invece non ha dubbi: «La Cina sarà il vincitore ultimo nella corsa globale al vaccino: aumenterà la sua influenza in tutto il mondo».

di Leone Grotti per www.tempi.it