capture 084 02052021 094634Qualcuno l’ha ricordata in occasione del 25 aprile, per rammentare che anche ombre si affastellano su quella data. In molti sui social la stanno ricordando in queste ore, in cui ricorre l’anniversario del suo assassinioLuisa Ferida, al secolo Luigia Manfrini Farné, era un’attrice di successo, aveva 31 anni ed era incinta a uno stadio avanzato quando il 30 aprile 1945 venne fucilata a Milano dai partigiani. La sua unica colpa era quella di essere la compagna dell’altrettanto noto attore Osvaldo Valenti, a sua volta giustiziato quel giorno: aveva aderito alla Rsi e si era arruolato nella X Mas «in quanto simbolo di dignità e onore». Tanto bastava.

Una sentenza già scritta

Per Valenti e Ferida, come per molti che fecero la stessa fine, i partigiani, che in questo caso erano quelli della divisione “Pasubio”, al comando di Giuseppe Morozin, che rispondeva al nome di battaglia di “Vero”, celebrarono un processo sommario, con una sentenza di fatto già scritta: morte. Secondo quanto riferito dallo stesso Morozin anni dopo, fu Sandro Pertini in persona a spingere per l’esecuzione. Anche per quella della Ferida.

 

L’ordine di Pertini: uccideteli

Fra i molti che hanno raccontato la storia tragica di Ferida e Valenti, c’è stato anche Raffaello Uboldi, giornalista di razza e autore, tra l’altro, della prima biografia di Pertini, Il cittadino Sandro Pertini, cui seguì poi il volume Pertini soldato. Ebbene, anche Uboldi, scomparso nel novembre 2018 e che di Pertini fu collaboratore e amico, scrive nel suo 25 aprile. I giorni dell’odio e della libertà, che Pertini «non muoverà un dito per salvare dalla fucilazione Valenti e la Ferida, nemmeno lei, che era colpevole di nulla; anzi, si sarebbe speso a favore dell’esecuzione». “Vero” Morozin nel suo Odissea Partigiana, del 1965, fu molto più netto, raccontando che Pertini lo chiamò tre volte, intimando di uccidere i due attori.

Luisa Ferida, fucilata dai partigiani «senza prove»

Il racconto che Uboldi fa della loro condanna a morte è drammatico e, specie per la Ferida, carico di pietà. «La loro sorte è comunque segnata, li vogliono morti, sono considerati un simbolo, al di là delle colpe che vengono loro contestate senza uno straccio di prova. Vogliono morta anche lei, che un qualsiasi altro tribunale manderebbe assolta, per di più è incinta, attende un bambino, non c’è luogo al mondo dove la condanna non verrebbe sospesa. Non nella Milano di questo aprile 1945. E così Luisa muore con lui, uccisa senza appello, senza prove, senza un processo, senza giustizia».

Poi lo Stato ammise: «Uccisa perché amante di Valenti»

Undici anni dopo, nell’ottobre del 1956, la madre di Luisa Ferida, Lucia Pasini, ottenne che le autorità italiane scrivessero nero su bianco che la figlia era stata giustiziata senza colpa. La donna chiese e ottenne, infatti, una pensione di guerra, poiché Luisa era la sua unica fonte di sostentamento. Ne scaturì un’istruttoria da parte dei Carabinieri, che si concluse con questo rapporto: «La signora Manfrini Luisa, in arte Luisa Ferida, non consta abbia fatto parte di formazioni militari ausiliarie della Repubblica sociale italiana. Le cause del decesso della Manfrini devono ricercarsi nel fatto che la predetta era amante del noto attore Osvaldo Valenti». Una esecuzione partigiana, come scritto da Uboldi, «senza appello, senza prove, senza un processo, senza giustizia».

  di Viola Longo per  www.secoloditalia.it