Da meno di un mese l’addio al criterio del tenore di vita con la sentenza 11.504: «La signora ha una laurea, provi a lavorare». L’idea: agevolazioni per chi dà lavoro alle donne «nuove» divorziate. È passato meno di un mese. E il numero 11.504 sta già diventando, in molti tribunali, come il Pi greco per il cerchio: la sentenza del 10 maggio con cui la Cassazione ha stabilito che il criterio per ottenere un assegno di divorzio non è più il tenore di vita precedente ma la semplice sopravvivenza par essere caduta sulle sezioni famiglia dei palazzi di giustizia come la pioggia su un campo che l’aspettava. E le decisioni conseguenti han preso a spuntare come l’erba.
Come la sentenza emessa il 24 maggio dalla I sezione civile di Como. I giudici Donatella Montanari, Cristina Caruso e Marcella Bajona erano chiamati a decidere su un divorzio dopo otto anni di separazione di cui quattro di udienze. Hanno ricostruito ciò che in tutto quel tempo era emerso: che lui aveva cercato di aiutare lei a trovare un lavoro fin dal 2012, che lei non aveva mai «colto le occasioni» e i contatti procurati da lui, «anche solo con l’invio di un curriculum», insomma «appare che la signora molto poco si sia spesa per reintrodursi nel mondo del lavoro». Poi i giudici hanno richiamato espressamente la Cassazione 11.504: con l’«autoresponsabilità economica di ciascuno degli ex coniugi quali persone singole», il diritto all’assegno di divorzio solo in caso di «mancanza di mezzi adeguati o comunque impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive». E hanno concluso: niente assegno alla donna poiché «è solo a lei che deve imputarsi, in spregio al principio di autoresponsabilità appena richiamato, la responsabilità per la sua attuale situazione».
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dall'articolo di Paolo Foschini per corriere.it