capture 042 20052021 112211L'eredità. Di quelle che accecano. Di quelle che l'immagini e ti vedi lì a non fare nulla, a goderti soldi piovuti dal cielo a bordo piscina. Di quelle che nel 2015 hanno spinto Marzia Corini ad uccidere il fratello, Marco Valerio, per assicurarsi un milione di euro dei tre che possedeva il legale diventato famoso per essere l'avvocato dei vip, l'amico di molti calciatori (tra questi Gigi Buffon) e per essere stato difensore ai processi sulle violenze del G8 di Genova. Solo che le cose non sono andate come lei se le era immaginate e più che a bordo piscina, Marzia Corini il sole lo vedrà dalla finestra di una cella: ieri la Corte d'Assise della Spezia l'ha infatti condannata a 15 anni di carcere per l'omicidio del fratello, morto a causa di una sedazione letale di Midazolan, un farmaco che agisce sul sistema nervoso centrale, provoca sonnolenza, rilassa i muscoli e fa perdere la memoria. Si usa per le anestesie, campo che la Corini ben conosce dal momento che è un medico anestesista. Di quelli impegnati, che vanno a fare le missioni con le associazioni umanitarie dove c'è la guerra, dove la miseria e la povertà sbattono in faccia i valori veri della vita, dell'esistenza. Di quelli che quando tornano hanno appiccicata addosso la targhetta a significare che si è dalla parte dei "buoni".

Prima del tocco finale, a divorare Marco Valerio nel corpo e nell'anima ci aveva pensato un tumore, di quelli che non lasciano scampo. E, ironia di una sorte studiata a tavolino (almeno secondo i giudici) quel farmaco rivelatosi letale gli era stato somministrato in un giorno molto particolare: il 25 settembre del 2015, quando, consapevole che presto avrebbe detto addio alla vita terrena, Corini aveva fissato un appuntamento con il suo notaio di fiducia proprio per rivedere il suo testamento, per rendere indelebili le sue volontà delle quali la sorella non ne faceva parte. Lui e il notaio avrebbero dovuto incontrarsi ad Ameglia, il paese in provincia di La Spezia dove Corini aveva casa e ha vissuto gli ultimi giorni assistito dalla fidanzata e da pochi intimi, tra cui la sorella. Quale miglior giorno per farlo fuori e ritenersi erede legittima dei suoi beni? Del resto, quel fratello sarebbe morto comunque: ad un'amica aveva confidato che l'appuntamento lo avrebbe anticipato di qualche mese. L'accusa per lei aveva chiesto una pena a 23 anni di carcere e il processo per dimostrare quanto avesse ragione è durato tre anni. Inoltre, Marzia Corini, che si sempre detta innocente e che quel farmaco lo aveva somministrato per alleviare i dolori, non ha agito da sola.

 

A darle una mano, dicono le carte giudiziarie, fu Giuliana Feliciani, collega di studio della vittima col quale aveva avuto una relazione, condannata dalla stessa corte a scontare una pena di 4 anni. Motivo? Circonvenzione d'incapace e uso di testamento falso. Nella ricostruzione della vicenda testamentaria, la collega di studio di Corini entra per "manomettere" il testamento scritto dall'avvocato il 18 settembre di quell'anno, cioè una settimana prima di morire. Le sue volontà olografe sono state modificate addirittura qualche giorno dopo la sua morte, il 29 settembre. E la dichiarazione di illegittimità, di falsità materiale di quel pezzo di carta intorno a cui tutto si è mosso, ha lasciato la sorella all'asciutto. Nemmeno un centesimo di euro è entrato nelle sue tasche. Di più: è stata interdetta a vita dai pubblici uffici e condannata anche per falso in testamento. Lei e l'amica Feliciani (interdetta per 5 anni e che rivendicava parte dei guadagno che Corini aveva intascato come legale dei processi al G8), sono state escluse dalla successione per «indegnità» e 1,3 milioni di euro confiscati.

di Tiziana Lapelosa per www.liberoquotidiano.it