Quando si vota? Forse mai. No, non è una provocazione ma una riflessione di Gustavo Zagrebelsky, il costituzionalista "padre" del No alla riforma che ha mandato a casa Matteo Renzi dopo la batosta del referendum dello scorso 4 dicembre. Intervistato dal Marco Travaglio in persona sul Fatto quotidiano (la lenzuolata si conclude con un commosso "Grazie, professore"), Zagrebelsky riesce a lasciare di sale pure il direttore.

Travaglio parla di "fine legislatura, che si voti nel 2017 o nel 2018". "Lei ne è così sicuro? - è la contro-domanda del prof - Io un po' meno. Si dice che occorre armonizzare le leggi elettorali di Camera e Senato. È giusto. Ma, se non le armonizzano entro il 2018, cioè alla naturale scadenza della legislatura, che succede? Si dirà che, per forza maggiore, per il momento, non si può ancora andare al voto? Non mi stupisco più di nulla. La continuità, ribattezzata stabilità, sembra essere diventata la super-norma costituzionale. Il governo Gentiloni non ne è una dimostrazione, in attesa che si ritorni al prima del referendum?".

Alla fine vuoi vedere che sarebbe stato meglio perdere il referendum? "Il nuovo premier, rispetto al precedente, è una novità - riconosce Zagrebelsky, mito grillino -: è educato, parla sottovoce, dice cose di buonsenso e appare poco in tv, non spacca l'Italia tra gufi, rosiconi e ottimisti, fra conservatori e innovatori a parole. Quando il penultimo premier lo faceva, a reti unificate, il minimo che potevi fare era cambiare canale o spegnere la tv. Ora quella finta contrapposizione è finita. Paolo Gentiloni pare dire le cose come stanno o, almeno, non dire le cose come non stanno". Il guaio, spiega Zagrebelsky, è che il suo governo è "il rifiuto di guardare la realtà, una riprova dell'autoreferenzialità del politicantismo. Quasi uno sberleffo dopo il 4 dicembre. Era troppo sperare che si prendesse atto dell'enorme significato politico del referendum, del colossale voto di sfiducia che l' elettorato ha espresso nei confronti degli autori della tentata riforma?".

Nella conferma di Maria Elena Boschi alla promozione di Anna Finocchiaro, due delle madrine della mancata riforma, il costituzionalista vede "la cosa più lontana dalle esigenze democratiche di oggi. Non pensano a una transizione, ma alla continuità tra il vecchio e il vecchio".

da liberoquotidiano.it 

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