capture 017 25072021 114045Viktor Orban si sottrae al ricatto Ue sul tema dei diritti e decreta, con una decisione pubblicata sulla gazzetta ufficiale, che l’Ungheria non accetterà i soldi del Recovery Fund se saranno subordinati all’abolizione della legge che vieta la propaganda gender nelle scuole e limita la diffusione di informazioni su tematiche Lgbt ai minori. Nei giorni scorsi Orban aveva annunciato un referendum popolare sulla legge, finita nel mirino delle istituzioni Ue in quanto tacciata di essere «omofoba».

Lo scontro tra Orban e Ue sulla legge contro il gender a scuola

Dopo settimane di pressing, nei giorni scorsi la Commissione europea ha avviato un’azione legale contro Budapest, accusando il governo ungherese di violare i diritti delle persone Lgbt. Allo stesso tempo, la Commissione sta procedendo all’approvazione dei piani di ripresa dalla pandemia presentati dai vari Stati membri, tardando sul via libera a quello ungherese. La connessione tra l’abolizione della legge e l’erogazione dei fondi del Recovery, che per l’Ungheria ammontano a 7,2 miliardi di euro, è stata più volte adombrata dalle istituzioni Ue.

 

L’Ungheria a difesa della propria sovranità

L’Ungheria ha sempre chiarito di non essere disposta a cedere su un tema che rivendica come strettamente interno e ha più volte manifestato l’intenzione di percorrere tutte le strade possibili non solo a difesa della legge “Sull’adozione di misure più severe contro i pedofili e sulla modifica di alcune leggi per la protezione dei bambini”, che vieta anche la diffusione presso i minori di contenuti «pornografici o che rappresentano la sessualità in modo gratuito», ma anche e soprattutto della propria sovranità.

La parola al popolo con l’annuncio del referendum

Si inserisce in questa cornice l’annuncio fatto qualche giorno fa da Orban sulla volontà di convocare un referendum sulla legge. Un chiaro segnale sul fatto che il suo governo risponde alla volontà del popolo ungherese e non ai diktat degli apparati di Bruxelles. Adesso questa nuova mossa ancora più spiazzante, e giunta dopo le ripetute denunce di Budapest sul fatto che la Commissione stava deliberatamente ritardando l’approvazione del piano ungherese per motivi «politici» legati proprio alla legge nazionale sulla protezione dei minori.

di Federica Parbuoni per www.secoloditalia.it