«Gli standard della community di Facebook si applicano a tutti nella stessa maniera», è il mantra che Mark Zuckerberg ama ripetere a tutti. Ma è veramente così? Un’inchiesta del Wall Street Journal rivelerebbe esattamente il contrario, e cioè che un numero cospicuo, ma al tempo stesso ristretto di utenti, sia «più uguale» degli altri quando si tratta di censura e discorsi di odio: Facebook avrebbe cioè favorito 5,8 milioni di persone, — tra celebrità, figure di spicco e politici — rendendo i loro profili «immuni» alla censura normalmente applicata ai contenuti pubblicati sulla sua piattaforma.
Facebook e la lista dei vip intoccabili
Secondo quanto emerge dai documenti interni all’azienda visionati dal giornale americano, sulla piattaforma girerebbe da anni un programma chiamato XCheck — o Cross Check (controllo incrociato) — che dispensa una lista circoscritta di utenti dal sottostare alle politiche che vengono applicate ai comuni mortali. Uno status esclusivo, per membri vip, ovviamente, che sono autorizzati a dire tutto quello che passa loro per la testa senza temere conseguenze per il proprio account.
XCheck nasce inizialmente per proteggere i profili di personalità di spicco — politici, in particolare — da azioni contro di loro. Con il tempo il programma è sfociato in una vera e propria white list che rende questi profili immuni da qualsiasi misura, mentre altri «sono autorizzati a pubblicare materiale che viola le regole in attesa delle revisioni dei dipendenti di Facebook che spesso non avvengono mai». In questo modo, spiega il Wsj, celebrità e politici hanno potuto pubblicare durante questi anni contenuti violenti, inneggianti all’odio». Un odio bipartisan, a scanso di equivoci.
La lista
Tra i vip ci sarebbero anche Trump (prima dell’epurazione), suo figlio Donald Trump Jr., la commentatrice repubblicana di colore Candace Owens e la senatrice democratica Elizabeth Warren. Non mancano gli sportivi blasonati come il calciatore brasiliano Neymar che ha potuto, nel 2019, di postare una foto di nudo della donna che lo aveva accustao di stupro.
Il portavoce di Facebook Andy Stone ha risposto su Twitter affermando, con una supercazzola da competizione, che XCheck «non rappresenta un sistema privilegiato». «Significa semplicemente che alcuni contenuti di determinate pagine o profili ricevono un secondo livello di revisione per assicurarci di aver applicato correttamente le nostre norme». A Menlo park sanno però che la piattaforma non sta applicando le stesse regole a tutti gli utenti. «Non stiamo facendo ciò che diciamo di fare pubblicamente», ammettono i ricercatori dell’azienda in un memorandum del 2019 citato dal Wall Street Journal.