capture 036 01102021 105515Domenico Lucano detto Mimmo, ex sindaco di Riace e attuale candidato alle regionali in Calabria come capolista in tutte e tre le circoscrizioni di una lista civica in sostegno di Luigi De Magistris, è stato condannato a 13 anni e due mesi di reclusione, 5 anni di interdizione dai pubblici uffici e alla confisca in solido con altri di oltre un milione di euro. I fatti sono ben noti, perché Lucano era originariamente già stato arrestato e confinato da Riace per avere violato ogni legge esistente per favorire l'immigrazione clandestina, arrivando a combinare e celebrare falsi matrimoni per fare ottenere la residenza a immigrati e favorendo senza gara per sua unica decisione cooperative di immigrati a cui venivano girati fondi pubblici in arrivo da Regione, governo nazionale ed Unione europea. La pena comminata dal tribunale di Locri era inattesa, perché nella sua requisitoria il pm aveva chiesto per lui 7 anni e 11 mesi e anche per molti altri imputati condanne decisamente minori.

 

Non voglio annoiare il lettore con tecnicismi, ma questa differenza abissale pur dovendo attendere le motivazioni della condanna per capirne le ragioni, ha una spiegazione tecnica semplice: l'intera inchiesta e la pubblica accusa nel processo accusavano Lucano di un reato molto grave come la concussione, che prevaleva su tutti gli altri (pena minima 6 anni) e centrava il resto delle accuse sul favoreggiamento della immigrazione clandestina. La corte guidata dal giudice Fulvio Accurso nella sua decisione ha del tutto stravolto i capi di accusa dei pm. Ha assolto Lucano dalla concussione e dal favoreggiamento di immigrazione clandestina rispettivamente per non avere commesso il fatto e perché i fatti non risultano. Poi ha identificato il reato più grave nel peculato (pena minima 4 anni) che sarebbe stato compiuto per 16 diversi fatti in continuazione del reato in associazione per delinquere con altri (quindi la pena era aumentabile fino al triplo) e per questo condannato Lucano a 10 anni e 4 mesi. Poi ha rideterminato il reato di abuso di ufficio in quello di «truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche» e per farla breve da questo arrivano altri 2 anni e 10 mesi.

Perché questa lunga premessa? Per un motivo semplicissimo: battuta dalle agenzie la notizia della clamorosa condanna di Lucano, ne è nato un fiume travolgente di commenti e dichiarazioni di toni ovviamente opposti: da sinistra solidarietà, grida all'errore giudiziario e santificazione del condannato; da destra l'esatto opposto. Peccato che le une e le altre per tutto il giorno abbiano commentato proprio le accuse da cui invece Lucano è stato assolto, compreso quel «favoreggiamento di immigrazione clandestina» che ai giudici non risulta come sua responsabilità.

Frenare la lingua e informarsi farebbe ogni tanto bene a tutti. E potrebbe essere lezione di civiltà in questo Paese: in tutti i casi avere quella minima pazienza di attendere la spiegazione dei fatti prima di lanciarsi in giudizi tranchant di un tipo o di un altro. Lucano ha ricevuto una condanna pesante in primo grado, e questo è certo. Come tutti gli imputati ha diritto alla presunzione di innocenza fino all'ultimo grado di giudizio. Lui, i suoi avvocati, i sostenitori, perfino i fan hanno il diritto di criticare anche una decisione giudiziaria. Ma il minimo che si chiede è di conoscere la sentenza.

Non ne sapeva nulla il segretario del Pd Enrico Letta che pure si è detto «esterrefatto dalla pesantezza della pena: questa vicenda ha tante cose difficili da capire. Credo che si dia un messaggio terribile che farà crescere la sfiducia nella magistratura». E sul nulla lanciavano le loro sentenze assolutorie e santificatorie dell'imputato i vari Nicola Fratoianni, Laura Boldrini, Matteo Orfini, Sandro Ruotolo, Gennaro Migliore e tanti altri di Pd, Leu, Iv e Movimento 5 stelle.

Posso dire che la considerazione di Letta e la santificazione di Lucano da parte del plotone di sinistra che mette alla sbarra i giudici che lo hanno condannato sono atti eversivi e che denotano totale assenza di un minimo senso dello Stato? Perché è legittimo dare la solidarietà e sperare che il condannato in primo grado riesca a fare valere le sue ragioni e dimostrare l'innocenza in appello, eversivo invece il tiro alla Corte che l'ha condannato sulla base di una considerazione che lo è ancora di più: la loro convinzione che qualsiasi cosa abbia fatto Lucano, comunque sarebbe stata compiuta a fin di bene.

Nossignori, questo ragionamento è eversivo dell'ordine costituzionale e denota l'assenza di qualsiasi senso di legalità oltre che dello Stato di gran parte della sinistra italiana. Alla base c'è la supponenza che hanno sempre avuto di avere una etica di gruppo e una morale propria superiore a qualsiasi codice pubblico. Loro si consentono quel che ad altri è vietato. E sono i primi a travolgere gli avversari brandendo la giustizia come un manganello verso avversari che pensano siano privi di etica e coscienza e inferiori moralmente a loro. Questo è esattamente il cancro che mina alle basi la nostra comunità e la nostra libertà. Un reato fosse anche compiuto a fin di bene al massimo vale qualche attenuante, ma resta altrimenti il fondamento della nostra comunità e dello stesso Stato italiano franerebbe. E qualche attenuante a Lucano deve essere stata considerata, visto che a rigore di codice i reati individuati dalla corte avrebbero potuto consentire una pena di 15 anni, invece scontata a 13 anni e 2 mesi. Ma a fin di bene non si violano le leggi della Repubblica pretendendo di non portarne le conseguenze. Non si fa strame di codici degli appalti, di norme di pubblica sicurezza, della gestione del denaro pubblico per favorire qualcuno illegittimamente invece di qualcun altro che avrebbe avuto il medesimo diritto e forse anche lo stesso bisogno. Se le opere di bene le fai con i soldi tuoi, nulla da dire. Ma se usi per quello che tu credi bene fondi pubblici, bisogna rispettare la legge e farlo avendo presente i diritti di tutti, non quelli di alcuni su cui costruisci la tua carriera politica e in qualche modo il tuo potere. È tutto qui il caso Lucano.

 di Franco Bechis  per www.iltempo.it