Forse è l'apertura di chi sente di stare su un crinale pericoloso, da qui alla possibilità di andare a Palazzo Chigi. Anche forse per questo motivo che Luigi Di Maio sulle colonne di Repubblica fa una grande apertura, simbolica al Partito Democratico. Il Pd non gli piace, stando a tutto quello che ha sempre detto, ma gli serve:  "Io non sto rinnegando le nostre idee né le critiche che in più momenti abbiamo espresso anche aspramente nei confronti del Pd, e che anche il Pd non ci ha risparmiato - dice Di Maio -.Credo però che ora il senso di responsabilità ci obblighi tutti nessuno escluso, a sotterrare l'ascia di guerra".

 

L'apertura è al Pd nel giorno in cui il centrodestra si ricompatta, apparentemente, e Salvini ha invitato Berlusconi e la Meloni ad andare insieme al secondo giro di consultazioni al Colle. Il secondo forno a cui guardava Di Maio sembra spegnersi e dunque tenta di nuovo ad essere più convincente con il primo, il Pd.

"Io non ho mai posto veti o parlato di Pd derenzizzato - prosegue Di Maio - come qualcuno ha scritto. Quello che abbiamo sempre contestato è la line adi totale chiusura del Pd all'indomani delle elezioni. Mi interessa mettere al centro le risposte più urgenti alle grandi emergenze del Paese".

E giù l'elenco: lotta alla povertà e alla corruzione, il lavoro, le pensioni, un fisco più leggero e una pubblica amministrazione che agevola e non ostacola i cittadini e le imprese. E poi sostegno alle famiglie e naturalmente lotta agli sprechi e ai privilegi della politica. Insomma, Di Maio chiede al Pd di dimenticare tutto o quasi quanto detto in campagna elettorale, teme il voto subito o quanto meno non lo auspica. Fa sapere di aver sentito Martina e non pone come foindamentale il reddito di cittadinanza, ma parla di generica lotta alla povertà. Anche se sulla presidenza del Consiglio a lui mette le mani avanti.

"C'è un candidato premier che pende 11 milioni di voti e la prima cosa che si chiede è che si faccia da parte?.

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