burqa"Ho provato il burqa e mi è piaciuto". Questo il titolo choc dell'articolo, altrettanto discutibile, apparso sull'Huffington Post, il giornale online di Lucia Annunziata. Lo scrive la scrittrice Flavia Piccinni. Racconta il suo arrivo a Kuwait City, impreparata per quanto riguarda il look giusto da indossare nei paesi musulmani. "Avevo dimenticato le direttive arabe, e indossavo una giacca di lana aderente in vita, un vestito sotto al ginocchio, delle calze coprenti e delle scarpe con mezzo tacco. Non mi sono mai vergognata tanto". Di cosa?

  "Per gli arabi sono le prostitute a lasciare le spalle, le braccia e le gambe scoperte. Le occidentali smemorate non sono particolarmente amate. Se credete di essere coraggiose e strafottenti non siete mai state a Kuwait City vestite all'occidentale".

La scrittrice allora va in un negozio, un Suk, per comprare un abito più adatto. "Dopo venti minuti avevo comprato, per la modica cifra di dieci denari che sono poco più di trenta euro, un burqa nero. Avevo acquistato la taglia più piccola disponibile: la 48. Praticamente ci navigavo dentro. Quando ho domandato qualcosa di più stretto, il ragazzo mi ha guardato offeso: "No, deve andare largo e fluttuare" mi ha spiegato".
La Piccinni allora elenca i "vantaggi" del velo. "Non devi perdere tempo a coordinare le scarpe con la borsa, o magari a scegliere il vestito che ti fascia meno, i pantaloni che non ti fanno difetto, la maglietta che evidenzia tragicamente e irrispettosamente i chili di troppo. Non devi neanche perdere tempo a sistemarti i capelli, o a truccarti. Non ti vede nessuno. Nessuno sa se dietro c'è una bella donna, o una donna poco attraente. È tipo il grembiule che ti facevano mettere da bambino, a scuola, ma molto più comodo: non solo non è più necessario preoccuparsi dei vestiti, ma anche del proprio aspetto esteriore".

Considerazioni di dubbio gusto, quelle della scrittrice, se si pensa che indossare il burqa il più delle volte non è una scelta estetica fatta perché quel giorno non si ha voglia di abbinare la camicia al pantalone, ma un obbligo, una costrizione. Ma la Piccinni prosegue il suo delirio: "Per un attimo, con il burqa addosso, ho pensato che forse potrebbe essere giusto indossarlo ogni giorno. E guardandomi allo specchio, non ritrovando il mio viso, ma solo una nuvola nera, mi sono domandata se non sia forse questa una lezione che dobbiamo prendere dal mondo arabo: annullare la necessaria ossessione per l'immagine che tutte abbiamo, annullare il giudizio delle altre attraverso la loro bellezza, imparare a mostrarci privi di ossessioni e di sovrastrutture". Mah.

da liberoquotidiano.it 

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