fiordi islandesiDunque, per primo fu il Chaos, e poi Gaia dall’ampio petto, [che] generò i grandi monti [e] Oceano». Nella «Teogonia» Esiodo, poeta greco vissuto tra l’VIII e il VII secolo avanti Cristo, la racconta così. La nascita della dea Gaia, ovvero la Terra come la conosciamo oggi, avviene subito dopo Chaos, che rappresenta lo spazio aperto, il vuoto primordiale, l’origine di tutto. 

 Nella realtà le cose sono un po’ più complicate, tanto che, ad oggi, le informazioni sulle prime fasi della formazione della Terra sono solo una serie di ipotesi, data la scarsità di prove scientifiche di cui disponiamo. Tuttavia una serie di scoperte sembra essere in grado di fare luce sulle prime fasi della vita del nostro Pianeta, un periodo da sempre considerato inaccessibile. Tutto questo grazie a minerali che si trovano in pochissime zone, tra le quali alcuni fiordi in Islanda. Questi minerali si trovano ora nelle mani di Richard Walker, professore di geochimica della University of Maryland, negli Usa, il quale ne sta studiando la composizione chimica. Perché le molecole che compongono queste rocce sono così importanti per capire la storia della Terra? 

Dobbiamo partire dall’inizio, quando, circa 4.6 miliardi di anni fa, l’esplosione di una supernova genera un’onda gravitazionale e la materia da cui si origina il Sistema Solare, con la successiva formazione di un’altra stella, il Sole, e dei pianeti, compresa la Terra. All’incirca 60 milioni di anni dopo si ipotizza che un’enorme corpo celeste abbia colpito la Terra, all’epoca una massa di materia lavica, distruggendo gli strati che si erano formati e rendendo quindi impossibile poterne studiare la composizione. Tutto quello che si era formato venne fuso e rimescolato, azzerandone i tempi dal punto di vista geochimico. «La maggior parte dei planetologi - ci spiega Walker - ritiene che i pianeti rocciosi come la Terra e Venere si sono formati da una serie di collisioni fra corpi di dimensioni crescenti, culminando in una fase finale di crescita chiamata “Teoria dell’impatto gigante”, nella quale la Terra ha ricevuto un’aggiunta di circa il 10% della sua massa a seguito di uno scontro con un corpo della massa di Marte. Molti pensano anche che questo impatto abbia portato alla formazione della Luna, sebbene non ci siano evidenze chiare su questi fenomeni, sui quali ci sono diverse teorie», non ultima quella di pochi giorni fa, in cui un team israeliano ritiene che una serie di impatti con oggetti di massa molto minore rispetto a quella della Terra sia all’origine del nostro satellite. 

Detto questo, l’olivina - così si chiama il minerale - raccolta in Islanda sembra derivare da una riserva di minerali che si trova sotto l’isola e non si è mai mischiata con il resto della Terra, «resistendo persino al grande impatto e suggerendo che in queste sacche potrebbero esserci anche altre tracce che risalgono ai primi momenti di vita della proto-Terra». 

Come dalle profondità della Terra l’olivina riesca ad emergere in superficie è un’altra questione aperta: molti scienziati ipotizzano l’esistenza di «pennacchi», vale a dire colonie di roccia caldissima e fusa che si innalzano dal confine tra il nucleo della Terra e il mantello e che alimentano in superficie sacche di magma (chiamate «punti caldi»), proprio come avviene, oltre che in Islanda, alle Hawaii e a Samoa: vengono così alla luce diversi minerali, tra cui proprio l’olivina. «La sua composizione è il punto di interesse fondamentale - continua Walker -: ora stiamo studiando la concentrazione dell’isotopo tungsteno-182 in rapporto a un altro isotopo, il tungsteno-184, molto più comune nella crosta terrestre. Parte di questo tungsteno-182 deriva dal decadimento radioattivo dell’afnio-182, un processo avvenuto nei primi 60 milioni di anni della Terra. Inoltre, la cosa più interessante del tungsteno-182 è che non si trova uniformemente distribuito nelle profondità della Terra, ma sembra essere isolato in poche regioni». È questa eterogeneità che «fornirà importanti informazioni sulla formazione del nostro Pianeta e su come si è evoluto dal punto di vista chimico». 

Siamo soltanto all’inizio di quello che potrebbe essere un nuovo viaggio nel tempo e nella complessità della Terra, una complessità che la rende unica nel Sistema Solare. «Non credo - conclude Walker - che questa scoperta sarà utile dal punto di vista economico. Ma capire come la Terra si è formata e si è evoluta è un insieme di saperi ai quali dovremmo mirare come esseri umani». Pezzi di un grande puzzle che aiuteranno anche a decifrare il mistero della vita.

 

Marco  Cambiaghi -Univ. Torino- per Tuttoscienze.it 

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