chiede carita in giacca e cravattaÈ tornato. Più incazzato di prima. Enzo Prosperi si è piazzato nello stesso punto di cinque anni fa, di fronte all'ingresso della Rinascente, e come allora riceve nel suo «ufficio» di strada: tutti i giorni dal mattino alla sera. Ieri, che era sabato, aveva il pienone attorno. Comitive di giapponesi a immortalarlo con le loro macchine fotografiche di ultima generazione; capannelli di curiosi, turisti in cerca di decifrare il contenuto del cartello appiccicato con lo scotch sull' asfalto ai suoi piedi, cinofili di ogni età in fila per allungare una carezza a Boris e a Lolly, i due compagni di vita di questo singolare barbone di Milano.

 Quando arriviamo e lo avvertiamo delle nostre dodici chiamate senza risposta, Prosperi non si scompone: «Chiedo scusa ma come vede stavo ricevendo clienti qui nel mio ufficio.

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Dai vertici delle tv private a clochard in piazza Duomo. Sempre rigoramente in giacca e cravatta. Con la camicia stirata («quando posso, se ho i soldi, vado in tintoria») e l' aspetto curato di chi sa che, pure fuori casa, sul marciapiede, l' abito conta.

La vita di questo 67enne lombardo è tutta un saliscendi, una carrellata di colpi del destino e di ingiustizie che avrebbero steso un toro e, in effetti, nel suo caso le discese sono decisamente più numerose delle salite. A parte la battaglia con due tumori, per cui dovette lasciare il primo lavoro, un magro assegno d' invalidità civile continuamente decurtato, questo imprenditore è passato dalle telecamere alla società di produzione per documentari scientifici (abortita quando l' allora ministro della Salute De Lorenzo tagliò i fondi alla ricerca), all' apertura di un supermercato in Toscana poi fallito, al lavoro come autista di camion per portare a casa la pagnotta, fino a una condanna ai servizi sociali e alla carità in strada, come aveva fatto nel 2014.

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In passato Prosperi, di nome ma non di fatto, si è fidato delle persone sbagliate, è stato truffato da chi doveva difenderlo, ha perso centinaia di milioni di vecchie lire e quasi tutte le cause che aveva intentato per riavere indietro i suoi soldi. «Si figuri che secondo la giustizia italiana io dovevo pagare chi mi ha mandato in rovina». Un lungo bollettino di sfortune.

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Ultima, in ordine di tempo, la sorpresa dello scorso gennaio. Di quando, dopo un periodo in Toscana a trovare i nipotini, ha scoperto che, a causa della posta non ritirata per alcuni giorni, gli era stato tolto il reddito d' inclusione, «quei pochi quattrini che mi servivano per fare la spesa e far mangiare i miei cani». Lui si è infuriato ed è andato in Comune a farsi le proprie ragioni. «Ci vuole tempo», hanno allargato le braccia. «Ripassi a marzo». Poi marzo è arrivato, ma non è successo niente per questo dal 7 si è rimesso davanti alla Rinascente, stavolta con un cartello che parla chiaro: «Vergogna!! Italiano a cui è stato revocato il Rei (reddito d' inclusione), tenuto dai servizi sociali 24 giorni senza mangiare in attesa dell' elemosina».

Quanto si fermerà qui? «Non lo so. Ma voglio che si conosca la situazione di chi ha sempre lavorato e non ha nessun aiuto dallo Stato. Adesso c' è questo reddito di cittadinanza fatto dai grillini: benissimo, voglio vedere cosa s' inventano pur di non darmelo». C' è ancora un filo di speranza, insomma. «Nel 2012 a causa della crisi si suicidavano due imprenditori al giorno», ricorda. «Io ho tentato per quattro volte, l' ultima è stata la settimana scorsa sotto a un bus. Solo che l' autista ha frenato».

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dall'articolo di  Brunella Bolloli  per LiberoQuotidiano.it 

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