MATTEO RENZI mediumUn asse con Grillo. Pur di ottenere il voto al più presto, aprile o giugno, Matteo Renzi pensa alla mossa più hard. Estendere al Senato l’Italicum (così come l’ha modificato la Consulta), proprio come chiedono i Cinque Stelle dal minuto dopo la sentenza della Corte. Anche se le simulazioni, uscite ovunque, attestano che non assicura governabilità. “Possiamo prendere il 40 per cento” ripetono i suoi in un clima da training autogeno. La mossa è oggetto di valutazioni molto concrete, in quello che sembra un gabinetto di guerra permanente al Nazareno. L'obiettivo è sterilizzare le obiezioni del Quirinale sulla necessità di armonizzare le leggi per le due Camere, dopo che usciranno – tra il 6 e l’8 febbraio – le motivazioni della Consulta.

Perché a quel punto, con l’Italicum in entrambi i rami del Parlamento, l’uniformità sarebbe garantita. E ci sarebbe anche un altro nutrito pacchetto di “nominati” da offrire - oltre a quelli della Camera - in modo da appagare gli appetiti delle correnti, secondo lo schema anticipato dall’HuffPost: seggi sicuri, per ottenere l’appoggio alla linea della forzatura (leggi qui).

Il 13 febbraio è la nuova data del nuovo ok Corral del renzismo. Alla direzione del Pd il segretario vuole arrivare con un schema blindato. Che suona così: la legislatura è politicamente finita il 4 dicembre, e questo lo abbiamo detto dal primo minuto; la legge elettorale non può essere l’alibi per tirarla avanti; approviamo l’Italicum al Senato e andiamo al voto, senza congresso e primarie. Soffocata la discussione, di qui ad allora, perché il rischio che scappi di mano è alto. Il malumore, tra i gruppi è tangibile. Più di un parlamentare sussurra: “I gruppi, per discutere di legge elettorale non si riuniscono. Al partito decide uno solo”. Francesco Boccia esce dall’Aula attaccato al telefono per sollecitare la raccolta firme per il congresso, promossa assieme ad Emiliano: “Io il 13 gli metto le firme sul tavolo. Non esiste che non si possa discutere. Ma come, qua si può anticipare il voto e non il congresso?”.

Non era mai accaduto che nella storia del Pd è sdoganato il temine scissione. Pier Luigi Bersani ha fatto filtrare, per la prima volta: “Porrò questioni politiche e ascolterò la risposta. Non garantisco nulla”. Ben diverso da quando diceva: il Pd è casa mia, per cacciarmi devono arrivare coi carri armati. Insomma, se non si cambia rotta, liberi tutti. Perché non è questione di posti. È questione politica. Impossibile, per la sinistra, se si va al voto fare campagna elettorale chiedendo il voto per Renzi, che non ha dato nessun segno di discontinuità su lavoro, scuola, banche, sociale. Anche Giuliano Pisapia in questi giorni ha ricevuto diverse telefonate. E, contrariamente alla vulgata dominante, si è mostrato interessato alla nascita di un soggetto della sinistra.

dall'articolo di  huffingtonpost.it 

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