Le condizioni minime di igiene non vengono garantite. Eppure i centri costano allo Stato 2,5 milioni al giorno. Guardate queste foto, scattate negli ultimi tempi nel centro di accoglienza di Conetta, quello gestito da Ecofficina, coop padovana mattatrice sul territorio nel business dell'accoglienza.

E in queste immagini, precedenti alla rivolta, c'è più business che accoglienza. Muri sbrecciati, pavimenti lerci, bagni sudici, letti di recupero dove gli «ospiti» dormono accatastati l'uno sull'altro, usando coperte e asciugamani come «pareti» per avere un po' di privacy, taniche d'acqua poggiate sul pavimento. E poi insetti, sporcizia, persino serpenti nella struttura.

Carenze simili sono spesso la norma per i Cas, incapaci a dispetto del nome di assicurare non solo una straordinaria accoglienza, ma anche una normale. Mancando spesso di rispettare quanto previsto dai capitolati d'appalto. Se questi sono gli standard del sistema di accoglienza per le decine di migliaia di immigrati che arrivano in Italia, un sistema che per i soli Cas - gestiti da coop e privati - ci costa più di 2,5 milioni di euro al giorno, sfiorando il miliardo di euro l'anno, forse c'è qualcosa che non va. E se a questo ci porta il dovere di rispondere alla chiamata umanitaria di fronte al flusso continuo di arrivi sulle nostre coste, forse è il caso una volta per tutte di piantar grane in Europa. Perché diversi partner Ue se ne fregano della solidarietà e si fregano le mani per la convenzione di Dublino, quella che stabilisce che i richiedenti asilo sono obbligati a chiedere la protezione nel Paese di ingresso. Che praticamente sempre vuol dire o Grecia o Italia, mentre i «ricollocamenti» sembrano già falliti.

Emergenza endemica, dunque, proprio mentre ieri sono stati espulsi un marocchino (a Padova) e un tunisino (a Siracusa) per ragioni di sicurezza nazinale e «pericoloso proselitismo». un'emergenza gestita affidandosi anche ai Cas. Gli effetti sono spesso dirompenti come quelli di Cona, tra rivolte, sequestri di persona e polemiche che tornano caldissime. Ma i problemi non sono nuovi. La coop Ecofficine, per esempio, è impelagata da tempo in inchieste giudiziarie. Ad aprile Rovigo aveva indagato per truffa aggravata e maltrattamenti il presidente della coop Gaetano Battocchio e la vicepresidente Sara Felpati. A maggio scorso Battocchio e il marito della Felpati, Simone Borile, s'erano ritrovati indagati per truffa aggravata e falso. A settembre Confcooperative Veneto aveva sospeso Ecofficine perché troppo attiva nel business dell'accoglienza. Durissimo il commento del presidente dell'associazione, Ugo Campagnaro: «Vogliamo prendere le distanze da questa cooperativa e dal modello che propone». Poco attento alla «qualità dell'intervento». Molto al business, se il bilancio della coop è passato da 114mila euro del 2011 a quasi 10 milioni nel 2015. Ora spunta un video nel quale la vicepresidente della Coop, nel corso di un presunto «sequestro» da parte di alcuni ospiti (in 5 sono sotto processo a Padova) che chiedevano i documenti d'identità, li rimprovera duramente chiamandoli ripetutamente «macachi», che in Veneto sarà pure un sinonimo di «cretini» ma certo non è un complimento. L'istantanea è impietosa. Il sistema fa acqua e va riformato. Lo dicono tutti, soprattutto dopo ogni scandalo. Ma il business fa gola a molti. Gli stessi che aspettano che le acque torbide sollevate a Cona sedimentino. Per tornare a far soldi a spese dei macachi - noi e gli ospiti - fino al prossimo «incidente».

di    per ilgiornale.it  

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