legge elettoraleI partiti ne parlano tutti i giorni. E basta: a oltre due mesi dal referendum e dai proclami di "tutti al voto", ogni forza politica presenta la propria proposta di riforma elettorale senza però cercare accordi. In commissione (che non esaminerà niente fino alle motivazioni della Consulta) ne sono depositate 16, ma altre saranno presentate e altre ancora sono annunciate. Eccole, una per una: il Mattarellum del Pd, il Legalicum del M5s, lo Speranzellum di Speranza e gli strani amori tra alfaniani e Giovani Turchi.

Non è forse vero che l’attesa della legge elettorale è essa stessa la legge elettorale? Servirebbe più di un camparino di quello spot – che parafrasa un po’ Lessing e un po’ Leopardi – per mandare giù senza soffocare il mappazzone di sistemi che i partiti vendono come al mercato dell’ortofrutta, come se ciascuno brandisse il più bello del mondo. Gli elettori passano in mezzo alle loro bancarelle e l’unica reazione possibile è fregarsene un po’ perché sono cose di una noia mortale e un po’ perché “con la legge elettorale non ci si mangia”. Eppure senza regole serie non funziona neanche il condominio, figurarsi il modo di comporre un Parlamento, cioè il posto in cui si dovrebbero fare le leggi che “fanno mangiare”. I politici sentono l’urgenza civile di mantenere in salute la democrazia tanto che di leggi elettorali di solito ne parlano come parlano del freddo in ascensore: per riempire il tempo. Così, mentre, rossi in viso, si rotolano sul pavimento perché si accapigliano su preferenze doppie e collegi uninominali, la conseguenza è che una settimana dopo, un mese dopo, al massimo un anno dopo succede quello che finalmente tutti vogliono: continuare a parlare.

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