ricerca 675I nostri cervelli nel 2015 hanno conquistato l’ottavo posto nel mondo per numero di pubblicazioni scientifiche su riviste d’eccellenza, davanti a Paesi che investono molto più di noi. Eppure l’Italia investe, secondo l’Ocse, appena l’1,3% del Pil, contro la media Ue del 2%, il 2,8% degli Usa, il 2,9% della Germania e il 4,3% di Israele, in vetta a questa speciale classifica. Pochi, malpagati, ma estremamente produttivi. Sono i ricercatori italiani. Nel 2015 la loro percentuale ogni mille occupati in Italia, secondo l’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), era pari al 4,73%, contro una media europea del 7,4%. Stando alle statistiche della banca dati “SciVal di Scopus”, però, “i ricercatori italiani sono all’ottavo posto nel mondo per numero di pubblicazioni scientifiche su riviste d’eccellenza, davanti a Paesi che investono molto più di noi. La quota di pubblicazioni scientifiche italiane si attesta, nel quadriennio 2011-2014, intorno al  3,5% del totale mondiale, con una crescita del 4% annuo della produzione scientifica nazionale”.

Eppure, l’Italia investe in ricerca, sempre secondo l’Ocse, appena l’1,3% del Pil, contro la media Ue del 2%, il 2,8% degli Usa, il 2,9% della Germania e il 4,3% di Israele, in vetta a questa speciale classifica. Una cifra lontana dall’obiettivo del 3% tracciato dal Trattato di Lisbona per il 2020. Sono alcuni dei dati emersi in un incontro organizzato presso il Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) dalla Consulta dei presidenti degli enti pubblici di ricerca e dalla Crui, la conferenza dei rettori delle università italiane, intitolato “La ricerca pubblica italiana: risultati, obiettivi e risorse”.

Dal 2008 persi 1 miliardo e 10mila ricercatori
Una riunione dalla quale il mondo della ricerca lancia un appello alla politica: “Maggiori risorse per poter essere sempre più competitivi”. “Quella per la ricerca – spiega Massimo Inguscio, presidente del Cnr e da alcune settimane alla guida della Consulta dei presidenti degli enti pubblici di ricerca – non è una spesa, ma un investimento”. La paura degli scienziati italiani è, infatti, che la richiesta dell’Europa di una manovra correttiva dei conti pubblici italiani di 3,4 miliardi, possa comportare nuovi tagli alla ricerca. “Dal 2008 l’università ha perso 1 miliardo di finanziamenti e 10mila ricercatori – afferma Gaetano Manfredi, presidente Crui -. Se riuscissimo a recuperare almeno questi fondi, sarebbe già un buon risultato, anche se non ancora ottimale. Tagliare nei settori dell’università e della ricerca equivale, infatti, a tagliare la crescita del Paese. Un autentico suicidio”.

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