naveQualche scheletro comincia a uscire dagli armadi chiusi a chiave dei Palazzi romani, dove rimane custodito un pezzo di storia d’Italia ancora tutta da scrivere: l’affondamento nei nostri mari delle famigerate navi a perdere, meglio note come navi del veleni. La Commissione bicamerale di inchiesta sul ciclo dei rifiuti presieduta da Alessandro Bratti ha chiesto e ottenuto il via libera alla desecretazione di alcuni documenti in mano all’allora Sismi, il Servizio (il Servizio segreto militare, oggi Aise). Nulla che metta repentaglio la sicurezza nazionale, intendiamoci, solo carte in cui si conferma quanto Legambiente, insieme ad altre associazioni, investigatori coraggiosi e cittadini, denuncia sin dall’inizio degli anni Novanta. Flussi impressionanti di rifiuti industriali, compresi quelli radioattivi e in mano a enti pubblici, provenienti spesso pure dall’estero, che grazie al ruolo svolto da strutture criminali per decenni sono stati spediti in giro per il mondo e seppelliti in mille modi nel nostro paese, avvelenandolo. Un sistema che si è retto anche grazie al ruolo di intermediazione svolto dalle mafie, che hanno offerto i loro stessi territori per gli sversamenti. Anche il mare è finito per essere vittima di questo schema. Secondo diverse testimonianze, al largo delle nostre coste si sarebbero consumati naufragi pianificati a tavolino sotto la regia dei capi mafia, soprattutto afferenti alle locali di ‘ndrangheta, con quel minimo di tritolo che abbondava nei loro arsenali e che serviva ad aprire facili brecce negli scafi. L’abisso avrebbe custodito ogni segreto, senza nessuno scrupolo. “Ma sai quanto ce ne fottiamo del mare?” dice un boss al suo interlocutore durante una conversazione intercettata dalla Dda di Reggio Calabria, “Pensa ai soldi, che con quelli il mare andiamo a trovarcelo da un’altra parte...”. Affondamenti, sia detto per inciso, che qualche investigatore ben informato, off record, sostiene siano ancora in atto.  

In un documento ufficiale della Dia, solo nel nell’arco temporale 1995-2000 sono stati registrati ben 637 affondamenti sospetti nei mari del mondo, 52 nel nostro Mediterraneo. Sospetti perché avvenuti con condizioni meteo perfette e con il mare piatto, senza lanciare May day, con rotte e carichi anomali rispetto ai documenti ufficiali, con equipaggi che appena messi in salvo facevano perdere le loro tracce. Del destino di quei natanti se ne interessavano solo le compagnie di assicurazione, come i Lloyd’s, che dovevano sborsare i premi assicurativi, e per questo in quei naufragi ci ha sempre sentito puzza di bruciato.  

 

Continua ... Antonio Pergolizzi per LaStampa.it 

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