Un movimento politico s’instaura sul crollo di un’esaltazione: i raggiri di quello non si addicono a questa. Altrimenti Lenin non avrebbe mai scritto «Che fare?». Lo spontaneismo è bello all’inizio, nella fase aurorale, quando c’è mobilitazione, la partecipazione dei nauseati dalla politica, quando non esistono gerarchie, burocrazie. Dopo però arriva il pantano, l’irrealismo, l’obliquità: i raggiri, appunto.Si comincia a fare la conta dei flop delle cosiddette Sardine, nonostante Mattia Santori insista nel proporre il movimento come un «anticorpo a un vecchio modo di fare politica»: quattro gatti a Scampia; piazza mezza vuota a Pistoia; la photo inopportunity con i Benetton; i primi dissidi interni nelle parole di Stephen Ogongo.La storia non è nuova: ci sono state le catene umane dei girotondini invocate da Nanni Moretti, poi il Popolo Viola di San Precario (molto coccolato da intellettuali e artisti), poi il Movimento Arancione («Noi siamo il potere dei senza potere, la voce dei senza voce»), quello dei sindaci Pisapia, Doria e de Magistris, poi l’indignazione delle donne di Se Non Ora Quando, bollate come «radical chic», poi ancora le madamine di Torino, poi le Sardine, «i partigiani del nuovo millennio».

Evaporato l’entusiasmo, resta l’incomodo di andare avanti. Passato il diletto, resta il dilettante.

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