Paolo Pace 2Paolo Pace lascia dopo i dissidi nella sua maggioranza. Salvo ripensamenti (ci sono comunque 20 giorni per il ritiro delle dimissioni, e dalle parti di Garbatella ormai si sono abituati ai ribaltoni politici), il Campidoglio dovrà procedere al commissariamento che porterà a nuove elezioni. A Roma è caduto il primo governo del Movimento 5 stelle: dopo la lunga crisi interna, la rottura con gli attivisti e la spaccatura interna al gruppo di portavoce, si è dimesso il minisindaco del Municipio VIII, Paolo Pace. Non è certo importante come quello di Virginia Raggi e del Comune, ma è comunque un pezzettino dell’amministrazione a 5 stelle della Capitale che viene meno. E che permette alle opposizioni di tornare subito all’attacco: “È la dimostrazione di una ormai evidente inadeguatezza di governo del M5S, una ‘armata brancaleone’ senza la ben che minima idea della città e del suo sviluppo per il futuro”, commenta la capogruppo Pd in Comune, Michela Di Biase. Mentre Andrea Catarci, del gruppo Consiglieri di Sinistra molto forte sul territorio, si augura che “ora anche la Raggi segua l’esempio di Pace, lasciando il governo a chi è capace”. Salvo ripensamenti (ci sono comunque 20 giorni per il ritiro delle dimissioni, e dalle parti di Garbatella ormai si sono abituati ai ribaltoni politici), il Campidoglio dovrà procedere al commissariamento che porterà a nuove elezioni.

Intanto nel Municipio VIII l’avventura di governo del Movimento finisce a stracci in faccia, tra accuse reciproche e insulti. L’epilogo forse inevitabile di una crisi che si è trascinata per mesi, su ogni piccola questione, esplodendo di recente sulle nomine della minigiunta e la discussa riqualificazione degli ex Mercati Generali. Il gruppo dei consiglieri si è spaccato a metà, con 9 portavoce che hanno messo in minoranza il presidente e i suoi fedelissimi. Inutili i mille tentativi del Comune, che prima si era schierato col minisindaco, poi ha provato a lungo a fare da paciere e adesso condanna le dimissioni: dopo l’invio sul territorio di vari consiglieri comunali (tra cui tre tutor e il capogruppo Paolo Ferrara) a un certo punto era intervenuta la stessa Virginia Raggi, convocando i litiganti in Campidoglio. Un vertice fiume fino a notte fonda, che sembrava aver sancito almeno una tregua armata, subito però smentita dallo stesso Pace. Così negli ultimi giorni erano ricominciati gli attacchi incrociati: i “dissidenti” avevano lanciato un ultimatum di una settimana, tornando ad agitare lo spauracchio della mozione di sfiducia. Il presidente municipale li ha anticipati, presentando le dimissioni.

Irrevocabili? “La legge non lo dice, lo saranno fra 20 giorni”, commenta a caldo a ilfattoquotidiano.it. “Fino ad allora non escludo niente, anche se non mi sembrano esserci i margini per continuare quest’esperienza”. Il condizionale, insomma, resta d’obbligo: qualcuno ipotizza che si tratti solo dell’ennesima mossa, in questa infinita partita a scacchi politica. Ma è davvero difficile pensare ad una riconciliazione, dopo l’ultimo strappo. “Me ne vado perché ho una dignità, è impossibile lavorare in queste condizioni, con i consiglieri che non rispettano i ruoli e fanno opposizione interna”.  Dall’altra parte il gruppo dei ‘ribelli’ scarica ogni responsabilità sul presidente, sulla sua “gestione autoritaria ed in contrasto con lo spirito del Movimento”. Nessuno ammette le colpe, ma tutti riconoscono la sconfitta: “È chiaro che se andiamo a casa dopo nove mesi qualcosa non ha funzionato: bisognava stare più attenti alle persone che ci siamo scelti”, il giudizio di Pace. Curiosamente è la stessa, identica opinione – solo rivolta al contrario – di Marco Salietti, uno dei consiglieri dissidenti: “Questa vicenda dimostra che non eravamo preparati per governare: ad essere onesti non pensavamo che saremmo stati eletti, e forse abbiamo commesso degli errori nella valutazione di alcune persone”.

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