Erano priorità che si indicavano per il nuovo governo che il Partito Democratico si è impegnato a costituire con Paolo Gentiloni. Tra fine aprile e metà maggio vanno in scadenza i vertici delle cinque più grandi aziende partecipate dallo Stato, due giganti come Eni ed Enel ma anche Poste, Terna, Leonardo-Finmeccanica. Nel giro di poche settimane scadono anche gli incarichi del Comandante dei Carabinieri e del Capo di Stato Maggiore della Difesa e in giugno andranno rinnovati i vertici dell’Agenzia delle Entrate e quella del Demanio. Tutte nomine che molto probabilmente il governo Gentiloni dovrà effettuare, mentre traballa (ma non troppo) anche la poltrona dell’amministratore delegato della RAI Antonio Campo Dall’Orto dopo le dimissioni di Verdelli.
Le nomine nelle aziende pubbliche e il governo Gentiloni
Ma se il renzianissimo Dall’Orto in un’intervista al Corriere ha dichiarato di non avere alcuna intenzione di dimettersi anche se il governo che l’ha nominato è cambiato, all’insegna della continuità dovrebbe essere anche la decisione sulle nomine del Conte Silverj, anche se lui stesso ad oggi ha dichiarato che la questione non è prioritaria visto che prima si dovrà sapere quando si andrà alle urne e nel caso di rapido ritorno, auspicato dai renziani nel PD e da 5 Stelle e Salvini, il governo lascerà l’incombenza al successore. Se invece, come ad oggi appare più probabile, non si andrà a votare tanto presto toccherà a Gentiloni muoversi. Spiega oggi Fabio Martini sulla Stampa che la conferma in blocco pare difficile perché in alcuni casi ci sono delle situazioni da valutare attentamente:
Sub iudice, nel senso che si trovano tra color che son sospesi dal punto di vista giudiziario, due pezzi da novanta: l’amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi e quello di Leonardo-Finmeccanica Mauro Moretti. Sul primo incombe un possibile rinvio a giudizio, sul secondo una condanna in primo grado per una vicenda che risale alla stagione delle Ferrovie. E anche se non è scontato che le due vicende giudiziarie si concludano in senso negativo, anche una sola delle due caselle impegnerebbe il governo in una scelta impegnativa. Ancora tutti da decidere i criteri e soprattutto le misure nella «spartizione» delle poltrone: tre anni fa, a caldo, la vulgata che accompagnò l’infornata di nomine attribuì a Renzi il ruolo di «assopigliatutto».
Una lettura che si rivelò forzata: le nomine più discontinue furono volute dal presidente del Consiglio, ma tra i premiati c’erano anche personaggi «bipartisan», già collaudati nella stagione berlusconiana. Allora Forza Italia era dentro il patto del Nazareno. Ma oggi, dopo una «quaresima» di tre anni, Berlusconi è di nuovo in gioco e dirà la sua. E stavolta sarà difficile non ascoltare l’ambasciata americana a Roma sulle nomine all’Eni: fra qualche settimana il Segretario di Stato sarà uno che di petrolio se ne intende: Rex Tillerson, ex boss di Exxon.
Quaranta poltrone in ballo
Ci sono comunque una quarantina di poltrone in ballo: «11 all’Eni tra presidente, ad, consiglieri e sindaci, 10 a Terna (6 consiglieri e 4 sindaci), 7 a Leonardo-Finmeccanica (presidente, ad e 5 consiglieri), 6 all’Enel e 5 alle Poste)», conta oggi Paolo Baroni sempre sulla Stampa. E visto che a maggio sono state fissate le assemblee di Poste e Finmeccanica e la prassi vuole che un paio di settimane prima il ministero del Tesoro indichi i nomi, questo significa che i primi nomi dovrebbero arrivare a metà aprile. Difficile che il governo sia fuori dai giochi già in quel mese.
In più ci sono i vertici del demanio e dell’Agenzia delle Entrate, dove ballano Rossella Orlandi e Roberto Reggi. Difficile che un governo se ne stia con le mani in mano. E poi dopo ci sono le elezioni. Dove potrebbe succedere di tutto.
di Alessandro D'Amato per nextquotidiano.it