capture 001 03032022 164014Ha tutte le premesse per ingarbugliarsi ancor di più quel che già ora si presenta come un pasticciaccio brutto. Parliamo della vendita di quattro corvette Fcx30, due sottomarini classe Trachinus, prodotti da Fincantieri e aerei M346 (Leonardo) alla Colombia. E che vede Massimo D’Alema nelle insolite vesti di mediatore. Parliamo di una commessa di 5 miliardi che avrebbe portato nelle tasche dei facilitatori qualcosa come 80 milioni. Nelle operazioni finanziarie il costo della commissione (success fee) si ricava dall’entità dell’affare. In questo caso, tuttavia, è lo stesso D’Alema a quantificarla nel corso di un colloquio abusivamente registrato dal mediatore colombiano.

D’Alema lo ha dichiarato a Repubblica

«Di quei soldi non avrei preso un euro, dovevo convincere un interlocutore riluttante a fare una scelta nell’interesse dell’Italia e non mia personale», si è giustificato l’ex-premier in un’intervista a Repubblica. Tutto chiarito, dunque? Per niente, visto che nella stessa intervista D’Alema riferisce di aver parlato dell’attività in corso sia con la nostra ambasciatrice in Colombia sia con il viceministro alla Difesa Giorgio Mulè. Alla domanda su quale fosse stata la reazione di quest’ultimo, l’ex-leader del Pds afferma testualmente: «Non ha parlato direttamente con me. Mi è stato riferito che avrebbe detto di andare avanti».

capture 066 27082021 124142Covid-19. Strategico il trattamento precoce al domicilio. I risultati dello studio del Mario Negri e dell’Ospedale di Bergamo

Il trattamento accurato dei pazienti a domicilio da parte dei Mmg si è tradotto in una diminuzione da 13 a 2 pazienti con esigenza di ospedalizzazione e una riduzione di oltre il 90% dei giorni di ricovero e dei relativi costi di trattamento. Lo studio è stato pubblicato su EClinicalMedicine. I risultati sono comparabili a quelli riportati dal Lancet su un farmaco cortisonico comunemente usato per l’asma che si somministra per inalazione. LO STUDIO

 

11 GIU - L’intervento tempestivo alla comparsa dei primi lievi sintomi del Covid 19, senza attendere l’esito del tampone, potrebbe aiutare ad accelerare il recupero e a ridurre l’ospedalizzazione dei pazienti.  E i farmaci antinfiammatori non steroidei (Fans), assunti al domicilio del pazienti sotto il controllo del Mmg, sono probabilmente quelli più indicati nelle prime fasi della malattia.

«Siamo dei cadaveri che camminano». Usa queste parole Paolo Borsellino nell'intervista rilasciata a Lamberto Sposini che lo incontra per commentare l'omicidio Falcone

Il Corriere della Sera, che sin dalla fondazione nel 1876 crede nel valore primario dell’informazione, ha aderito al Trust Project. Si tratta di un’iniziativa internazionale che coinvolge centinaia di testate in tutto il mondo e punta a chiarire da subito ai lettori la credibilità e l’autorevolezza di un contenuto giornalistico. Per farlo, assegna una etichetta riconoscibile sulla base di standard uniformi e condivisi.

capture 049 30062021 145019Marco Travaglio non si dà pace per Giuseppe Conte. È in collegamento con il Tg2 post nel giorno in cui Beppe Grillo ha praticamente licenziato l'ex premier. Il direttore del Fatto quotidiano tira fuori un dettaglio che nessuno aveva ancora portato all'attenzione, ovvero che l'operazione del garante di "restaurare" il vecchio M5s potrebbe fallire. Non solo. Qualcuno rischia di finire in tribunale

Quello che ha annunciato oggi Beppe Grillo, ovvero di aver sentito Davide Casaleggio e di aver avuto il via libera a indire una consultazione online per eleggere un consiglio direttivo per gestire il futuro del Movimento, non si può fare per legge. Il giornalista fa riferimento al precedente legale relativo alla consegna da parte dell'associazione dell'elenco degli iscritti M5s. Ora, secondo il direttore de Il Fatto, Rousseau non può tornare a gestire iscritti, elenchi e votazioni del Movimento. 

Nel suo lungo e appassionato intervento al Tg2 Post Travaglio ha detto tra l'altro che Grillo  è "chiuso nel suo bunker", non più in linea con le convinzioni del Paese e degli stessi iscritti al M5s. A riprova di questo ha invitato tutti ad andare a vedere i commenti su Facebook sotto il post del garante.

Difficile, in realtà, trovarne uno che è d'accordo col fondatore del Movimento, la maggior parte dei commentatori critica pesantemente l'uscita dell'"eletto" con toni che arrivano spesso a volentieri al "vaffa" in una nemesi significativa. Il direttore del Fatto, sempre a Tg2 Post, ha anche invitato gli iscritti "a farsi sentire", ossia a ribellarsi al capo. 

 
 www.iltempo.it

capture 045 04122020 104805Il premier (con tanto di grafiche stilizzate) spiega il piano cashback voluto dal governo. Ma l'app già non funziona

L'ultima conferenza stampa del premier Conte era partita con l'intenzione di spiegare il contenuto del nuovo Dpcm-Natale, poi è sfociata in una vera e propria televendita.

Il premier di fatto ha usato la diretta tv e i milioni di italiani incollati davanti allo schermo per fare propaganda illustrando anche le ultime iniziative del governo sul piano economico. Infatti Conte, subito dopo aver elencato tutti i divieti previsti dal Dpcm, si è concentrato (con tanto di grafica da televendita) a sponsorizzare il piano cashback che di fatto è nato per abbattere l'uso dei contanti. In compagnia di una palla di Natale stilizzata con il logo 10 per cento (il valore del rimborso sulle transazioni con carta), il premier ha dato voce alla sua televendita: "Per sostenere le attività commerciali e per aiutare le famiglie abbiamo deciso di far partire il piano Italia cashless".

Poi la domanda retorica, tipica della televendita: "Cosa significa? Che dall'8 dicembre prenderà il via il cashback di Natale. Si avrà un rimborso del 10 per cento su tutti gli acquisti fino al 31 dicembre. Il tutto pagando con carta la spesa, il pane, carne, i giocattoli dei bambini". Altra pausa scenica e poi prosegue: "Ci sarà un rimborso che potrà arrivare fino a 150 euro. Questo, attenzione, vale per il singolo acquirente e quindi sarà cumulabile. Non sarà valido per gli acquisti su internet". Poi illustra gli strumenti per partecipare a questo "gioco" sponsorizzato da Conte: "Per partecipare a questo programma dovrete scaricare l'app "Io" e registrarvi con lo Spid".

capture 528 29112020 094119“Da eroi a farabutti”. Il governatore della Campania Vincenzo De Luca nella bufera per una frase affermata senza riconoscenza alcuna. I medici, anestesisti e rianimatori non ci stanno, le offese ricevute sono gravi.  “Affermare pubblicamente che esiste una ‘piccola percentuale di farabutti che cerca di non fare il suo dovere’ è assolutamente offensivo. La diretta Facebook dello “sceriffo” è irricevibile “per una categoria di professionisti che sta rischiando la vita ogni giorno per garantire l’adeguata assistenza ai cittadini campani”. Lo afferma Giuseppe Galano, presidente campano della Aaroi-Emac (Associazione Anestesisti Rianimatori Ospedalieri Italiani Emergenza Area Critica)

Medici in rivolta contro De Luca

In una lettera aperta al presidente della Regione Campania i sanitari scrivono: “Affermare che alcuni “farabutti” evitano “i ricoveri in Terapia Intensiva, soprattutto in orario 20-08, per poter affrontare in modo più sereno la nottata”,  non è tollerabile. “Tali affermazioni – spiega Galano rischiano di essere fuorvianti per l’opinione pubblica. Catalizzandole ire e le insoddisfazioni di quest’ultima, spesso causate da un sistema in sofferenza, su professionisti. Che, invece, sacrificano, ogni giorno, se stessi e i propri affetti”.

“Non basta l’espressione ‘piccola percentuale’, per evitare che da eroi si finisca per essere dei ‘farabutti'”, aggiungono. “Presidente, forse le sarà sfuggito che le chiamate della Centrale 118 vengono indirizzate ai referenti delle strutture Covid 19 che appartengono alle direzioni sanitarie. Per cui le chiamate non vengono assolutamente intercettate dagli anestesisti rianimatori. Presidente De Luca, se crede che vi siano degli atteggiamenti ‘non professionali’ o addirittura delinquenziali, metta in atto ogni possibile controllo per evidenziarlo”. Insomma, usi il lanciafiamme tanto evocato.

capture 205 06112020 141442Cesare Paladino, papà di Olivia Paladino compagna del premier Giuseppe Conte, è un imprenditore e proprietario del Grand Hotel Plaza di Roma. Tempo fa era stato indagato per peculato dalla Procura di Roma, che lo accusava di essersi intascato la tassa di soggiorno versata dai turisti che approdavano nel cinquestelle lusso di via del Corso. Un'altra volta si è scoperto che aveva un debito con il fisco di quasi 36 milioni di euro con la rateizzazione concessa Paladino a un certo punto smette di pagare le rate. Adesso invece è accusato di non aver saldato una fornitura da 5mila euro al suo hotel di prosecco.

Paladino è accusato di questo da un imprenditore del nordest: Sandro Bottega. L'uomo  ha una azienda  di vini e di grappe. All'inizio del 2019 entra in contatto con il Plaza. A primavera iniziano le forniture, che per legge Paladino dovrebbe pagare a sessanta giorni, ma dopo novanta giorni non ha ancora ricevuto un  euro: "Abbiamo seguito la prassi che utilizziamo in tutti i casi in cui il cliente non paga. Prima abbiamo segnalato garbatamente, poi abbiamo sollecitato per tre volte, infine abbiamo mandato una diffida facendo presente che se non saldavano le fatture avremmo dovuto adire le vie legali. Non è successo niente, per quasi un anno. Così il 30 settembre abbiamo ottenuto un decreto ingiuntivo dal tribunale di Treviso". Ma la cosa, scrive il Giornale, non si è risolta neanche così: "Non siamo riusciti a notificare il decreto perché adesso l'albergo è chiuso e l'amministratore era sempre assente. Dovremo fare causa, e i soldi chissà quando li vedremo. L'ultima che abbiamo fatta è durata dieci anni", conclude amaramente l'imprenditore veneto.

capture 010 10102020 230411Un ex di Prima Linea nominato nel ruolo di Garante dei detenuti. Succede a Livorno, grazie al Pd. A denunciare il caso dell’incarico assegnato a Marco Solimano è il deputato toscano di FdI, Giovanni Donzelli, che parla di “scelta inaccettabile e oltraggiosa verso le vittime”.

Una scelta che offende istituzioni e familiari delle vittime

“A Livorno l’amministrazione del Pd guidata dal sindaco Salvetti nomina nel ruolo di Garante dei diritti dei detenuti Marco Solimano, un ex terrorista dell’organizzazione Prima Linea, che – ricorda Donzelli – dalla seconda metà degli anni ’70 si è resa protagonista di 39 delitti con 16 uccisi e che ha contato negli anni quasi mille inquisiti”. “La sinistra – prosegue il deputato di FdI – insiste. E ancora una volta si qualifica da sola perpetrando una scelta offensiva nei confronti delle istituzioni e dei familiari delle vittime. Ed è grottesco – aggiunge Donzelli – che Solimano ricopra ancora un incarico nelle istituzioni. Se fosse stato per quelli come lui, queste istituzioni democratiche oggi non ci sarebbero”.

capture 118 07092020 131054Le grandi manovre di medio e lungo periodo del premier Giuseppe Conte fanno infuriare Matteo Salvini. "Parla di Mattarella bis e del presidente della Repubblica da eleggere tra 2 anni. Il presidente del Consiglio deve dare risposte oggi altrimenti si dimetta", dice il leader della Lega ospite a Start su SkyTg24. Questa è la "vecchia politica", attacca il leghista che sul Referendum tira una stoccata a Matteo Renzi. "Noi invitiamo a votare sì per coerenza, perché non siamo come Renzi. Lo abbiamo fatto in Parlamento e lo faremo anche fuori"; ha detto il senatore e leader della Lega. "Il referendum è il trionfo della democrazia, io non sono padrone del voto di nessuno. Il Parlamento può lavorare bene anche con 300 parlamentari in meno ma questo voto doveva essere legato ad altre iniziative", le parole di Salvini. 

Sul pronostico di 7-0 per il centrodestra nelle prossime elezioni amministrative Salvini ha detto: "Io sono ambizioso, Walt Disney diceva che se puoi sognarlo puoi farlo. Sento una gran voglia di cambiamento e di futuro; si vota in sette Regioni e la mia ambizione è di vincere ovunque. La Lega è primo partito di questo Paese con milioni di voti in più rispetto al secondo. Marche e Toscana da 50 anni votano a sinistra, ma c’è voglia di cambiamento. Quello per la Regioni è un voto concreto, ma da questo non dipenderanno le sorti del Paese".

capture 028 17062020 195804Ecco la potenza di fuoco annunciata da Giuseppi! Arrivano i miliardi promessi due mesi fa? Macché! Da parte delle sue truppe piovono dichiarazioni roventi contro il professor Alberto Zangrillo, direttore del reparto di terapia intensiva del San Raffaele di Milano, la cui colpa è quella di non aver spaventato la popolazione in diretta tivù. Zangrillo, su Rai Tre, ha detto che «clinicamente il Covid-19 non esiste più», che «i tamponi eseguiti negli ultimi 10 giorni hanno una carica virale dal punto di vista quantitativo assolutamente infinitesimale rispetto a quelli di uno o due mesi fa», che non si può continuare a prestare attenzione a chi si auto-proclama professore. E ancora: «Terrorizzare il Paese è qualcosa di cui qualcuno si deve prendere la responsabilità». Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di Sanità e fedelissimo di Conte, ha scatenato la controffensiva: «Non posso che esprimere grande sorpresa e assoluto sconcerto per le dichiarazioni del professor Zangrillo. Basta guardare il numero di nuovi casi ogni giorno per avere la dimostrazione della persistente circolazione in Italia del virus. Bisogna continuare sul percorso della responsabilità dei comportamenti individuali» ha aggiunto Locatelli «da non disincentivare con dichiarazioni pericolose». Non siamo medici, dunque ci limitiamo a constatare che il numero di nuovi contagi è crollato. E però se c'è qualcuno che ha reso «dichiarazioni pericolose» questi bazzica dalle parti di Palazzo Chigi. «L'Italia è prontissima» diceva a febbraio l'avvocato foggiano. «Abbraccia un cinese!» esclamavano i giallorossi che contemporaneamente davano del razzista ai governatori del Nord perché chiedevano 15 giorni di quarantena per chiunque fosse di ritorno dalla Cina. C'è poi lo studio dell'Istituto superiore di sanità secondo cui se la "fase 2" fosse stata anticipata di qualche giorno oggi ci sarebbero 151mila persone in terapia intensiva. Peccato che stando a tale previsione catastrofista in Italia dovrebbero esserci 100 milioni di abitanti. E meno male che ieri Luca Richeldi, membro del Comitato tecnico-scientifico della Protezione Civile, se n'è uscito così per stigmatizzare le parole di Zangrillo:

Petralia nei messaggi del magistrato indagato Lo contattò per fare il procuratore a Torino

P er mesi, magistrati illustri o sconosciuti di tutta Italia hanno incrociato le dita, sperando che Luca Palamara - collega potente e riverito fino al clamoroso tonfo per via giudiziaria - avesse avuto il buon senso di cancellare ogni tanto le sue chat. Perché sapevano che se si fosse risaliti non solo agli ultimi mesi, quelli della primavera 2019, ma anche più indietro, non si sarebbe salvato nessuno. Ma Palamara i messaggi non li cancellava. E adesso ce n'è davvero per tutti. Tutti coloro che in due anni hanno bussato alla porta del leader della corrente di Unicost per chiedere, proporre, trattare, sanno che il loro nome prima o poi salterà fuori dalla cornucopia dell'indagine della Procura perugina su Palamara e la sua cricca.

Così nel tritacarne finisce anche un magistrato che alla ribalta pubblica ci era arrivato nei giorni scorsi per la prima volta: Dino Petralia, il procuratore generale di Reggio Calabria, chiamato dal ministro Alfonso Bonafede per mettere un po' di ordine nel caos delle carceri italiane. L'arrivo di Petralia al Dap, il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, era stato salutato come una garanzia di esperienza e serietà. Ma ora si scopre che negli scorsi anni anche Petralia aveva chiesto l'aiuto di Palamara per conquistare un posto cui ambiva assai: la Procura di Torino, lasciata libera dal suo capo Armando Spataro nel dicembre 2018.

Per il posto di Spataro fanno domanda in quattordici, tra cui lo stesso Palamara. Petralia, per anzianità e curriculum, sembra di gran lunga il più titolato. Ma prima ancora che la commissione incarichi direttivi del Csm decida le proposte per il plenum, Petralia intuisce che la sparizione tra correnti rischia di tagliarlo fuori. Prima si sfoga telefonando a una collega, il giudice reggino Tommasina Cotroneo, che si precipita a chiamare Palamara: il quale le dice di rassicurare Petralia, «cercheremo di fare tutto il possibile che tutto vada bene». Ma sono promesse fatte d'aria. Petralia inizia persino a ricevere messaggi di «condoglianze» di colleghi che danno per scontata la sua bocciatura, e a quel punto chatta direttamente con Palamara. I messaggi si infittiscono fino all'ultimo sfogo, il 20 maggio 2019, quando Petralia si lamenta che nonostante i suoi «titoli oggettivi che nessun altro possiede» verrà scavalcato «per logiche antiche che pure questo Csm sosteneva di avere abbandonato».

Nove giorni dopo, però, scoppia il finimondo, con l'inchiesta per corruzione a carico di Palamara che esce allo scoperto e investe l'intero Csm. Petralia ci pensa un po', e il 17 giugno comunica al Csm la sua decisione di revocare la domanda per la Procura di Torino. La mossa appare all'epoca come una giusta dissociazione dal mercato delle nomine scoperchiato dall'inchiesta di Perugia, ma ora, inevitabilmente, va letta anche in un'altra luce: Petralia sapeva che frugando nel telefono di Palamara gli inquirenti avrebbero trovato anche i suoi messaggi, visto che risalivano a pochi giorni prima. Come salteranno fuori le pressioni che lo stesso Petralia aveva fatto l'anno precedente per aiutare un suo amico, Vito Saladino, a diventare presidente di sezione del tribunale di Marsala. Petralia chiede l'intervento di Palamara, che in quel momento è ancora membro del Csm. E il 4 luglio 2018, nell'ultima seduta prima del suo rinnovo, il Csm nomina Saladino.

Scene di ordinario sottobosco, si dirà, cui neanche magistrati rispettabili sapevano sottrarsi. Vero. Ma intanto le intercettazioni tra Palamara e Petralia creano una nuova, consistente rogna per il ministro Bonafede, che puntava sul magistrato siciliano come «uomo forte» sul fronte carcerario: e invece d'ora in poi, ad ogni scontro, Petralia si vedrà rinfacciare quelle chat. Il Dap, insomma, si ritrova un capo depotenziato, se non delegittimato: proprio nel momento meno adatto.

di Luca Fazzo per www.ilgiornale.it

Petralia nei messaggi del magistrato indagato Lo contattò per fare il procuratore a Torino

P er mesi, magistrati illustri o sconosciuti di tutta Italia hanno incrociato le dita, sperando che Luca Palamara - collega potente e riverito fino al clamoroso tonfo per via giudiziaria - avesse avuto il buon senso di cancellare ogni tanto le sue chat. Perché sapevano che se si fosse risaliti non solo agli ultimi mesi, quelli della primavera 2019, ma anche più indietro, non si sarebbe salvato nessuno. Ma Palamara i messaggi non li cancellava. E adesso ce n'è davvero per tutti. Tutti coloro che in due anni hanno bussato alla porta del leader della corrente di Unicost per chiedere, proporre, trattare, sanno che il loro nome prima o poi salterà fuori dalla cornucopia dell'indagine della Procura perugina su Palamara e la sua cricca.

Così nel tritacarne finisce anche un magistrato che alla ribalta pubblica ci era arrivato nei giorni scorsi per la prima volta: Dino Petralia, il procuratore generale di Reggio Calabria, chiamato dal ministro Alfonso Bonafede per mettere un po' di ordine nel caos delle carceri italiane. L'arrivo di Petralia al Dap, il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, era stato salutato come una garanzia di esperienza e serietà. Ma ora si scopre che negli scorsi anni anche Petralia aveva chiesto l'aiuto di Palamara per conquistare un posto cui ambiva assai: la Procura di Torino, lasciata libera dal suo capo Armando Spataro nel dicembre 2018.

Per il posto di Spataro fanno domanda in quattordici, tra cui lo stesso Palamara. Petralia, per anzianità e curriculum, sembra di gran lunga il più titolato. Ma prima ancora che la commissione incarichi direttivi del Csm decida le proposte per il plenum, Petralia intuisce che la sparizione tra correnti rischia di tagliarlo fuori. Prima si sfoga telefonando a una collega, il giudice reggino Tommasina Cotroneo, che si precipita a chiamare Palamara: il quale le dice di rassicurare Petralia, «cercheremo di fare tutto il possibile che tutto vada bene». Ma sono promesse fatte d'aria. Petralia inizia persino a ricevere messaggi di «condoglianze» di colleghi che danno per scontata la sua bocciatura, e a quel punto chatta direttamente con Palamara. I messaggi si infittiscono fino all'ultimo sfogo, il 20 maggio 2019, quando Petralia si lamenta che nonostante i suoi «titoli oggettivi che nessun altro possiede» verrà scavalcato «per logiche antiche che pure questo Csm sosteneva di avere abbandonato».

Nove giorni dopo, però, scoppia il finimondo, con l'inchiesta per corruzione a carico di Palamara che esce allo scoperto e investe l'intero Csm. Petralia ci pensa un po', e il 17 giugno comunica al Csm la sua decisione di revocare la domanda per la Procura di Torino. La mossa appare all'epoca come una giusta dissociazione dal mercato delle nomine scoperchiato dall'inchiesta di Perugia, ma ora, inevitabilmente, va letta anche in un'altra luce: Petralia sapeva che frugando nel telefono di Palamara gli inquirenti avrebbero trovato anche i suoi messaggi, visto che risalivano a pochi giorni prima. Come salteranno fuori le pressioni che lo stesso Petralia aveva fatto l'anno precedente per aiutare un suo amico, Vito Saladino, a diventare presidente di sezione del tribunale di Marsala. Petralia chiede l'intervento di Palamara, che in quel momento è ancora membro del Csm. E il 4 luglio 2018, nell'ultima seduta prima del suo rinnovo, il Csm nomina Saladino.

Scene di ordinario sottobosco, si dirà, cui neanche magistrati rispettabili sapevano sottrarsi. Vero. Ma intanto le intercettazioni tra Palamara e Petralia creano una nuova, consistente rogna per il ministro Bonafede, che puntava sul magistrato siciliano come «uomo forte» sul fronte carcerario: e invece d'ora in poi, ad ogni scontro, Petralia si vedrà rinfacciare quelle chat. Il Dap, insomma, si ritrova un capo depotenziato, se non delegittimato: proprio nel momento meno adatto.

di Luca Fazzo per www.ilgiornale.it

Petralia nei messaggi del magistrato indagato Lo contattò per fare il procuratore a Torino

P er mesi, magistrati illustri o sconosciuti di tutta Italia hanno incrociato le dita, sperando che Luca Palamara - collega potente e riverito fino al clamoroso tonfo per via giudiziaria - avesse avuto il buon senso di cancellare ogni tanto le sue chat. Perché sapevano che se si fosse risaliti non solo agli ultimi mesi, quelli della primavera 2019, ma anche più indietro, non si sarebbe salvato nessuno. Ma Palamara i messaggi non li cancellava. E adesso ce n'è davvero per tutti. Tutti coloro che in due anni hanno bussato alla porta del leader della corrente di Unicost per chiedere, proporre, trattare, sanno che il loro nome prima o poi salterà fuori dalla cornucopia dell'indagine della Procura perugina su Palamara e la sua cricca.

Così nel tritacarne finisce anche un magistrato che alla ribalta pubblica ci era arrivato nei giorni scorsi per la prima volta: Dino Petralia, il procuratore generale di Reggio Calabria, chiamato dal ministro Alfonso Bonafede per mettere un po' di ordine nel caos delle carceri italiane. L'arrivo di Petralia al Dap, il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, era stato salutato come una garanzia di esperienza e serietà. Ma ora si scopre che negli scorsi anni anche Petralia aveva chiesto l'aiuto di Palamara per conquistare un posto cui ambiva assai: la Procura di Torino, lasciata libera dal suo capo Armando Spataro nel dicembre 2018.

Per il posto di Spataro fanno domanda in quattordici, tra cui lo stesso Palamara. Petralia, per anzianità e curriculum, sembra di gran lunga il più titolato. Ma prima ancora che la commissione incarichi direttivi del Csm decida le proposte per il plenum, Petralia intuisce che la sparizione tra correnti rischia di tagliarlo fuori. Prima si sfoga telefonando a una collega, il giudice reggino Tommasina Cotroneo, che si precipita a chiamare Palamara: il quale le dice di rassicurare Petralia, «cercheremo di fare tutto il possibile che tutto vada bene». Ma sono promesse fatte d'aria. Petralia inizia persino a ricevere messaggi di «condoglianze» di colleghi che danno per scontata la sua bocciatura, e a quel punto chatta direttamente con Palamara. I messaggi si infittiscono fino all'ultimo sfogo, il 20 maggio 2019, quando Petralia si lamenta che nonostante i suoi «titoli oggettivi che nessun altro possiede» verrà scavalcato «per logiche antiche che pure questo Csm sosteneva di avere abbandonato».

Nove giorni dopo, però, scoppia il finimondo, con l'inchiesta per corruzione a carico di Palamara che esce allo scoperto e investe l'intero Csm. Petralia ci pensa un po', e il 17 giugno comunica al Csm la sua decisione di revocare la domanda per la Procura di Torino. La mossa appare all'epoca come una giusta dissociazione dal mercato delle nomine scoperchiato dall'inchiesta di Perugia, ma ora, inevitabilmente, va letta anche in un'altra luce: Petralia sapeva che frugando nel telefono di Palamara gli inquirenti avrebbero trovato anche i suoi messaggi, visto che risalivano a pochi giorni prima. Come salteranno fuori le pressioni che lo stesso Petralia aveva fatto l'anno precedente per aiutare un suo amico, Vito Saladino, a diventare presidente di sezione del tribunale di Marsala. Petralia chiede l'intervento di Palamara, che in quel momento è ancora membro del Csm. E il 4 luglio 2018, nell'ultima seduta prima del suo rinnovo, il Csm nomina Saladino.

Scene di ordinario sottobosco, si dirà, cui neanche magistrati rispettabili sapevano sottrarsi. Vero. Ma intanto le intercettazioni tra Palamara e Petralia creano una nuova, consistente rogna per il ministro Bonafede, che puntava sul magistrato siciliano come «uomo forte» sul fronte carcerario: e invece d'ora in poi, ad ogni scontro, Petralia si vedrà rinfacciare quelle chat. Il Dap, insomma, si ritrova un capo depotenziato, se non delegittimato: proprio nel momento meno adatto.

di Luca Fazzo per www.ilgiornale.it

capture 006 12052020 111938Pubblichiamo la lettera che Maryan Ismail, somala in Italia da 35 anni e docente di antropologia dell'immigrazione, ha inviato a Silvia Romano dopo la sua liberazione e l'annuncio della conversione all'Islam. 

Ho scelto il silenzio per 24 ore prima di scrivere questo post. Quando si parla del jihadismo islamista somalo mi si riaprono ferite profonde che da sempre cerco di rendere una cicatrice positiva. L'aver perso mio fratello in un attentato e sapere quanto è stata crudele e disumana la sua agonia durata ore in mano agli Al Shabab mi rende ancora furiosa, ma allo stesso tempo calma e decisa. Perché? Perché noi somali ne conosciamo il modus operandi spietato e soprattutto la parte del cosidetto volto "perbene" . Gente capace di trattare, investire, fare lobbing, presentarsi e vincere qualsiasi tipo di elezione nei loro territori e ovunque nel mondo. Insomma sappiamo di essere di fronte a avversari pericolosissimi e con mandanti ancor più pericolosi.

Ora la giovane cooperante Silvia Romano, che è bene ricordare non ha mai scelto di lavorare in Somalia, ma si è trovata suo malgrado in una situazione terribile, è tornata a casa. Non è un caso che per mesi ho tenuto la foto di Silvia Romano nel mio profilo fb. Sapevo a cosa stava andando incontro. Si riesce soltanto ad immaginare lo spavento, la paura , l'impotenza, la fragilità e il terrore in cui ci si viene a trovare? Certamente no, ma bastava leggere i racconti delle sorelle yazide, curde, afgane, somale, irachene, libiche , yemenite per capire il dolore in cui si sprofonda. Comprendo tutto di Silvia. Al suo posto mi sarei convertita a qualsiasi cosa pur di resistere, per non morire. Mi sarei immediatamente adeguata a qualsiasi cosa mi avessero proposto, pur di sopravvivere.

capture 105 10052020 172124Sul caso Alfonso Bonafede-Nino Di Matteo, esploso ormai una settimana fa con le dichiarazioni del secondo a Non è l'arena di Massimo Giletti, ora entra a gamba tesa, anzi tesissima, l'avvocato Carlo Taormina, insomma uno che qualche nozione in termini di giustizia ce l'ha. E Taormina per riassumere e commentare la vicenda usa termini pesantissimi: "Volete sapere se Bonafede si faccia comandare dalla mafia o se Di Matteo sia un buffone - premette -? La procura di Roma, da me investita, deve decidere. Siccome nessuno parla, fatevi sentire voi e ritwittate. È per la democrazia. Grazie", conclude su Twitter l'avvocato, invocando una rapida indagine e soprattutto offrendo due possibili soluzioni al "giallo" tutt'altro che assolutorie per i due protagonisti.

Gli anniversari dovrebbero essere aboliti. Soprattutto quando celebrano un evento politico che si presta a una giostra di opinioni non condivise. Accade così per il settantesimo del 25 aprile 1945, la festa della Liberazione.  Una cerimonia che suscita ancora contrasti, giudizi incattiviti e tanta retorica. A volte un mare di retorica, uno tsunami strapieno anche di bugie e di omissioni dettate dall' opportunismo politico. Per rendersene conto basta sfogliare i quotidiani e i settimanali di questa fine di aprile. È da decenni che studio e scrivo della nostra guerra civile. Ma non avevo mai visto il serraglio di oggi. Una fiera dove tutto si confonde. Dove imperano le menzogne, le reticenze, le pagliacciate, le caricature. È vero che siamo una nazione in declino e che ha perso la dignità di se stessa. Però il troppo è troppo. Per non essere soffocato dalla cianfrusaglia, adesso proverò a rammentare qualche verità impossibile da scordare. La prima è che la guerra civile conclusa nel 1945, ma con molte code sanguinose sino al 1948, fu un conflitto fra due minoranze. Erano pochi i giovani che scelsero di fare i partigiani e i giovani che decisero di combattere l' ultima battaglia di Mussolini. Il «popolo in lotta» tanto vantato da Luigi Longo, leader delle Garibaldi, non è mai esistito. A perdere furono i ragazzi di Salò, i figli dell' Aquila repubblicana. Ma a vincere non furono quelli che avevano preso la strada opposta. L' Italia non venne liberata da loro. Se il fascismo fu sconfitto lo dobbiamo ad altri giovani che non sapevano quasi nulla di un Paese che dal 1922 aveva obbedito al Duce e l' aveva seguito in una guerra sbagliata, combattuta su troppi fronti.

capture 035 05042020 202638Non cita i grillini, il professor Pierluigi Lopalco, ma ogni riferimento a persone, politici e movimenti non è puramente casuale: i no-vax, i grillini, chiunque, fino a un anno fa, mettesse in discussione i vaccini. E ora è in ginocchio dagli scienziati per chiedergli una soluzione all’apocalisse del coronavirus.

Il coronavirus e i vaccini tanto attesi

“E’ passato solo un anno, ma sembra un secolo (una pandemia) fa. Si combatteva per far comprendere l’importanza dei vaccini. Oggi non c’è bisogno di spiegarlo”. E’ la riflessione dell’epidemiologo Pierluigi Lopalco, responsabile della struttura di progetto per il coordinamento delle emergenze epidemiologiche della Regione Puglia, che su Facebook posta le immagini di un’iniziativa di sensibilizzazione per i giovani in tema di vaccinazioni, organizzata il 4 aprile 2019 al Teatro Apollo di Lecce.

I grillini no-vax che ora fingono di non esserlo…

Solo un paio di mesi fa, dopo essere stata silurata da ministro della Salute, con la giravolta politica dei grillini in favore del governo col Pd, Giulia Grillo rivelava una verità inequivocabile. La presenza di tanti no-vax, potentissimi, nelle file del M5S. “Nel M5S tanti no vax. Taverna e gli altri big ora fanno finta di nulla”. Così Il Messaggero titolava l’intervista rilasciata dalla Grillo, che citava gli esponenti 5Stelle con cui non aveva trovato convergenze rispetto alle disposizioni in materia di obbligo vaccinale ai tempi del governo Conte 1.

capture 356 24032020 164955"Infami, lo diciamo". L'emergenza coronavirus fa emergere il peggio del sistema Italia e Maria Giovanna Maglie si indigna. La giornalista condivide su Twitter il commento, polemico, del collega Marco Tosatti.

"Mi scrive una lettrice: una ex collega medico da poco in pensione ha fatto domanda di rientro per aiutare nell’emergenza".  La risposta ottenuta dall'eroico professionista? "Lunedì passi all’Agenzia delle entrate per aprire la partita IVA". Le priorità dello Stato italiano. E a Tosatti, come alla Maglie, non resta che insultare chi ha ordito una simile rete di cinismo e ottusità burocratica.

capture 339 23032020 181330Soldatino Marco Travaglio ovviamente presente. Giuseppe Conte travolto da sacrosante critiche che arrivano un po' da tutte le latitudini per come continua a gestire l'emergenza coronavirus, tra decreti pasticciati e dirette-show su Facebook? Bene, a zittire i critici - o almeno a provarci - ci pensa il direttore del Fatto Quotidiano: per lui, vietato toccare il premier. Oggi, lunedì 23 marzo, Marco Manetta verga un lungo editoriale in cui, in buona sostanza, dipinge il presidente del Consiglio come una sorta di eroe nazionale. Editoriale che non è sfuggito, affatto, ad Augusto Minzolini, che a quel pezzo dedica un tweet corrosivo: "Anni fa Travaglio scrisse Slurp, un libro sul leccaculismo - premette -. A leggere le sue note su Conte, più elogiative di quelle di Mario Appelius sul Duce, è tempo di una ristampa in cui dedichi a se stesso il primo capitolo: per Travaglio, Conte è il redivivo Achille che sbaraglierà da solo il virus", conclude Minzolini. Nulla da aggiungere.

capture 101 12032020 191323Attilio Fontana lo ha ripetuto dall'inizio. Contro il coronavirus, misure drastiche. Così, scrive Alessandro Sallusti, "si è messo la mascherina in diretta tv e ha scelto gli uomini: salvare prima i lombardi per salvare poi la Lombardia e le sue aziende. Si è battuto come un leone, cosa secondo i più impensabile e infattibile, per chiudere prima e sigillare poi la sua regione". Ora, sottolinea nel suo editoriale su Il Giornale, tutti, compresa l'Oms gli danno ragione. "Lo hanno deriso, Fontana, per quella mascherina goffamente indossata. Quella mascherina è stata invece il segnale incompreso, non serviva a proteggere lui, che comunque era protetto e al sicuro, ma tutti noi che ancora vagavamo scettici e incoscienti".

Adesso, conclude Sallusti, "se non pochi miei colleghi avessero un minimo di onestà intellettuale, oggi dovrebbero piovere le scuse", "la Lombardia come tutte le regioni del Nord è in ottime mani e dobbiamo fidarci". 

Leggo ogni giorno Bergamonews e tutti i giornali online della Lombardia perchè ho quattro persone che amo e che vivono tra la Città Bassa e quella Alta.
Si legge " Daniele Macchini, medico dell’Humanitas Gavazzeni, in un lungo post su Facebook racconta la sua esperienza in prima linea contro il coronavirus".

Rubatevi due minuti e seguite attentamente le richieste del dott. MACCHINI.

In una delle costanti mail che ricevo dalla mia direzione sanitaria a cadenza più che quotidiana ormai in questi giorni, c’era anche un paragrafo intitolato “fare social responsabilmente”, con alcune raccomandazioni che possono solo essere sostenute.
Dopo aver pensato a lungo se e cosa scrivere di ciò che ci sta accadendo, ho ritenuto che il silenzio non fosse affatto da responsabili. Cercherò quindi di trasmettere alle persone “non addette ai lavori” e più lontane alla nostra realtà, cosa stiamo vivendo a Bergamo in questi giorni di pandemia da Covid-19.
Capisco la necessità di non creare panico, ma quando il messaggio della pericolosità di ciò che sta accadendo non arriva alle persone e sento ancora chi se ne frega delle raccomandazioni e gente che si raggruppa lamentandosi di non poter andare in palestra o poter fare tornei di calcetto rabbrividisco.

Capisco anche il danno economico e sono anch’io preoccupato di quello. Dopo l’epidemia il dramma sarà ripartire. Però, a parte il fatto che stiamo letteralmente devastando anche dal punto di vista economico il nostro SSN, mi permetto di mettere più in alto l’importanza del danno sanitario che si rischia in tutto il paese e trovo a dir poco “agghiacciante” ad esempio che non si sia ancora istituita una zona rossa già richiesta dalla regione, per i comuni di Alzano Lombardo e Nembro (tengo a precisare che trattasi di pura opinione personale).
Io stesso guardavo con un po’ di stupore le riorganizzazioni dell’intero ospedale nella settimana precedente, quando il nostro nemico attuale era ancora nell’ombra: i reparti piano piano letteralmente “svuotati”, le attività elettive interrotte, le terapie intensive liberate per creare quanti più posti letto possibili. I container in arrivo davanti al pronto soccorso per creare percorsi diversificati ed evitare eventuali contagi. Tutta questa rapida trasformazione portava nei corridoi dell’ospedale un’atmosfera di silenzio e vuoto surreale che ancora non comprendevamo, in attesa di una guerra che doveva ancora iniziare e che molti (tra cui me) non erano così certi sarebbe mai arrivata con tale ferocia.
(apro una parentesi: tutto ciò in silenzio e senza pubblicizzazioni, mentre diverse testate giornalistiche avevano il coraggio di dire che la sanità privata non stava facendo niente).
Ricordo ancora la mia guardia di notte di una settimana fa passata inutilmente senza chiudere occhio, in attesa di una chiamata dalla microbiologia del Sacco. Aspettavo l’esito di un tampone sul primo paziente sospetto del nostro ospedale, pensando a quali conseguenze ci sarebbero state per noi e per la clinica. Se ci ripenso mi sembra quasi ridicola e ingiustificata la mia agitazione per un solo possibile caso, ora che ho visto quello che sta accadendo.
Bene, la situazione ora è a dir poco drammatica. Non mi vengono altre parole in mente.
La guerra è letteralmente esplosa e le battaglie sono ininterrotte giorno e notte.
Uno dopo l’altro i poveri malcapitati si presentano in pronto soccorso. Hanno tutt’altro che le complicazioni di un’influenza. Piantiamola di dire che è una brutta influenza. In questi 2 anni ho imparato che i bergamaschi non vengono in pronto soccorso per niente. Si sono comportati bene anche stavolta. Hanno seguito tutte le indicazioni date: una settimana o dieci giorni a casa con la febbre senza uscire e rischiare di contagiare, ma ora non ce la fanno più. Non respirano abbastanza, hanno bisogno di ossigeno.
Le terapie farmacologiche per questo virus sono poche.

Il decorso dipende prevalentemente dal nostro organismo. Noi possiamo solo supportarlo quando non ce la fa più. Si spera prevalentemente che il nostro organismo debelli il virus da solo, diciamola tutta. Le terapie antivirali sono sperimentali su questo virus e impariamo giorno dopo giorno il suo comportamento. Stare al domicilio sino a che peggiorano i sintomi non cambia la prognosi della malattia.
Ora però è arrivato quel bisogno di posti letto in tutta la sua drammaticità. Uno dopo l’altro i reparti che erano stati svuotati, si riempiono a un ritmo impressionante. I tabelloni con i nomi dei malati, di colori diversi a seconda dell’unità operativa di appartenenza, ora sono tutti rossi e al posto
dell’intervento chirurgico c’è la diagnosi, che è sempre la stessa maledetta: polmonite interstiziale bilaterale.

Ora, spiegatemi quale virus influenzale causa un dramma così rapido. Perché quella è la differenza (ora scendo un po’ nel tecnico): nell’influenza classica, a parte contagiare molta meno popolazione nell’arco di più mesi, i casi si possono complicare meno frequentemente, solo quando il VIRUS distruggendo le barriere protettive delle nostre vie respiratorie permette ai BATTERI normalmente residenti nelle alte vie di invadere bronchi e polmoni provocando casi più gravi. Il Covid 19 causa una banale influenza in molte persone giovani, ma in tanti anziani (e non solo) una vera e propria SARS perché arriva direttamente negli alveoli dei polmoni e li infetta rendendoli incapaci di svolgere la loro funzione. L’insufficienza respiratoria che ne deriva è spesso grave e dopo pochi giorni di ricovero il semplice ossigeno che si può somministrare in un reparto può non bastare.
Scusate, ma a me come medico non tranquillizza affatto che i più gravi siano prevalentemente anziani con altre patologie. La popolazione anziana è la più rappresentata nel nostro paese e si fa fatica a trovare qualcuno che, sopra i 65 anni, non prenda almeno la pastiglia per la pressione o per il diabete. Vi assicuro poi che quando vedete gente giovane che finisce in terapia intensiva intubata, pronata o peggio in ECMO (una macchina per i casi peggiori, che estrae il sangue, lo ri-ossigena e lo restituisce al corpo, in attesa che l’organismo, si spera, guarisca i propri polmoni), tutta questa tranquillità per la vostra giovane età vi passa.
E mentre ci sono sui social ancora persone che si vantano di non aver paura ignorando le indicazioni, protestando perché le loro normali abitudini di vita sono messe “temporaneamente” in crisi, il disastro epidemiologico si va compiendo.

E non esistono più chirurghi, urologi, ortopedici, siamo unicamente medici che diventano improvvisamente parte di un unico team per fronteggiare questo tsunami che ci ha travolto. I casi si moltiplicano, arriviamo a ritmi di 15-20 ricoveri al giorno tutti per lo stesso motivo. I risultati dei tamponi ora arrivano uno dopo l’altro: positivo, positivo, positivo. Improvvisamente il pronto soccorso è al collasso. Le disposizioni di emergenza vengono emanate: serve aiuto in pronto soccorso. Una rapida riunione per imparare come funziona il software di gestione del pronto soccorso e pochi minuti dopo sono già di sotto, accanto ai guerrieri che stanno al fronte della guerra. La schermata del pc con i motivi degli accessi è sempre la stessa: febbre e difficoltà respiratoria, febbre e tosse, insufficienza respiratoria ecc… Gli esami, la radiologia sempre con la stessa sentenza: polmonite interstiziale bilaterale, polmonite interstiziale bilaterale, polmonite interstiziale bilaterale. Tutti da ricoverare. Qualcuno già da intubare e va in terapia intensiva. Per altri invece è tardi...
La terapia intensiva diventa satura, e dove finisce la terapia intensiva se ne creano altre. Ogni ventilatore diventa come oro: quelli delle sale operatorie che hanno ormai sospeso la loro attività non urgente diventano posti da terapia intensiva che prima non esistevano.
Ho trovato incredibile, o almeno posso parlare per l’HUMANITAS Gavazzeni (dove lavoro) come si sia riusciti a mettere in atto in così poco tempo un dispiego e una riorganizzazione di risorse così finemente architettata per prepararsi a un disastro di tale entità. E ogni riorganizzazione di letti, reparti, personale, turni di lavoro e mansioni viene costantemente rivista giorno dopo giorno per cercare di dare tutto e anche di più.

Quei reparti che prima sembravano fantasmi ora sono saturi, pronti a cercare di dare il meglio per i malati, ma esausti. Il personale è sfinito. Ho visto la stanchezza su volti che non sapevano cosa fosse nonostante i carichi di lavoro già massacranti che avevano. Ho visto le persone fermarsi ancora oltre gli orari a cui erano soliti fermarsi già, per straordinari che erano ormai abituali. Ho visto una solidarietà di tutti noi, che non abbiamo mai mancato di andare dai colleghi internisti per chiedere “cosa posso fare adesso per te?” oppure “lascia stare quel ricovero che ci penso io”. Medici che spostano letti e trasferiscono pazienti, che somministrano terapie al posto degli infermieri. Infermieri con le lacrime agli occhi perché non riusciamo a salvare tutti e i parametri vitali di più malati contemporaneamente rilevano un destino già segnato.
Non esistono più turni, orari. La vita sociale per noi è sospesa.
Io sono separato da alcuni mesi, e vi assicuro che ho sempre fatto il possibile per vedere costantemente mio figlio anche nelle giornate di smonto notte, senza dormire e rimandando il sonno a quando sono senza di lui, ma è da quasi 2 settimane che volontariamente non vedo né mio figlio né miei familiari per la paura di contagiarli e di contagiare a sua volta una nonna anziana o parenti con altri problemi di salute. Mi accontento di qualche foto di mio figlio che riguardo tra le lacrime e qualche videochiamata.
Perciò abbiate pazienza anche voi che non potete andare a teatro, nei musei o in palestra. Cercate di aver pietà per quella miriade di persone anziane che potreste sterminare. Non è colpa vostra, lo so, ma di chi vi mette in testa che si sta esagerando e anche questa testimonianza può sembrare proprio un’esagerazione per chi è lontano dall’epidemia, ma per favore, ascoltateci, cercate di uscire di casa solo per le cose indispensabili. Non andate in massa a fare scorte nei supermercati: è la cosa peggiore perché così vi concentrate ed è più alto il rischio di contatti con contagiati che non sanno di esserlo. Ci potete andare come fate di solito. Magari se avete una normale mascherina (anche quelle che si usano per fare certi lavori manuali) mettetevela. Non cercate le ffp2 o le ffp3. Quelle dovrebbero servire a noi e iniziamo a far fatica a reperirle. Ormai abbiamo dovuto ottimizzare il loro utilizzo anche noi solo in certe circostanze, come ha recentemente suggerito l’OMS in considerazione del loro depauperamento pressoché ubiquitario.

capture 051 11032020 114024Eh sì, grazie allo scarseggiare di certi dispositivi io e tanti altri colleghi siamo sicuramente esposti nonostante tutti i mezzi di protezione che abbiamo. Alcuni di noi si sono già contagiati nonostante i protocolli. Alcuni colleghi contagiati hanno a loro volta familiari contagiati e alcuni dei loro familiari lottano già tra la vita e la morte.
Siamo dove le vostre paure vi potrebbero far stare lontani. Cercate di fare in modo di stare lontani. Dite ai vostri familiari anziani o con altre malattie di stare in casa. Portategliela voi la spesa per favore.
Noi non abbiamo alternativa. E’ il nostro lavoro. Anzi quello che faccio in questi giorni non è proprio il lavoro a cui sono abituato, ma lo faccio lo stesso e mi piacerà ugualmente finché risponderà agli stessi principi: cercare di far stare meglio e guarire alcuni malati, o anche solo alleviare le sofferenze e il dolore a chi non purtroppo non può guarire.

capture 650 06032020 145628Michelle Hunziker si racconta alla #CR4 Repubblica delle Donne dove tra amori, maternità e carriera, ha parlato anche della sua amicizia con Vittorio Feltri, nata nel periodo peggiore della vita della showgirl, quello in cui era vittima della setta della pranoterapeuta Clelia e del suo clan. "Ci siamo conosciuti tramite un nostro amico che fa il vino, Michelle aveva qualche problema in quel periodo e abbiamo cercato di darle una mano", spiega il direttore-fondatore di Libero."Ho sempre detto che ho una grande gratitudine nei confronti di Vittorio", ricorda la presentatrice che poi aggiunge: "In un periodo in cui c’era una caccia alle streghe nei miei confronti, l’unico ad aiutarmi fu proprio lui con un bellissimo articolo, facendomi respirare un attimo"..