capture 011 03082020 111745Sentite questa: «Fino ad oggi abbiamo diminuito di una cifra veramente enorme il numero degli sbarchi. Stiamo facendo un buon lavoro di squadra. Non Salvini, ma Salvini insieme al sottoscritto e al premier Conte. C'è chi cerca di accreditarsi il risultato, a me non importa. Conta solo il risultato». Eh sì, c'era un tempo, non molto lontano, in cui si faceva a gara per intestarsi la paternità del contrasto all'immigrazione selvaggia. Per strappare al leader della Lega il monopolio della lotta ai clandestini. Se continua così, con la situazione totalmente fuori controllo e clandestini positivi al Covid che scorrazzano indisturbati per il Paese, quel tempo tornerà presto.

Ma non subito. Non ora. Adesso è il momento dei distinguo e dei voltafaccia. Dei salti della quaglia e delle capriole. Anche le più spericolate. In gioco ci sono le poltrone, la sopravvivenza politica, lo stipendio a fine mese. Non si scherza. Ed ecco allora che quello stesso Danilo Toninelli, che appena un anno fa, nel maggio del 2019, rivendicava davanti alle telecamere il suo ruolo di primo piano al fianco di Salvini, nelle vesti di ministro delle Infrastrutture («Io gestisco la parte della sicurezza, della navigazione fino all'attracco»), un paio di giorni fa non è riuscito a trattenere lo sdegno nei confronti di quel «marchettaro» che quando ha fatto «il casino con l'Open Arms era in piazza o in spiaggia a bere mojito, aveva già creato una crisi di governo e ha fatto tutto da solo».

 

ERRORE PERSONALE
Sì, perché Salvini «commette un errore personale, pensa di essere al centro del mondo. Ma se fa una stupidaggine va davanti ad un tribunale», ha spiegato l'ex ministro che insieme ai pentastellati ha salvato il senatore leghista dal processo per la Diciotti. Ma quella, ha precisato, era tutta un'altra storia: «Ho seguito quel caso. Era l'estate del 2018 e io con Salvini parlavo continuamente». Diciamoci la verità, per un maestro di gaffe come Toninelli, che annuncia di aver comprato un diesel mentre fa uno spot all'auto elettrica, che decanta l'importanza del tunnel del Brennero e che tuona contro il ponte restituito ai Benetton proprio mentre spunta una sua lettera che glielo restituisce a norma di legge, un'agile giravolta sui migranti, seppur condita con coltellata al vecchio alleato di governo, non è un'impresa che lascia di stucco.

NASCONDERE IL PASSATO
Ma l'ex ministro non è l'unico in questi giorni a darsi da fare per tentare di nascondere il proprio passato recente. Del resto, dopo aver ingoiato la coabitazione con il partito di Bibbiano, trovarsi di nuovo alle prese con l'emergenza immigrazione era l'ultima cosa che avrebbero voluto i grillini. Qualche dissenso sulla linea dura c'era stato anche nel primo anno di governo, intendiamoci. Ma la corsa dei vertici M5S e dello stesso premier Giuseppe Conte, che ora si dichiara anni luce distante dalle posizioni di Salvini, per imbarcarsi nella crociata gli sbarchi dei clandestini era evidente.

Ecco come l'allora sottosegretaria Laura Castelli nel febbraio del 2019 difendeva il leader leghista sulla Diciotti: «Fu un atto legittimo. Non venne messa a rischio la vita umana di nessuno». Ed ecco Luigi Di Maio, nel gennaio dello scorso anno: «Quello non è il processo al ministro dell'Interno, ma ci siamo tutti, sono scelte di tutto il governo. Sostengo sino in fondo quei provvedimenti». Posizione netta anche quella sul dl sicurezza: «Se c'è qualcuno nella maggioranza che si sente a disagio deve ricordare che ne è membro e che questo dl l'ha votato, che il governo lo sta applicando, che lo sosteniamo». E Conte? Lui aveva fatto capire da che parta stava fin dal discorso sulla fiducia, nel giugno 2018: «Metteremo fine al business dell'immigrazione, cresciuto a dismisura sotto il mantello di una finta solidarietà».

di Sandro Iacometti per www.liberoquotidiano.it