capture 046 27092020 102113Lo scontro tra Grecia e Turchia sembra essersi momentaneamente placato. Le acque dell’Egeo sono meno bollenti rispetto ad alcune settimane fa, ma il conflitto non è stato definitivamente risolto.

La delimitazione dei confini marittimi e delle Zone economiche esclusive, il rapporto di forza tra gli Stati del Mediterraneo e la diplomazia che si è attivati in questi mesi sono tutti elementi su cui la Nato, l’Europa e l’Italia stessa devono riflettere. Perché le radici di questa “guerra” affondano nei fondali del Mar Mediterraneo ma anche in alcune questioni irrisolte, politiche, economiche e giuridiche, che rischiano di affiorare se i Paesi rivieraschi non cercheranno di mettersi intorno a un tavolo. Problemi che a Roma non devono essere dimenticati, visto che quello che interessa Ankara e Atene così come le cancellerie europee coinvolge tutti i Paesi del Mare Nostrum e in cui il nostro Paese è direttamente interessato. Per capire queste dinamiche, ne abbiamo parlato con l’ammiraglio Fabio Caffio, tra i massimi esperti di diritto marittimo.

Ammiraglio, iniziamo dalla domanda più importante: cosa vogliono Grecia e Turchia? E perché ora?

“La terra domina il mare” è il fondamentale principio del diritto del mare che Grecia e Turchia pongono a base delle loro rivendicazioni pur interpretandolo in modo differente: per Atene le isole vanno considerate come un continuum rispetto al territorio continentale, benché da esso molto distanti e prossime alle coste turche; per Ankara, queste isole rappresentano un’eccezione geografica di cui non tener conto per stabilire la delimitazione delle zone di giurisdizione tra le rispettive coste continentali. Il confronto tra i due Paesi si è radicalizzato negli ultimi mesi investendo, oltre al Mar Egeo, il Mediterraneo Orientale. Da notare, che da quando nel 2003, Cipro aveva stipulato con l’Egitto un primo accordo di delimitazione della Zona economica esclusiva (Zee) che disconosce le pretese turche nel Mar di Levante, si erano create le premesse per allargare la disputa oltre l’ambito dell’Egeo. All’inizio, Atene era però rimasta per così dire dietro le quinte, lasciando fare ai ciprioti.

 

La difesa dei diritti greci sembra essere il pilastro della politica estera dell’Unione europea. La Grecia è un Paese membro e la Turchia no, ma pensa che la tutela dei diritti di Atene debba essere necessariamente il centro della politica estera Ue?

“I nostri Stati membri, Cipro e Grecia, possono sempre contare sulla piena solidarietà dell’Europa per proteggere i loro legittimi diritti di sovranità”, ha detto Ursula Von der Leyen nel Discorso sullo Stato dell’Unione, aggiungendo però subito dopo che “astenersi da azioni unilaterali e riprendere i colloqui in genuina buona fede è l’unica strada da percorrere”. I toni della Commissione sono ora abbastanza soft, in sintonia con quelli della Presidenza tedesca della Ue che in questi stessi giorni è alla ricerca di soluzioni alla crisi greco-turca, ma in passato erano stati più assertivi.

Se si esamina nel dettaglio il contenuto di questa posizione, essa non riguarda il merito della disputa. Quando si parla di frontiere marittime della Ue si allude al limite esterno delle acque territoriali su cui gli Stati esercitano la loro piena sovranità. La definizione di questi limiti costituisce una prerogativa che i singoli Paesi hanno il diritto di esercitare sulla base della Convenzione del diritto del mare (Unclos). Il Trattato sul funzionamento della Ue non prevede, in materia di definizione delle frontiere esterne, alcuna competenza comunitaria.

Il coinvolgimento dell’Ue nella disputa greco-turca può però essere visto da due differenti punti di vista. Da un lato, vi è la stabilità di un’area che mette a contatto l’Unione con Paesi del Medio Oriente e del Nord Africa; dall’altro, la difesa dei diritti di Grecia e Cipro sulle loro Zee è una precondizione per garantire la crescita economica europea. L’Europa considera molto importanti le Zee come strumento per lo sviluppo della Blue economy, nella prospettiva di assicurare all’Unione l’approvvigionamento delle fonti energetiche sottomarine necessarie ad affrancarla dal gas russo.

In una recente intervista alla nostra testata, l’ammiraglio Cem Gurdeniz, teorico di Mavi Vatan, ha parlato del problema della Mappa di Siviglia. In cosa consiste?

Ne ha anche parlato un altro esponente della Marina turca, l’ammiraglio Cihat Yaycı. Il caso pare angosciare i turchi, che lo considerano un tradimento dell’Unione europea ai loro danni. Ma vediamo di cosa si tratta. Lo studio Ue era stato preceduto da analisi preliminari sulla pianificazione marittima spaziale dei singoli Stati membri affidata al Prof. de Vivero dell’Università di Siviglia. In queste analisi era riportata una mappa – evidentemente di origine greco-cipriota – indicante come Zee turca un’area di estensione limitata, a sud dell’Anatolia. Di qui la tesi turca che la “Mappa di Siviglia” fosse l’espressione della posizione preconcetta dell’Ue.

Il carattere non neutrale delle analisi svolte dal team di de Vivero può anche dedursi dal documento “Jurisdictional Waters in the Mediterranean and Black Sea” che riporta come zona di giurisdizione turca un’area basata su una linea di equidistanza che attribuisce il massimo effetto a Castelrosso ed alle altre isole del Dodecanneso ignorando del tutto la grande facciata marittima della costa turca.

L’Italia è interessata da questa mappa?

Per quel che riguarda l’Italia, la mappa riporta, come Zee maltese, l’area che la Valletta reclama da 40 anni a nostro danno, nonostante il parere contrario espresso dalla Icj nel 1985. Il punto in questione sta principalmente nella pretesa maltese a considerare come confine generale della propria piattaforma continentale una linea di equidistanza costituente il prolungamento verso est della mediana tra Malta e la Sicilia che era stata stabilita nel 1970 a carattere provvisorio.

Va notato che nella mappa elaborata dal Prof. de Vivero per conto della Ue è indicata una delimitazione della Zee tra Italia ed Algeria che è conforme alle nostre rivendicazioni. Come si ricorderà, nel 2018 l’Algeria ha proclamato unilateralmente una Zee che va ben oltre questo ipotetico confine, sovrapponendosi alla nostre aree di piattaforma continentale e di Zona protezione ecologica (Zpe). Escludo che ciò, al tempo, fosse da addebitarsi ad un’iniziativa italiana. Probabilmente, il Prof. de Vivero rappresentò un tale confine in aderenza alle tesi spagnole della equidistanza pura tra le Baleari e l’Algeria. Sottolineo, comunque, che la posizione italiana non va accomunata a quella spagnola, essendo diverse le circostante geografiche ed i presupposti giuridici da considerare.

In base a questa mappa e agli interessi dell’Italia, si può dire che Roma abbia interesse al dialogo con Ankara? O è più naturale aderire alle posizioni greche?

Il nostro Paese, senza preconcetti, collabora lealmente con la Grecia come ha dimostrato stipulando il trattato di delimitazione della Zee del 9 giugno e partecipando alle esercitazioni navali congiunte volte ad affermare i diritti greci in aree contestate ad est di Creta. Nello stesso tempo, è però anche sostenitore del Governo di Accordo Nazionale libico e quindi di fatto “alleata” della Turchia e di Malta che appoggiano egualmente Tripoli. In questo quadro, la nostra Marina ha svolto una Passex con la Marina Turca. Per comprendere questa apparente contraddizione, dovremmo anche considerare che il nostro interesse per il costruendo gasdotto EastMed così fortemente voluto dai Greco-Ciprioti appare al momento abbastanza tiepido. Motivi economici ci spingono infatti a guardare con occhi disincantati ad un’iniziativa che forse darebbe i maggiori vantaggi ai produttori.

L’Italia di chi si può fidare davvero nel Mediterraneo? E all’esterno?

Il nostro apparente handicap sta nell’incapacità di assumere posizioni nette a difesa degli interessi nazionali. Pensi al caso della Saipem 12000 che, di fronte alle minacce turche, si è immediatamente allontanata dall’area che i ciprioti ci avevano assegnato ben sapendo che era contestata da Ankara. La politica dell’Eni è del resto incentrata sull’assumere un basso profilo in simili situazioni. Proprio questo è un nostro punto di forza, unitamente alla difesa della legalità internazionale e dei principi della Convenzione del Diritto del Mare del 1982.

Se dovessi indicarle il Paese che più è ci è vicino penserei, al momento, alla Germania. Ovviamente abbiamo altri amici come Tunisia, Libia, Egitto ed Israele. Senza dimenticare che le nostre relazioni con la Spagna – al di là di una latente tendenza spagnola ad occupare nostri spazi di influenza – sono ottime come anche quelle con la Francia nonostante certi dissapori. Colgo al riguardo l’occasione per dire che il tanto vituperato accordo di Caen del 2015 sulle frontiere marittime con la Francia è improntato ad una corretta applicazione dell’Unclos. Possiamo invece immaginare quale sarebbe stata la posizione greca se gli isolotti dell’arcipelago toscano fossero stati loro.

Chi può regolare le dispute per i confini del Mediterraneo? È possibile pensare a un meccanismo legale?

Un sistema di composizione delle dispute marittime è già previsto dall’Unclos. Nessun Paese può tuttavia essere costretto ad accettare la giurisdizione di una Corte internazionale. Per questo il ricorso all’arbitrato consensuale è ancora lo strumento più diffuso. Resta il fatto che avanzare pretese contestate alla lunga danneggia un Paese: l’esempio della Turchia conferma che lo sfruttamento delle risorse in Zee oggetto di disputa comporta rischi di isolamento e di applicazione di sanzioni, anche perché l’uso della forza navale per la difesa di interessi energetici è contrario al diritto internazionale. È di questi giorni la notizia che Grecia e Turchia, grazie alla mediazione della presidenza tedesca dell’Ue, inizieranno colloqui bilaterali. Questo è già avvenuto varie volte, ma ora l’occasione non dovrà essere sprecata. La Turchia ha più volte dichiarato di essere favorevole ad una composizione negoziale della disputa. Soprattutto mi sembra positivo che si parli anche di un forum mediterraneo di discussione delle delimitazioni del Mediterraneo Orientale in cui Grecia, Turchia, Cipro, Egitto e Libia possano esporre apertamente le loro pretese. D’altronde, il recente accordo greco-egiziano sulla Zee prevede una delimitazione parziale, nel presupposto che l’ulteriore linea di confine verso levante sia stabilita di comune accordo assieme a Cipro e Turchia.

Credo che l’Italia, sulla base del credito acquisito tra tutte le parti in causa, possa svolgere un ruolo in questo processo. Peraltro, il nostro Paese è anche interessato a partecipare ad un simile confronto per chiarire le proprie posizioni nell’area in cui convergono le ipotetiche linee di confine delle Zee di Malta, Grecia e Libia.

di Lorenzo Vita per https://it.insideover.com/