G7 Taormina Flop(di Alberto Sofia per ilfattoquotidiano.it)

Il 26 e 27 maggio in Sicilia sono attesi i capi di Stato dei paesi più industrializzati del pianeta. Da qualche giorno, come spesso accade in Italia, è partita la corsa contro il tempo per evitare la figuraccia mondiale.  Nonostante le promesse di Renzi, del passaggio del G7 potrebbe non rimanere altro che l’amarezza di un’altra occasione sprecata. A trenta giorni dal via, i lavori sono quasi tutti in ritardo. E se le elipiste da 2,5 milioni di euro rischiano di non sopravvivere al summit, nel teatro greco a rimboccarsi le maniche ci sono addirittura i vigili del fuoco.  Sarà pure un vizio italico, quello dei ritardi cronici e dei rinvii, con l’incubo del flop internazionale. O un copione che si ripete identico, per ogni “grande evento” da organizzare, con le opere da assegnare insomma urgenza“, le inevitabili ombre sui cantieri, i “soliti noti” a puntare la torta degli appalti.

Quel che è certo è che nemmeno al G7 di Taormina del 26 e 27 maggio si cambierà abitudine. Stessa corsa, stessi errori: quando manca poco più di un mese al summit dei grandi della Terra, la “Perla dello Ionio” è ancora un gran cantiere, tra disagi, confusione, promesse e annunci traditi. In fondo, era già chiaro tre mesi fa come sarebbe finita: tutto fermo, nemmeno un euro speso, nessun lavoro ancora partito. Oggi si lavora per evitare in extremis la “figuraccia” temuta dal sindaco del centro siciliano, Eligio Giardina. Ma, almeno per ora, c’è ben poco da esultare.

Lavori in ritardo, promesse tradite “Cosa resterà alla fine di questo G7? Poco o nulla”. In città c’è chi ormai è disilluso. Eppure, soltanto pochi mesi fa, era l’allora premier Matteo Renzi, ancora saldo a Palazzo Chigi, a rivendicare di aver scelto Taormina come risposta a chi dipingeva la Sicilia soltanto come “terra di mafia“. Parole ripetute come un mantra dall’ormai ex premier, allora in piena campagna referendaria, prima di essere travolto dalle urne del 4 dicembre. Ottobre, però, era ancora tempo di slogan: “La prima opera per Taormina? Sarà il grande ritorno d’immagine, con la cartolina dei sette capi di Stato e di governo, che accoglieremo nel Teatro greco-romano. Certo, poi faremo tutto quello che serve: infrastrutture, l’eliporto…”, prometteva, presentando il logo dell’evento dal gioiello siciliano. La realtà, al contrario, è che a Taormina rischia di non restare davvero nulla. I due eliporti? Piste temporanee, appena utili per far atterrare i capi di Stato e governo, per poi venire smantellate. Il Palacongressi degli anni ’70 e mai ultimato? Niente da fare, nemmeno questa volta otterrà quell’agibilità definitiva rincorsa e sbandierata da sette sindaci, amministrazione dopo amministrazione, come ricorda una paradossale targa nel palazzo. E la famosa villa Comunale, in parte franata e transennata? Al momento, è ancora tutto fermo, con tanto di scontro tra sindaco e Soprintendenza. Resterà appena la manutenzione nelle strade d’accesso al centro siciliano. E i lavori nel simbolo della città, quel Teatro greco che i Vigili del fuoco (“usati come carpentieri e manovali“, denunciano i sindacati, ndr) stanno ripulendo dall’incuria, dalle sterpaglie e dagli arbusti che stavano logorando mura e gradinate. Quasi nell’indifferenza generale.

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dall'articolo di Alberto Sofia per ilfattoquotidiano.it

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