Sono passati meno di dieci giorni dal giuramento a Washington di Joe Biden e di Kamala Harris che già si profila il primo scomodo grattacapo per l’ex vice di Obama: l’affaire GameStop. Non tanto perché l’azienda significhi qualcosa di particolare per l’amministrazione, ma perché inevitabilmente il presidente si trova di fronte a un bivio: dare ragione ai soliti lupi di Wall Streethedge fund che hanno guadagnato miliardi soprattutto durante le crisi o permettere che a vincere siano le nuove piattaforme di trading, che portano a investire anche i millenials in un'ottica democratica? Un bel dilemma.

 

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Da una parte i responsabili dell’onda lunga del Reaganismo, capaci di arricchirsi in modi indecenti ma anche portatori di almeno tre grandi crisi finanziarie. Dall’altra i paladini della rete, dell’amatorialità, dell’improvvisazione, del “people have the power” cantato da Patti Smith che però si è rapidamente tradotto nella spinta qualunquista dell’uno vale uno. 

Ma che cosa è successo? Succede che alcuni fondi di investimento, tra cui D1 Capital Partner, Point72, Muddy Waters, Maplelane e Citron Research hanno scommesso contro alcuni titoli della old economy come GamEstop, Nokia, Blackberry, American Airlines e la catena di cinema Amc attraverso vendite allo scoperto. Avevano tutto l’interesse ad affossare il valore di queste imprese. D’altronde, si tratta di azioni “decotte”, aziende che hanno business che in alcuni casi sono ormai superati (Gamestop, Nokia e la stessa Amc), in altri casi stanno vivendo una contingenza drammatica come la compagnia aerea. 

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Un nutrito drappello di investitori amatoriali è stato reclutato tramite il social network Reddit e ha deciso di sovvertire l’ordine degli eventi, acquistando allo scoperto in modo da far salire il valore azionario, generando una fluttuazione che ha portato a un incremento dei prezzi delle stock di Gamestop di oltre il 430%. E quando le principali piattaforme online hanno bloccato le transazioni su quei titoli perché rischiavano di non avere sufficiente cassa per coprire le richieste, queste azioni sono crollate di oltre il 40%, salvo poi risalire nuovamente quando Robinhood – altra piattaforma di investimenti – ha deciso di riammettere quei titoli.

In apertura di seduta odierna a Wall Street il titolo di Gamestop ha fatto +100%, creando un movimento che non si era visto neanche al tempo della crisi del 2008. Ma è giusto tutto quello che sta succedendo? È possibile parteggiare per una o per l’altra fazione che si sta contendendo il campo di battaglia?

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È probabilmente la domanda a cui sta cercando di rispondere Joe Biden. Da un lato, ha i moderati con un piede a Wall Street che chiedono un intervento, dall’altro l’ala più radicale dei Democratici– capeggiata da Alexandra Ocasio Cortez che, non per niente, ha sfiorato la rissa verbale con il senatore repubblicano Ted Cruz sull’argomento – che preme per aumentare le libertà delle piattaforme. Sempre la Cortez ha twittato “deridendo” gli hedge fund che chiedono l’intervento della Sec dopo 40 anni di scorribande. 

Alcune considerazioni devono essere fatte. Il modello di business di queste aziende è in crisi ormai da tempo. GameStop, che vende giochi e console, è rimasta schiacciata da un lato dai colossi dell’e-commerce, dall’altro dalla Gdo, dall’altro ancora dalle nuove offerte on demand che stanno nascendo, da Google a Playstation a Microsoft. Nokia e Blackberry sono l’emblema di quello che poteva essere e non più, schiantati dalla concorrenza di Apple e Samsung ma anche di tutti i nuovi player cinesi. Quindi, non si può dare torto ai fondi d’investimento che di mestiere fanno soldi. 

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Ma la vendita allo scoperto è un meccanismo volgare e vile per guadagnare sulle disgrazie altrui. Ed evidentemente agli Stati Uniti non è bastata la batosta dei credit default swap (CDS) e delle collateralized debt obligations (CDO) che hanno mandato a gambe all’aria Lehman Brothers e gettato nel panico il colosso assicurativo AIG nel 2008. Un argine allo strapotere dei colossi della finanza va messo da tempo, ma sono anche quelli che hanno i soldi, che pagano le campagne presidenziali e che mantengono un potere fortissimo.

Non è neanche questione se essere democratici o repubblicani: da Reagan a Bush padre, da Clinton a Obama nessuno ha mai voluto arginare per davvero Wall Street. Quando George W Bush nominò Hank Paulson come segretario al Tesoro, chiarì una volta per tutte che la finanza non sarebbe mai uscita dalla Casa Bianca.

D’altro canto, l’opacità che caratterizza le piattaforme di investimento a volte è perfino peggio. Alcune hanno sedi in paradisi fiscali, altre sono inaffidabili. Altre ancora semplicemente non spiegano agli investitori amatoriali che puntano su di loro i rischi che si corrono, mandandoli allo sbaraglio. Cose accadute anche nel mondo “reale” e non digitale, ma che si è cercato di normare. Riuscendoci in massima parte.

Chi guarda a questi soggetti – senza contare che ad arricchirsi per davvero sono stati tre investitori in totale, che hanno racimolato oltre un miliardo – come alla salvezza della finanza fa un errore grosso come una casa: il dilettantismo come vanto e come atout è il prodromo di tante catastrofi.

Non sarebbe meglio spingere per formare una nuova classe dirigente, con valori sani e puliti, ma che continui a uscire dal Mit, o da Yale o da Duke? Non sarebbe più giusto puntare sui nuovi investimenti sostenibili, su un miglioramento delle responsabilità finanziarie, etiche e di bilancio, chiedendo che i banchieri e gli hedge fund guardino un po’ meno al profitto e un po’ più al mondo? Perché, in fin dei conti, per far atterrare un aereo servirà sempre e comunque un pilota. Meglio educarlo che passare i comandi a chi non ha mai guidato nulla che volasse. No?