capture 071 09032021 102042Polonia, Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca già a metà marzo hanno fatto scattare il lockdown. Nei quattro paesi ci sono state in totale 1478 vittime. Un dato contenuto nonostante la mancanza di medici e infermieri

In queste settimane si è discusso molto dell‘abuso di forza da parte Jarosław Kaczyński, capo del partito di governo Prawo i Sprawiedliwość (Diritto e giustizia) e leader de facto del Paese, e ancor più dei pieni poteri di Viktor Orbán in Ungheria. Anche al tempo della pandemia, i Paesi del Gruppo Visegrád fanno notizia quando arriva la spallata alla democrazia.  Poco si è parlato del fatto che in questo spazio del continente la diffusione del coronavirus è stata assai limitata.

Al 10 maggio la Polonia ha il numero maggiore di contagi e vittime: 15821 e 791, un dato contenuto, per un paese di 38 milioni di abitanti. Impatto ridotto anche nel resto della regione, con 8095 casi e 276 vittime in Repubblica Ceca; 3212 e 405 in Ungheria; 1457 e 26 in Slovacchia.

Tutto o quasi si spiega con le scelte tempestive dei governi. I lockdown sono scattati a metà marzo, a pochi giorni dai primi contagi registrati nella regione, dove il virus si è propagato in ritardo rispetto all’Europa occidentale. Frontiere chiuse, attività scolastiche e universitarie sospese, grandi eventi bloccati, limitazioni agli orari dei negozi: la ricetta è stata per tutti questa. 

 

Non sono mancate le incertezze, né gli sbandamenti o i piccoli scandali, e ci sono differenze notevoli nella capacità di effettuare tamponi (300mila in Repubblica Ceca, solo 108mila in Ungheria). Ma al netto di tutto questo c’è da dire che i sistemi sanitari hanno retto.

Non è un risultato da poco, vista la loro fragilità. Mancano investimenti, e manca il personale.  Per via degli stipendi bassi, negli ultimi anni tanti medici e infermieri della regione sono andati a lavorare negli ospedali tedeschi, austriaci, britannici, irlandesi o scandinavi. Quella dei camici bianchi è una delle tante migrazioni silenziose di professionisti da est a ovest.

L’ingresso nell’Unione europea ha portato fondi strutturali e investimenti nei Paesi della “nuova” Europa, ma li ha svuotato di lavoratori qualificati: una questione sociale su cui sarebbe doveroso riflettere maggiormente. E forse alla luce di questo scenario si capisce meglio (che non significa giustificare) la poca grazia con cui il governo ungherese, per liberare reparti negli ospedali e attrezzarsi per l’emergenza Covid-19, ha dimesso in fretta e furia migliaia di pazienti ricoverati.   

Tra i quattro di Visegrád, è la Slovacchia a rappresentare il caso più interessante. Vanta il più basso tasso di mortalità da coronavirus in Europa: 0,4 decessi per 100mila abitanti. 

Oltre al lockdown tempestivo, si è rivelata lungimirante la decisione di testare i turisti di rientro delle località sciistiche austriache, in particolare la gettonatissima Ischgl, tra i primi focolai continentali. La Slovacchia, insieme alla Repubblica Ceca, è stato inoltre il primo paese Ue a introdurre l’obbligatorietà della mascherina, e già da prima che questa disposizione entrasse in vigore politici e giornalisti televisivi la indossavano, dando l’esempio ai cittadini. 

L’unicità slovacca sta anche nel fatto che la crisi sanitaria è esplosa durante il passaggio di poteri tra il governo uscente, guidato dal socialista Peter Pellegrini, e quello insediatosi il 20 marzo, capeggiato da Igor Matovič e sorretto da una coalizione spuria: ci sono dentro conservatori, populisti e liberali. 

Pellegrini ha attuato il lockdown, Matovič, l’ex tycoon vincitore delle elezioni di febbraio, sta gestendo la ripresa. Premendo sull’acceleratore. Il 6 maggio doveva partire la sola fase 2, con la riapertura di piccoli negozi, mercati all’aperto e ristoranti operativi solo in modalità takeaway, ma il neo-premier ha scelto di attivare anche fase 3, che stabilisce la riapertura di musei, gallerie d’arte e ristoranti con tavoli all’aperto. Anche la fase 4 (piscine, teatri, cinema e grandi centri commerciali) potrà essere anticipata, se il tasso dei contagi non aumenterà. 

Calerà invece il ritmo della crescita economica, e pure vistosamente: -6,7 per cento nel 2020, secondo le previsioni della Commissione europea. Stima ottimistica, secondo qualcuno. L’economia slovacca è molto internazionalizzata e molto export-oriented. Se i grandi gruppi stranieri presenti nel paese – spiccano quelli dell’automotive – ridurranno le attività, la recessione sarà quasi sicuramente in doppia cifra.

E forse è per questo che Matovič anticipa i tempi dell’uscita dal lockdown. Brusche frenate economiche sono previste anche negli altri Paesi, dove ugualmente si sta progettando la ripresa. Tutti tengono d’occhio il modello della vicina Austria, il paese Ue pre-allargamento che per primo ha allentato il lockdown

Da Vienna, viceversa, si osserva la situazione a Bratislava e nel resto della regione, dove banche e aziende austriache hanno una proiezione importante. Il sito di analisi Discover CEE, legato a Raiffeisen Bank, elogia la rapidità che i governi dell’area Visegrád hanno dimostrato nella fase di contenimento della pandemia, ma invita a evitare posture illiberali. Il governo ungherese, suggeriscono gli analisti dell’istituto austriaco, deve ripristinare al più presto l’attività del Parlamento, pena un’accresciuta conflittualità con Bruxelles e rimbalzi conseguenti sull’umore degli investitori. 

Quanto alla Slovacchia, vengono lodate le misure d’emergenza ma si precisa che nel lungo periodo sarà necessario puntare sul buongoverno e sulla trasparenza, piani su cui il precedente esecutivo aveva faticato molto. Matovič e il suo partitoi Ol’ano, hanno vinto le elezioni puntando tutto sul contrasto alla corruzione e sul proposito di spezzare il legame tra politica politicante e oligarchie economiche. 

Alcune delle misure messe in campo con il programma di governo sono discutibili. È prevista l’introduzione di un test per la verità per gli ufficiali di polizia e la possibilità di perseguire i politici per decisioni che potrebbero arrecare danni alla cosa pubblica.

Si delinea al tempo stesso una riforma del procedimento disciplinare per la magistratura, passaggio ostico, che anche la Polonia sta perseguendo: Bruxelles ha aperto una procedura d’infrazione, bollandolo come attacco all’indipendenza dei giudici.

di Matteo Tacconi per www.linkiesta.it