Ieri, Berlino ha avuto un giorno di ferie in più, per celebrare la fine della guerra. «La conquista di Berlino da parte dell'Armata Rossa fu una liberazione non una sconfitta», disse nel 1985 il presidente della Repubblica Richard von Weizsäcker. Ma furono giorni tragici. Un milione di donne tedesche vennero violentate subito dopo la sconfitta del III Reich. Dai russi, e anche da soldati alleati, francesi, inglesi, americani. Gli effetti negativi passano da una generazione all'altra, dalle madri ai figli, ai nipoti, fino a oggi 75 anni dopo, ha scritto la Neue Zürcher Zeizung.

I bambini crebbero accanto alle madri traumatizzate, migliaia erano i «figli dello stupro», nati con un Erbschuld, una sorta di peccato originale, dice la storica Miriam Gebhardt. Molti venivano rifiutati dalle madri, finivano negli orfanatrofi. Denunciare le violenze era un tabù, in Germania Est. Non si voleva mettere sotto accusa gli amici sovietici, e la Ddr era sempre occupata da mezzo milione di soldati dell'Armata Rossa.

Solo nel 2003, è uscito Anonyma-Eine Frau in Berlinni Anonyma, pubblicato postumo. La giornalista Marta Hillers, scomparsa nel 2001, raccolse negli Anni Cinquanta le confessioni di diverse vittime, ma i tempi non erano ancora adatti. Fu accusata di voler infangare il suo paese. La Germania, all'inizio del boom, voleva dimenticare il passato. Anche Marta Hillers, nata nel 1911, era stata una vittima. Nel 2008 ne fu tratto un film di successo.

 

Miriam Gebhardt, 58 anni, ha pubblicato Als die Soldaten kamen, quando arrivarono i soldati (Dva Verlag. 21,99 euro). Ha parlato con le vittime, e con i loro figli, e molte altre testimonianze di figli e nipoti le sono giunte dopo la pubblicazione. «Avevo 12 anni e mia madre urlava nella notte in preda agli incubi, le racconta Klara, e non riuscivo a svegliarla… contava a alta voce, 88, 89, 90… le chiesi perché. Contava le violenze subite dai soldati sovietici, una dopo l'altra… un centinaio». Klara è un frutto della violenza, nessuno ha mai aiutato né lei né la madre.

Dora fu costretta a lavorare in un campo, quasi ogni notte veniva violentata dai sorveglianti, finché distrutta fisicamente e psicologicamente venne liberata nel 1948. Le donne che volevano abortire dopo uno stupro non trovarono assistenza, né un medico disposte a aiutarle. La Germania era in rovina, ricorda l'autrice, non c'era più una polizia in grado di funzionare, nessun sistema giuridico né assistenza sanitaria. Peggio, la società ha disprezzato le vittime, come se fosse colpa loro, e ha isolato le donne e i loro figli. I danni si riscontrano ancor oggi in uomini e donne adulti, nati dopo la guerra. Le giovani nate nel dopoguerra avevano ereditato il trauma subito dalle loro madri.

Il professore Jurgen Leucht organizza incontri per sensibilizzare i terapeuti a confronto con i problemi dei loro pazienti: l'origine è lontana, ma non va ignorata o sottovalutata. «Occorrono da tre a quattro generazioni», ha spiegato Leucht, perché un trauma venga metabolizzato da una famiglia. Ne risentono i nipoti anche se a volte ignorano quel che hanno dovuto subire le loro nonne». «Molte interviste che ho condotto», ha raccontato la Gebhardt, «si sono svolte tra le lacrime. E siamo nel ventunesimo secolo».

di Berlino Roberto Giardina www.italiaoggi.it