capture 002 16052021 085815Sanremo, 5 feb – E’ passato senza infamia e senza lode il monologo sanremese della Jebreal, che ieri ha portato sul palco dell’Ariston il tema della violenza sulle donne. Moscio negli argomenti toccati, come quello, ormai bolso, delle domande rivolte alle vittime di stupro, («Lei aveva la biancheria intima quella sera?», «Si ricorda di aver cercato su internet il nome di un anticoncezionale quella mattina?», «Se le donne non vogliono essere sfruttate devono smetterla di vestirsi da poco di buono»), che da Sotto accusa in poi sa davvero di muffito. Moscio e scontato nel diktat finale agli uomini (“Lasciateci libere di essere ciò che vogliamo essere: madri di dieci figli e madri di nessuno, casalinghe e carrieriste, madonne e puttane, lasciateci fare quello che vogliamo del nostro corpo e ribellatevi insieme a noi, quando qualcuno ci dice cosa dobbiamo farne.”), in cui si ribalta la tesi iniziale: nella società patriarcale le donne non sono mai innocenti, lavoriamo insieme perché non siano mai più colpevoli – leggi: deresponsabilizzazione a 360° –, gli uomini e i bimbi vittime di violenza domestica causati da moglie e madri ringraziano.

 

Certo, la parte in cui porta la propria esperienza di orfana, il racconto della violenza subita dalla madre, morta suicida in seguito al trauma dello stupro è toccante: «Mia madre Nadia fu stuprata e brutalizzata due volte: a 13 anni da un uomo e poi dal sistema che l’ha costretta al silenzio, che non le ha consentito di denunciare. Le ferite sanguinano di più quando non si è creduti». E le statistiche dei femminicidi in Italia impressionanti: «Ogni 3 giorni viene uccisa una donna, 6 donne sono state uccise la scorsa settimana. E nell’85% dei casi, il carnefice non ha bisogno di bussare alla porta per un motivo molto semplice: ha le chiavi di casa».

Bisogna denunciare, vincere la paura, compiere il famoso “passo avanti” su cui si è tanto ironizzato. Mantenere la propria posizione. Non guardare altrove quando si è testimoni di sopraffazione. Come fece Rula con il produttore Harvey Weinstein, l'”orco” del #metoo, il molestatore seriale della attrici di Hollywood che però, da quelle molestie, trassero gran profitto e carriere sfolgoranti, e ne tacquero finché fece loro comodo. Tutti sapevano, tutti tacevano, perché Weinstein aveva lanciato nell’orbita siderale della fama hollywoodiana parecchie persone.

E Weinstein, all’epoca, produsse il film tratto dal libro Miral, scritto dalla Jebreal. La giornalista aveva raccontato di aver bazzicato per un certo periodo l’ambiente del produttore, notando le sue inclinazioni violente contro il gentil sesso: «(…)una volta l’ho visto maltrattare una sua assistente, le urlava addosso e lei è scappata via piangendo. Gli ho detto: sei molto fortunato, io ti avrei malmenato, tu saresti finito all’ospedale e io in carcere. Ho provato un disprezzo totale. Donne come me, che hanno avuto in famiglia dei casi di abuso…». Ma Rula, quel “passo avanti” contro Weinstein non lo fece. Non denunciò, non portò allo scoperto il comportamento del produttore che le aveva acquistato i diritti del libro, semplicemente fece come hanno fatto tutti e tutte: stette zitta, per poi puntare il dito a #metoo esploso. Questo, sul palco di Sanremo, ieri sera non si è sentito.

di Cristina Gauri per  www.ilprimatonazionale.it