capture 056 08082021 103020Tra le gioie e gli insegnamenti che ci stanno regalando i Giochi Olimpici di Tokyo, abbiamo scoperto di essere incredibilmente bravi nel karate. Dopo il bronzo di giovedì della genovese Viviana Bottaro nel combattimento simulato del kata, questa volta è Luigi Busà da Avola a regalare il colpaccio all'Italia. Un'impresa ancora più grande, dato che il trentatreenne ha fatto bottino pieno, portando a casa la medaglia d'oro nel kumite 75 kg. E conquistando la trentasettesima medaglia per l'Italia, che poco dopo sarebbero diventate trentotto grazie ai fenomeni della 4x100 di atletica leggera, firma il record assoluto per lo sport azzurro: mai avevamo conquistato così tante medaglie alle Olimpiadi (il precedente primato, di 36, risaliva a Los Angeles '32 e Roma '60). «È stata una figata pazzesca, sono felicissimo non solo per me, ma per tutto lo staff», le prime parole di un incontenibile Busà. «Davvero, mi sembra di non capire più niente, è stato un percorso incredibile. Sono contento per tutto il karate italiano. È bellissimo vincere qui alle Olimpiadi ed è un risultato che arriva alla fine di un anno difficilissimo, un giorno ve lo racconterò».

 

Un successo arrivato al termine di una finale fantastica, quella che sognavano tutti gli appassionati. Perché nell'ultimo atto il siciliano ha dovuto affrontare l'azero Rafael Aghayev, nella sfida tra i due dominatori mondiali della categoria 75 kg del kumite. E la finale che, probabilmente, volevano anche i due protagonisti, che oltre ad eccellenti rivali, sono anche ottimi amici lontano dai combattimenti. E, infatti, nel mitico Nippon Budokan (tempio delle arti marziali, ma anche luogo di concerti epici come quello dei Beatles del 1966) i due si sono affrontati con enorme rispetto, ma alla fine ha prevalso Busà 1-0. E dopo la sofferenza, l'urlo, liberatorio: «Mamma ce l'ho fatta!». Una gioia, che poi, passato qualche minuto, lascia spazio alla consapevolezza di aver fatto qualcosa di grande: «Sono quasi trentaquattro anni che aspetto questa notte, infatti non devo dormire. Si è fatta attendere, ma è bellissima. Sognavo da sempre di portare Avola in festa», continua Busà.

«All'inizio stavo bene, ma nel primo incontro non mi ero espresso benissimo, poi mi sono ripreso. La semifinale è stata grandiosa, la finale poi, è stata qualcosa di magico. Se è un sogno lasciatemi sognare». Il successo più bello, quello di Tokyo, per il karateka italiano rappresenta il compendio degli enormi sacrifici fatti. Perché per il campione di Avola che oltre al titolo olimpico può contare su un palmarès straordinario con due ori mondiali (Tampere 2006 e Parigi 2012), tre argenti (Belgrado 2010, Brema 2014 e Madrid 2018), un bronzo (Linz 2016) e quindici medaglie europee (cinque ori, due argenti ed otto bronzi) - il viaggio è partito da molto lontano.

Perché Busà da bambino ha dovuto superare problemi di obesità, come raccontato dal karateka prima di partire per Tokyo: «È cominciato tutto come un gioco, all'inizio ero un ragazzo obeso, chi poteva pensare alle Olimpiadi? Ero molto ciccione, mi piaceva mangiare, a 13 anni pesavo 94 chili, ed ero più basso di adesso - racconta Luigi -. Solo mio padre vedeva in me qualcosa di speciale, lui è stato atleta».

E proprio la famiglia ha avuto un ruolo fondamentale nella crescita agonistica del ragazzo. Non è un caso, infatti, che anche le sue due sorelle, Lorena e Cristina, siano diventate atlete internazionali di karate. È anche merito loro se, a Tokyo, il gorilla di Avola festeggia la medaglia d'oro. Un simpatico soprannome, gorilla, affibbiatogli non solo per la stazza, come spiegato da Busà: «Una volta in nazionale ho esultato battendomi i pugni sul petto e mi chiamarono così. Poi ho letto la storia del gorilla e ho scoperto che è un animale favoloso». L'unica nota stonata nella festa del karate azzurro? Pensare che ai Giochi di Parigi 2024 non sarà disciplina olimpica. Visti gli enormi risultati, sa di beffa. Ma per fortuna la politica dello sport è già al lavoro per il reinserimento per le Olimpiadi di Los Angeles 2028. Facciano in fretta, noi vogliamo festeggiare altre medaglie. 

di Federico Strumolo per www.liberoquotidiano.it