capture 036 02102022 172911Chi pensa che le belle donne non possano essere intelligenti trova in Rula Jebreal una clamorosa conferma, un autentico spot anti-femminista semovente: è come fare una campagna per dire che i calciatori possono essere acculturati e prendere come testimonial Antonio Cassano. Il quale, però, un dono ce l'ha: è scafato, è consapevole, conosce i propri limiti, si è fatto largo nonostante i propri difetti e non espressamente grazie ai propri difetti. Non siamo sicuri che per Rula Jebreal si possa dire altrettanto.

Questo che leggete però sarebbe un ritratto, perché a Libero piace vincere facile e perché la Jebreal è rimbalzata alle cronache per una scemenza che ha scritto. Se ne parla qui a fianco, quindi non infieriamo: notiamo solo che la signora 49enne ha attaccato Giorgia Meloni scrivendo che suo padre «è un famigerato trafficante di droga criminale condannato», sicchè, considerando che questo padre ha abbandonato la figlia Giorgia quando lei aveva un anno, e che lei non l'ha più visto da quando di anni ne aveva 11, l'unica correlazione colpevolizzante a questo punto sarebbe una condivisione del patrimonio genetico, una responsabilità razziale odi sangue: non male per appartenere alla penna di una signora con cittadinanza israeliana, cresciuta espressamente in Israele prima di trasferirsi in Italia, dove ha fatto una carriera in stile Alan Friedman: probabile che nel paese d'origine non se la sarebbe filata nessuno. È solo un'opinione.



"Il dito alzato è violenza". Rula Jebreal contro Porro: guarda il video di Piazzapulita


L'ABILITAZIONE - Detto questo, «Rula» è il nome di una tribù beduina dove primeggiavano delle specie di ammazzoni. Altre note biografiche sono che sua madre si è suicidata (una conseguenza di abusi, abbiamo letto) e che nel 1993 Rula ha ricevuto una borsa di studio per un mestiere per cui evidentemente era portata: la fisioterapista. Poi, militante filo-palestinese, si è affacciata al mondo del giornalismo, suffragata - è il nostro parere - più dalla sua avvenenza e meno dall'importanza di quello che diceva. Apriamo e chiudiamo velocemente una parentesi sulla sua vita personale e pubblica: ha avuto una figlia con un artista, ha convissuto a New York col noto pittore e regista Julian Schnabel e poi ha sposato un banchiere figlio di un pezzo da novanta legato a Goldman Sachs e dopo il divorzio (da immaginarsi l'assegno) ha frequentato l'uomo che co-fondò e infine distrusse i Pink Floyd, il depresso a vita Roger Waters.

Tornando al giornalismo, a notarla fu la femminista intelligente (esistono) Franca Fossati, vicina di casa di Giuliano Ferrara in Toscana e sua autrice storica: la Jebreal fu invitata a Otto e mezzo e da lì divenne prezzemolina e per qualche tempo conduttrice di programmini di La7. Era palesemente arrogante, spesso impreparata e aggressiva (sempre nostra opinione) e quando il direttore del Tg, Antonello Piroso, non le rinnovò il contratto, c'è da dire che mostrò una certa intelligenza: intendiamo Piroso. Poi c'è un episodio che purtroppo contribuì a bollarla in termini sessisti, e lo scrivente ne fu co-protagonista. Nel 2006, ad Annozero di Michele Santoro - che ancora agitava la telepiazza, che era sporca ma vera, non ancora pulita - la Rula Jebreal fece un'intervista imbarazzante ad Antonio Di Pietro - imbarazzante per lei - quando d'un tratto la diretta fu disturbata fa una voce microfonata: «È una gnocca senza testa». Sacrilegio: chi l'aveva detto? Ci si scaraventarono tutti i giornali, mentre Striscia la Notizia (milioni di spettatori) fece un'inchiesta delle sue e intervistò in particolare due altri ospiti presenti da Santoro, lo scrivente e Marco Travaglio: che finimmo indirettamente per fare la colpa al professore ed economista Giulio Sapelli. Poveraccio: per la storia (in minuscolo, come wikipedia) il colpevole divenne lui.

In uno scambio del 2018 io e Marco Travaglio ne riparlammo con leggerezza. Facci: «Su Sapelli facemmo una mostruosità che ancora resiste»; Travaglio: «A distanza di undici anni non ho mai capito chi fu a insultare Rula»; «Facci: «Tu!»; Travaglio: «Mai nemmeno pensato... Poi io non dico gnocca. Sono torinese»; Facci: «Ma l'accento era torinese... Oddio, magari è stato Sapelli. E Storia sia»; Travaglio: «Sempre pensato a lui»; Facci: «Io a te, ma siccome la frase corrisponde a verità, in effetti tu non puoi essere stato». Travaglio: «Ah ah». Nota finale, riportata al presente: la frase non la dissi io, ma avrei tanto voluto.

QUANTA PRESUNZIONE - Il resto sono comparsate sempre molto appassionate. In tv ci litigarono in tanti (scrivente compreso) e il leghista Roberto Calderoli le diede dell'«abbronzata» anticipando Berlusconi su Obama. Ovunque fosse, era sempre lanciata sulla causa palestinese, pseudo reportage dal Medio Oriente, sortite sull'immigrazione, sui diritti delle donne e contro il maschio bianco. Nel 2020 è stata persino a Sanremo (non chiedeteci perché) dove recitò litanìe femministe. Moraleggiando, e a proposito di femminismo, si può dire che Rula Jebreal spiega bene quali siano i requisiti per diventare giornalista e scrittrice e conduttrice tv in Italia. Quali siano, appunto, lasciamo deciderlo liberamente al lettore, che per farsi un'idea non abbisogna certo di questo articolo. Che altro dire? Nel 2014 denunciò che l'emittente statunitense Msnbc aveva smesso di invitarla per via delle sue opinioni sullo sbilanciamento dei media Usa a favore di Israele. Nel 2017, a Piazzapulita, urlò a Nicola Porro «non mettermi il dito in faccia perché questa è violenza» (Porro era in collegamento) e poi un memorabile «Nicola non devi arrabbiarti e diventare rosso, quando poi parli da uomo bianco dei diritti della donna... e poi un uomo bianco che urla addosso a una donna come me». L'altro ieri, su Twitter, la Jebreal ha messo in parallelo la vittoria di Fratelli d'Italia con l'intervento dei carabinieri in un'assemblea non autorizzata degli studenti al Liceo Virgilio di Roma, e questo anche se al ministero dell'Interno ovviamente è ancora seduta Luciana Lamorgese. Che altro dire. Niente. 

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