L’allenamento con diverse mnemotecniche serve. Ma il vero trucco è dedicare sempre attenzione a ciò che vogliamo rammentare. Alcuni record dei campioni di memoria lasciano davvero a bocca aperta. Memorizzare l’ordine delle carte di un mazzo in appena 17 secondi come fa Alex Mullen, per esempio, o 360 cifre in cinque minuti come Lance Tschirhart, sembrano prove ai confini della realtà per chi dimentica anche il proprio numero di cellulare. Eppure chiunque potrebbe arrivare a prestazioni simili, basta allenare il cervello: lo ha di recente dimostrato uno studio pubblicato su Neuron, secondo cui, peraltro, la materia grigia di chi ha una memoria di ferro non è poi così dissimile da quella di chiunque altro.

 

Atleti della memoria a confronto con volontari

Gli autori hanno infatti confrontato le risonanze magnetiche cerebrali di 23 “atleti” mnemonisti e 23 volontari analoghi per età, sesso e altre caratteristiche scoprendo che non ci sono differenze sostanziali nel volume delle aree implicate nella memoria, per esempio l’ippocampo; quel che cambia è il numero e la tipologia di connessioni fra varie zone cerebrali ed esisterebbero soprattutto 25 fasci neuronali indicativi di una memoria potente, posti nella corteccia prefrontale mediale (dove le nuove informazioni vengono associate a quelle esistenti) e nella corteccia prefrontale dorsale laterale destra, che si attiva quando si impara attraverso una strategia. Diventare un asso nello sciorinare nomi, numeri, parole è “solo” questione di metodo, come mostrano gli esperimenti condotti dai ricercatori su altri cinquanta volontari: prima dell’allenamento mentale di sei settimane erano in grado di ricordare soltanto 26-30 parole da una lista ma dopo aver imparato le tecniche di memorizzazione usate dai super-cervelli ne rammentavano in media 36 in più, mentre chi si limitava a ripetere l’elenco migliorava di appena 11 parole. Peraltro, l’effetto positivo sulla capacità di memorizzare dati è rimasto evidente anche dopo quattro mesi senza esercizi.

Le tecniche possono essere imparate da tutti

Ci sarebbe da farsi prendere dall’entusiasmo, visto che lo spauracchio di tutti è perdere la memoria con l’andare degli anni, ma il “gioco” funziona con il tipo di prestazioni richieste agli mnemonisti e non nella vita di tutti i giorni: in altri termini migliora la capacità di ricordare liste di nomi e numeri, non quella di rammentare dove abbiamo parcheggiato la macchina. «Queste tecniche mnemoniche possono essere apprese da chiunque, come mostra lo studio, ma sono molto specifiche e nella quotidianità abbiamo bisogno anche e soprattutto di altri tipi di memoria — commenta Giuseppe Alfredo Iannoccari, presidente di Assomensana —. Ne esistono una quindicina, da quella procedurale per ricordare sequenze di gesti a quella prospettica per ciò che dovremo fare in futuro, e sono come scompartimenti stagni: chi è forte in un tipo di memoria non per forza lo è nelle altre, chi allena una non migliora automaticamente le altre. Si tratta di una suddivisione utile, perché se una malattia danneggia una memoria le altre che non ne sono toccate possono in qualche modo vicariarne le funzioni. Dobbiamo però allenarle tutte, se vogliamo una maggiore efficienza mnemonica nella vita quotidiana».

I trucchi

Riuscirci è abbastanza semplice, basterebbe sfruttare ogni occasione utile: se dobbiamo telefonare a qualcuno, anziché premere il tasto invio dalla rubrica del cellulare proviamo a digitare i numeri tenendoli a mente; possiamo ripetere a persone diverse una notizia, cercando di arricchire il racconto di particolari, per potenziare la memoria verbale; o magari cercare di associare i nomi ai visi delle persone. «È una delle memorie in cui molti fanno cilecca perché implica un collegamento fra aree cerebrali diverse — osserva Iannoccari —. Per esercitarla si può provare ogni giorno a collegare un nome e un volto nuovi al mattino, anche presi da Facebook, registrandone i particolari per poi richiamarli alla mente di sera. Un’azione fondamentale, perché il recupero dei ricordi è uno dei meccanismi che più di frequente si inceppa: sappiamo di sapere qualcosa ma spesso e volentieri non riusciamo a ritrovarlo nei meandri della mente. È perciò molto utile allenare questa capacità, sforzandoci di richiamare alla memoria qualunque dato ci sia capitato sottomano durante la giornata: tutto può servire come banco di prova. L’essenziale è dedicare attenzione a ciò che vogliamo rammentare, perché l’attenzione è la strada su cui viaggiano le informazioni che raggiungono il cervello: se non siamo attenti non possiamo trattenere nulla — sottolinea l’esperto —. Se soltanto leggiamo una parola la probabilità di poterla rievocare a distanza è del 10 per cento; se rendiamo quella parola protagonista di un’associazione con una simile, la probabilità di recuperarla sale al 40 per cento; se la “processiamo” in maniera più profonda, correlando emozioni o altri pensieri, la possibilità di rievocarla sale al 70 per cento. Le informazioni, qualsiasi esse siano, per essere ricordate vanno elaborate».

Le cinque strategie per ricordare

Vale anche per chi studia e vorrebbe una memoria da elefante: non serve iscriversi ai corsi di tecniche mnemoniche quanto piuttosto «mantenere allenate le cinque strategie che la mente, in maniera innata, usa per ricordare: l’associazione dei dati con altro per ricordarli meglio, la categorizzazione per raggruppare informazioni simili, la concatenazione di parole in una storia, la visualizzazione dei concetti in immagini e la costruzione di scene mentali. Qualsiasi informazione può essere lo strumento per esercitare queste capacità e mantenerle agili, da giovani e man mano che l’età avanza», conclude Iannoccari.

 

articolo di  Alice Vigna  per corriere.it

 

Aggiungi commento


Codice di sicurezza
Aggiorna