Debito, debito, ancora debito. Ovviamente pubblico. Da anni, forse decenni, nell’informazione economica italiana è stata dominante la narrazione riguardante le sue dinamiche, i suoi saldi strutturali, la sua minaccia al sistema Paese, interiorizzando completamente la narrazione dei Trattati europei che faceva del suo abbattimento il mantra per eccellenza, una priorità a cui, con eccesso di zelo, abbiamo consacrato il nuovo Articolo 81 della Costituzione, che incide nella Carta il principio del pareggio di bilancio.
Si parla del debito senza conoscerlo. Si ricorda a più riprese la litania degli oltre 35mila euro di indebitamento che ogni italiano nascituro dovrebbe sobbarcarsi, dimenticando en passant che molti cittadini sono possessori di Btp, Bot e altre emissioni.
Siamo bravissimi a ricordarci la notevole equazione linguistica tedesca (dove la parola che indica “debito” è la stessa che indica “colpa”), meno a capire le ragioni storiche del problema del debito, le sue cause (spiegate eloquentemente da Thomas Fazi in Sovranità o barbarie), le sue connotazioni strutturali, che lo rendono vulnerabile a causa dell’elevata quota posseduta da investitori esteri al contrario di ciò che succede per un Paese come il Giappone, il ruolo che dovrebbe giocare la Banca centrale europea a risolvere un problema, quello dello spread, che è l’immagine perfetta, e misurabile ogni giorno nelle borse di tutto il mondo, dell’inefficienza di quello che in teoria avrebbe dovuto essere un sistema monetario unico.
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dall'articolo di Andrea Muratore per occhidellaguerra.it