DAlema“Dobbiamo tenerci pronti ad ogni evenienza. I nostri comitati devono iniziare a raccogliere fondi, aprire sedi in tutta Italia. Perché se Renzi porterà il Paese nell’avventura delle elezioni, senza congresso, e cercando di ridurre il partito all’obbedienza, ognuno di noi si sentirà libero”. Massimo D’Alema chiude il suo intervento al centro congressi Frentani tra gli applausi scroscianti delle centinaia di militanti arrivati da tutta Italia per sentirsi dire proprio queste parole. E cioè che alle eventuali elezioni di giugno, se Renzi dovesse blindare le liste senza passare dal confronto interno, ci sarà anche una “Cosa rossa”. E aggiunge, riferito a Bersani ma non solo: “Alcuni di noi non sarebbero solo liberi, ma avrebbero il dovere di farlo, per la responsabilità che portano verso la storia della sinistra italiana”. “In ogni caso ci sarà molto lavoro da fare”, avverte D’Alema chiamando alle armi i militanti, “dobbiamo farci trovare forti e organizzati”. Il nome e il simbolo ci sono già: “Consenso. Per un nuovo centrosinistra”, caratteri bianchi su sfondo verde. 

In platea c’è un vasto mondo di centrosinistra, dalla minoranza dem con Speranza, Gotor, Zoggia, Leva e Stumpo alle anime di Sinistra italiana, quella riformista di Arturo Scotto e quella più radicale di Nicola Fratoianni. E poi socialisti come Valdo Spini, il governatore della Toscana Enrico Rossi, tanto Pd che viene dalla Ditta Ds, dai segretari di circolo fino a quelli provinciali agli europarlamentari come Massimo Paolucci e Antonio Panzeri. Michele Emiliano manda un messaggio fraterno: “Sono dovuto andare a un funerale”. 

Dal palco D’Alema si definisce “un riservista richiamato in servizio dalla durezza del conflitto”, e disegna le tappe del percorso verso l’eventuale nuova lista. Prima spiega quello che il Pd ”dovrebbe fare” prima del voto: un congresso vero, correzioni in senso sociale all’azione di governo (scuola e Jobs Act in primo luogo) e una legge elettorale “decente” con un mix tra governabilità e rappresentanza, nessun capolista bloccato e un piccolo premio “di governabilità” al primo partito. “Questo è ciò che si dovrebbe fare con un minimo di buon senso, per evitare di cucinare un governo M5S-Lega: un congresso vero, non una asfittica resa dei conti. E il governo deve lavorare”. Ma D’Alema è il primo a pensare che tutto questo non accadrà, che Renzi tenterà la strada del voto il prima possibile. “Sono sconcertato”, dice. “Ma con quale progetto politico si pensa di andare alle urne? Il bilancio dei mille giorni è sotto gli occhi di tutti: restano solo le Unioni civili e una legge sulla povertà senza soldi”.  

Prende a bastonate verbali, oltre all’ex fedelissimo Matteo Orfini, anche il capogruppo del Ettore Rosato: “Dicono che la Consulta ha confermato l’impianto dell’Italicum? Pongono ultimatum al Parlamento? Di solito in questi casi arriva una col camice bianco, noi dobbiamo andare in soccorso di un gruppo dirigente che ha smarrito il senso della ragione…”. Risate in sala, D’Alema è un fiume in piena, quasi show man, nonostante l’attacco di labirintite e il capogiro che lo coglie nel pieno dell’intervento e che, al termine, lo costringe a uscire sostenuto dagli uomini della scorta. Sarà un nuovo Ulivo?, lo incalzano i cronisti. “Come sapete quel marchio non è nelle mie disponibilità. Ma è chiaro che il disegno è quello di un centrosinistra largo e aperto alla società civile”. 

Giornata pesante, anche per i tanti arrivati coi pullman. “Ogni tanto capita di dover fare dei sacrifici anche fisici”, sorride l’ex leader Ds, sottolineando l’importanza dell’appuntamento odierno. Roberto Speranza, leader della minoranza dem, interviene e poi corre a Rimini alla riunione di Renzi coi sindaci. “Là c’è una parte del nostro popolo e io devo parlare anche con loro…”, spiega. “Cambiare il Pd per ricostruire il centrosinistra”, il suo mantra dal palco. ”Mai più un Parlamento di nominati: i deputati devono rispondere ai territori e non al capo. Altrimenti si costruisce un partito di servi e non di persone perbene”, si accalora. Altri applausi. La platea si sente in larga parte già fuori dal Pd renziano. Non a caso all’uscita molti si fermano a discutere di come organizzare nuove sedi locali. Sedi della Cosa rossa. 

Immediate le reazioni dai vertici Pd. Matteo Orfini replica alla richiesta di responsabilità: “Ha ragione D’Alema: siamo stati una grande forza responsabile. E l’Italia è finita in recessione e Grillo è passato dal 5 al 25 per cento”. “Chi divide paga sempre dazio”, avverte il ministro Maurizio Martina. ”È curioso che l’uomo che ha più volte ucciso il centrosinistra dal primo governo dell’Ulivo fino ai 101 di Prodi ora si ripresenti per ricostruirlo con un tesseramento parallelo”, attacca il renziano Ernesto Carbone, che pure fu tra i dirigenti di Red, l’associazione dalemiana in seno al Pd di Veltroni. Ma quando capii il suo vero obiettivo mi dimisi”.  

 

Andrea Carugati per La Stampa.it 

 

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