Oltre 200 imprese di sei Paesi europei coinvolte in iniziative per ridurre l’impronta ambientale di sei prodotti di largo consumo: olio d’oliva, vino, acqua in bottiglia, mangimi, salumi e formaggio. Ma anche tecnologie, soluzioni e oltre 60 buone pratiche per il settore disponibili sul sito dedicato pefmed-wiki.eu.
Sono questi i risultati del progetto europeo PEFMED, coordinato da ENEA, presentati oggi a Roma nell’ambito del convegno “Product Environmental Footprint: un’opportunità per rafforzare l’economia circolare nel settore agroalimentare”, che ha fatto il punto sugli strumenti concreti per migliorare la sostenibilità della filiera agroalimentare mediterranea.
Finanziato con circa 2 milioni di euro dalla Commissione europea, il progetto PEFMED ha coinvolto in Italia anche il Ministero dell’Ambiente e Federalimentare che ha coordinato le iniziative di trasferimento tecnologico delle maggiori federazioni agroindustriali degli altri Paesi coinvolti (Grecia, Francia, Portogallo, Slovenia e Spagna). Le iniziative nei sei Paesi hanno riguardato complessivamente nove filiere agroindustriale[2] sulle quali è stata testata una metodologia comune per la valutazione dell’impronta ambientale dei prodotti nel loro ciclo di vita, secondo il metodo europeo PEF (Product Environmental Footprint), per individuare le maggiori criticità ambientali ma anche per promuovere la produzione di prodotti a basso impatto ambientale nel mercato europeo e la competitività delle aziende.
In parallelo all’applicazione della PEF, un team di ricercatori, imprenditori ed esperti ha associato al metodo un set di indicatori socio-economici relativi diritti umani, condizioni di lavoro, salute e sicurezza, patrimonio culturale, governance e impatti socio-economici sul territorio, con l’obiettivo di definire per ogni azienda un business plan sostenibile, “una vera e propria strategia di eco-innovazione e di marketing in grado di individuare aree di intervento e soluzioni tecnologiche e gestionali e ridurre gli impatti sia ambientali che socio-economici di prodotto e filiera, con un’attenzione al territorio e agli strumenti di politica economica disponibili”, spiega Caterina Rinaldi, ricercatrice ENEA e coordinatrice del progetto. “Il metodo e gli strumenti utilizzati nel progetto hanno dimostrato di essere efficaci per aziende e filiere e potrebbero servire a rispondere adeguatamente ai bisogni dei consumatori, soprattutto se associati ad uno schema di certificazione, come ad esempio il marchio nazionale ‘Made Green in Italy’ del Ministero dell’Ambiente”, conclude Rinaldi.
“Ritengo che la partecipazione al progetto PEFMED sia stata decisamente positiva su diversi fronti”, evidenzia Ivano Vacondio Presidente di Federalimentare, “la Federazione, ancora una volta, ha dimostrato come il settore alimentare sia attento e sensibile ai temi della sostenibilità e delle dichiarazioni ambientali di prodotto. Nell’ambito del progetto, una serie di imprese agroalimentari italiane ed europee hanno svolto delle sperimentazioni e testato concretamente l’applicazione della PEF su alcuni prodotti per valutarne le potenziali performance ambientali. “Tuttavia permangono aree da sviluppare ulteriormente, per consentire un uso credibile e di successo della PEF. Solo per citarne alcune: è necessario sviluppare ulteriormente le regole di categoria di prodotto (le PEFCR), aumentare la rappresentatività delle banche dati e rendere la PEF fattibile anche per le piccole e medie imprese (PMI). Dal punto di vista della comunicazione, le informazioni basate sulla PEF devono essere volontarie e off-pack”. Non da ultimo, ringrazio il coordinamento e il team dei ricercatori ENEA, che hanno collaborato in maniera egregia a fianco di Federalimentare durante questi anni”, conclude il Presidente.
Articolo di Caterina Rinaldi, ENEA – Dipartimento Sostenibilità dei Sistemi Produttivi e Territoriali