mururoa esplosione atomica Corriere TabletL’inviata del Corriere che nel 1995 raggiunse l’atollo con la barca di Greenpeace (e fu arrestata dai francesi) racconta come Parigi devastò gli atolli con 193 test nucleari in trent’anni. Nel ‘96 gli esperimenti furono fermati. Oggi Hollande affronta a Tahiti il delicato tema dei risarcimenti. Oggi, come allora, Mururoa è un atollo da cartolina, di quelli che raggiungi dopo giorni di navigazione, e subito t’immagini di essere un Robinson Crusoe dei tempi moderni, perso nei mari turchesi del Sud, fino a quell’isola che non c’è se non nei sogni dei bambini. Eppure Mururoa esiste e oggi, come allora, è circondata da navi da guerra, una massiccia presenza militare che batte bandiera francese e si affida ai servigi della Legione straniera. Oggi come allora, l’accesso è vietato a chiunque non porti una divisa. Eppure, ventun anni fa, su quell’atollo dell’arcipelago delle Tuamotu, in Polinesia francese, sbarcarono anche alcuni deputati europei e una manciata di italiani, tra cui la giornalista che sta scrivendo queste righe (leggi l’articolo dall’archivio del Corriere della Sera, sfiorando l’icona blu): eravamo agli arresti, catturati in alto mare dalle forze speciali francesi, come tutti gli altri testimoni a bordo della barca a vela di Greenpeace che aveva varcato l’invisibile linea off-limits all’indomani dell’esplosione della Bomba, la prima dell’ultima serie di test nucleari voluti da Parigi nel suo Territorio d’Oltremare.

 

Era il settembre del 1995 e quegli esperimenti sott’acqua, come tutti quelli che li avevano preceduti, hanno lasciato un conto che il presidente francese François Hollande si vedrà probabilmente recapitare durante la visita che inizia oggi, lunedì 22 febbraio, in Polinesia. Mururoa dista da Tahiti e da Bora Bora, i paradisi dei turisti in luna di miele, quanto Chernobyl dista dall’Italia. Tanto, ma non abbastanza da cancellare le conseguenze del suo drammatico passato nucleare. Nonostante il governo francese abbia dichiarato che la zona è priva di ogni rischio ambientale e di inquinamento da radiazioni, tanti misteri restano ancora da svelare sugli esperimenti condotti a Mururoa e nel vicino atollo di Fangataufa fra il 1966 e il 1996. In quegli anni la Francia realizzò 193 test nucleari, di cui 46 atmosferici e i restanti sotterranei. E’ stato calcolato che la potenza accumulata dal 1975 a Mururoa (sotto, nella foto Ap, il centro per i test nucleari costruito sull’atollo) corrisponde a 200 bombe del tipo di quelle che rasero al suolo Hiroshima nel 1945.

I 30 chilotoni di Aldebaran nel 1966

Il primo test risale al 2 luglio 1966: con il nome in codice «Aldebaran», venne fatta esplodere una bomba nucleare di 30 chilotoni, più potente della bomba all’uranio di Hiroshima. Due anni dopo, nel 1968, fu la volta di una bomba H con potenza di mille chilotoni. Soltanto nel 1974, in seguito alle pressioni della comunità internazionale, la Francia sostituì i test atmosferici con gli esperimenti sotterranei, trivellando il terreno dell’atollo vulcanico e facendo detonare il materiale nucleare in profondità. Subito emerse il timore che le radiazioni intrappolate nel sottosuolo potessero fuoriuscire contaminando le acque dell’Oceano Pacifico. Nel 1992 il presidente socialista François Mitterrand decise una moratoria degli esperimenti ma tre anni dopo il suo successore gollista, Jacques Chirac, annunciò un’ultima serie di test.

L’arrembaggio degli eco-guerriglieri

Fu in quell’occasione, che il Corriere riuscì a strappare un passaggio dalle isole Marchesi sulla barca di Greenpeace «Manutea» (sotto, nella foto Ansa, lo scomparso fondatore di Greenpeace David McTaggart a bordo di un’altro veliero a largo di Mururoa nel ‘95) e, dopo diversi giorni di navigazione su un oceano in tempesta, raggiunse Mururoa alla vigilia dell’esplosione nucleare, il 5 settembre. Fino all’arresto e alla visita del «Luogo del Grande Segreto». Sull’atollo fummo presi in consegna dalla Legione Straniera: i nove parlamentari europei, australiani e giapponesi finirono nei letti caldi dell’ospedale, gli eco-guerriglieri e i sette giornalisti internazionali in un grande stanzone, senza docce e telefonate a casa – noi donne controllate a vista, ciascuna con un legionario «personale» di guardia –. Ci permisero di girare l’atollo e intervistare il colonnello Jean-Marc Gallandt, per poi spedirci dopo 24 ore con un aereo militare fino a Papeete.

Malformazioni alla nascita

Già allora, perfino sulla «lontana» isola di Tahiti, si intuivano le conseguenze di quei test: le malformazioni alla nascita e i casi di tumore in Polinesia erano inspiegabilmente numerosi, e i pescatori lamentavano una insolita moria di pesci intorno ai bellissimi reef.

Radioattività 500 volte superiore ai limiti massimi

Nel 1996, conclusi sei degli otto esperimenti previsti, Chirac annunciò la fine della campagna e appose la sua firma al Trattato internazionale che vieta i test nucleari. Soltanto un decennio dopo, emerse da documenti declassificati del ministero della Difesa francese che Tahiti, l’isola più popolosa (178.000 abitanti) fu esposta a livelli di radioattività 500 volte superiori a quelli massimi consentiti e venne colpita 37 volte dal fallout (termine che si usa per descrivere un blackout creato da impulsi elettromagnetici spesso emanati da oggetti radioattivi). Uscirono anche i primi dati ufficiali sulle conseguenze di quelle esplosioni sulla salute della popolazione locale: un’équipe dell’Istituto nazionale della Sanità e della ricerca medica francese (Inserm) divulgò i risultati di una ricerca su 239 casi di tumore, che provava il collegamento fra i test e il rischio di cancro alla tiroide.

I risarcimenti e il debito nucleareCancro: 540 nuovi casi ogni anno

Secondo dati più recenti, si registrano ogni anno 540 nuovi casi di cancro tra i 260.000 polinesiani. Malgrado l’adozione nel 2010 della legge Morin sui risarcimenti alle vittime dei test, rivela il Nouvel Observateur (leggi l’articolo segnalato ieri sulla Rassegna Stampa internazionale del Corriere, sfiorando l’icona blu), Parigi ha per ora chiuso con indennizzo solo 19 dei 1000 casi aperti davanti alla giustizia francese.

La Polinesia spera ancora di ottenere un risarcimento milionario da Parigi. «Non vogliamo andare in tribunale, ma raggiungere un accordo su questo difficile tema alla luce di due aspetti: l’impatto ambientale e le conseguenze per la salute della nostra popolazione», ha spiegato tempo fa il portavoce dell’Assemblea legislativa dei Territori d’Oltremare francesi, Yves Hauper. Resta aperta, ad esempio, la questione del «debito nucleare», ossia una rendita annuale accordata dalla Francia nel 1996 che però nel tempo si è ridotta ad una cifra sempre più esigua: nel 2016 sarà di «soli» 86 milioni di euro.

L’ultimo Paese a fermare gli esperimenti

La Francia non è stata l’unica a condurre esperimenti nucleari nei Paradisi del mare del Sud, ma è stata l’ultima a fermarli e a riconoscerne la nocività. Gli Stati Uniti, che condussero molti test nel Pacifico, dal 1988 hanno individuato trentun tipi di malattie, fra cui 25 diversi tumori, che possono essere ricondotti ai test, su persone presenti in un raggio di 700 chilometri attorno al «punto zero». Ossia fino all’Australia e la Nuova Zelanda, nel caso di Mururoa. Nessuno, peraltro, ha finora potuto svelare numero e conseguenze dei test condotti in gran segreto nelle enormi distese dell’ex Unione Sovietica.

 
di Sara Gandolfi per corriere.it  del 22 febbraio 2016