amazzonia incendi 1030x438Bene se avete superato lo shock del titolo ora continuate a leggermi. Prima di tutto è necessario leggere i contesti. Il contesto mondiale è quello che vede le risorse come patrimonio privato o degli stati o delle multinazionali e in questo quadro Bolsonaro ha ragione. Molte ragioni da vendere dal suo punto di vista. Vediamo perché. Partiamo dal concetto di risorsa. Ogni nazione, oggi, legge il proprio territorio come un insieme di risorse. Quelle minerali (tra i quali petrolio e gas) quelle agricole (suolo, fertilizzanti e acqua) e poi le risorse umane. Il tutto inserito in un’economia capitalistica. In questo quadro non entra il valore delle azioni sistemiche dovute alla natura, come la depurazione delle acque attraverso il ciclo dell’acqua, l’assorbimento della CO2 da parte di foreste e oceani e il rinnovamento dello stock di materia organica.

E si tratta di valore “intangibile” la cui produzione non ha valore per l’economia capitalistica, mentre ne ha infinito per gli ambientalisti. Cosa che in definitiva produce lo stesso risultato nell’economia classica in quanto si tratta di valori indefiniti. Ma la riflessione sul valore dei servizi ecosistemici, che deve essere fatta, ora ci porterebbe lontani-

Torniamo alla vicenda dell’Amazzonia. La regione con la sua foresta è considerata il “polmone” del pianeta che ha uno svantaggio: sorge su una risorsa sovrana chiamata suolo. E che come tutte le risorse sovrane è disponibilità dello stato a cui appartiene. Come lo sono il petrolio per l’Arabia Saudita e la Norvegia e il carbone per la Germania. Risorse che vengono utilizzate, nello schema dell’ecologia classica, ai fini dello sviluppo delle singole nazioni (ricche) o delle multinazionali.
In questo quadro il presidente del Brasile Bolosonaro si muove rispetto alla propria risorsa, il suolo dell’Amazzonia, con una perfetta coerenza rispetto al resto del mondo, che produce l’84% della propria energia da fonti fossili.

E le condanne arrivano principalmente da quelle nazioni che fondano il proprio benessere dalle fonti fossili, a cominciare da Norvegia e Germania che hanno annunciato la chiusura del loro finanziamento al governo Brasiliano per l’Amazzonia – rispettivamente le vertiginose cifre di 30 e 35 milioni di dollari l’anno. Con la Norvegia che utilizza i proventi del petrolio del Mare del Nord per alimentare il welfare dei propri cittadini – che sono 5,3 milioni – mentre la Germania usa il carbone per produrre il 50% della propria elettricità.

E a ciò bisogna aggiungere le emissioni procapite. La Norvegia emette 9,2 tonnellate di CO2/procapite annue, la Germania 8,9 tonnellate di CO2/procapite annue, l’Italia 6,7 tonnellate di CO2/procapite annue e il Brasile 2,2 tonnellate di CO2/procapite annue.

In pratica ogni norvegese o tedesco emette gas climalteranti quanto quattro brasiliani e pretende che il Brasile rimedi a queste emissioni gratis in nome di un “bene comune”. È un classico dell’economia capitalista: privatizzare i profitti e collettivizzare le perdite.

Ora è sacrosanto scandalizzarsi per la distruzione dell’Amazzonia – che assorbe 2 miliardi di tonnellate di CO2 l’anno per tutto il Pianeta – , cosa che porterà a conseguenze su scala planetaria specialmente per le generazioni future che non hanno alcuna colpa. Ma strepitare solo in una direzione, senza parlare di carbon tax, – ossia di mettere mano ai propri portafogli – solo quando c’è un’emergenza ambientale e mediatica appare francamente ipocrita. Oltre a portare a risultati pari allo zero.

di Sergio Ferraris per https://www.sergioferraris.it