Galeazzo CianoIl Conte Galeazzo Ciano, prima di essere condannato a morte, ha formulato una tremenda accusa affermando che la Germania aveva deliberatamente provocato la guerra in Europa nel 1939, trascinando l'Italia nel disastro. Diciannove giorni prima che l'ex ministro cadesse sotto il piombo nazi-fascista, accusato di alto tradimento, scrisse le ultime dieci pagine di un suo diario, che costituisce un documento del più alto interesse. Diamo ora il testo del diario del Conte Ciano scritto e firmato di sua mano.  «Mi preparo al giudizio supremo». Se queste mie note vedranno un giorno la luce, è perché io ebbi la precauzione di metterle in salvo, prima che i tedeschi, con un basso tranello, si fossero impadroniti della mia persona. Non era mia intenzione, allorché redigevo questi frettolosi appunti, di darli alle stampe così come erano scritti. Era solo mio proposito fissare avvenimenti e fatti in modo che mi potessero essere utili in avvenire.

Se Dio m'avesse concesso di raggiungere una quieta vecchiaia, quale eccellente materiale avrei avuto per un'autobiografia! Queste pagine non vanno pertanto considerate come parte di un libro, ma come semplici note del materiale grezzo per un libro che avrei potuto comporre. Forse, il reale merito di questo diario deve ricercarsi nella mia scheletricità e nella mancanza assoluta di parole superflue. Gli eventi sono ritratti senza ritocchi e le impressioni riportate, quali furono inizialmente, nel loro carattere genuino, senza influenze di critica e riflessione. Io ho avuto sempre l'abitudine di annotare in poche righe i fatti più salienti, giorno per giorno, perciò è probabile che si trovino nei miei appunti ripetizioni e contraddizioni. Se l'opportunità di far conoscere queste memorie non fosse stata tanto impellente avrei potuto rivederle ed ampliarle con l'ausilio di documenti e appunti personali, in modo da ricostruire la cronaca i certi giorni che hanno avuto eccezionale drammatica influenza sulla storia del mondo. Con maggiore precisione, avrei potuto stabilire la responsabilità di uomini e governi, ma disgraziatamente mi è impossibile. D'altra parte, in queste ultime ore che mi rimangono non posso ricordare tante cose e mi preoccupo di fornire quello che domani potrà essere analizzato e servire ad illuminare certi eventi. La tragedia dell'Italia ha avuto inizio nell'agosto 1939. Di mia iniziativa, andai al Quartier Generale di Hitler a Salisburgo e mi trovai improvvisamente di fronte alla fredda e cinica determinazione germanica di provocare il conflitto.

MOSTRUOSA ALLEANZA L'alleanza tra Italia e la Germania era stata firmata nel maggio. Io mi ero opposto, adoperandomi in tutti i modi per ritardare un tale passo, o per lo meno renderlo inefficace. Non c'era ragione, d'altra parte, a mio avviso, di legarsi per la vita e per la morte al destino della Germania nazista. Io avevo favorito, è vero, una politica di collaborazione, a causa della nostra posizione geografica, perché noi possiamo e dobbiamo detestare, ma non ignorare che ottanta milioni di tedeschi gravano brutalmente sul cuore dell'Europa. La decisione di cementare l'alleanza fu presa improvvisamente da Mussolini, mentre io mi trovavo a Milano con Ribbentrop. Parecchi giornali americani avevano pubblicato che la metropoli lombarda aveva accolto il Ministero degli Esteri del Reich con palese ostilità, e questa fu una prova del diminuito prestigio personale di Mussolini. Egli era in istato di collera. Per telefono m'ordinò di accettare le richieste tedesche per un'alleanza, che io avevo tenuto in sospeso per oltre un anno e speravo di mandare ancosa per le lunghe. Nacque così il "Patto d'acciaio". Questa decisione, che doveva poi avere tanta disastrosa influenza sulla vita e l'avvenire del popolo italiano, è dovuta esclusivamente a una dispettosa reazione del dittatore a certe affermazioni avventate e senza fondamento di alcuni giornali stranieri. Il patto conteneva una clausola, in base alla quale per tre o quattro anni sia l'Italia che la Germania si sarebbero astenute dal sollevare questioni che avessero potuto disturbare la pace europea. Invece, a nostra insaputa, la Germania avanzò all'improvviso le sue pretese nei riguardi della Polonia, nell'estate del 1939. Mentre aspettavamo di andare a tavola per il pranzo, Von Ribbentrop mi disse che la Germania aveva deciso di appiccare il fuoco al barile delle polveri. Von Ribbentrop mi parlò in un tono come se si fosse trattato di un affare di ordinaria amministrazione. In quel momento passeggiavamo insieme nel giardino. Chiesi allora a Ribbentrop: "Che cosa cercate, Danzica o il corridoio polacco?". "Oh, rispose Ribbentrop, molto di più". E guardandomi fisso con i suoi occhi freddi e metallici aggiunse: "Noi vogliamo la guerra". Compresi che la decisione era ormai irrevocabile e vidi subito delinearsi davanti a me la tragedia che doveva insanguinare l'umanità. Le conversazioni col mio collega tedesco, che non erano state mai cordiali, si protrassero quel giorno per dieci ore. Altre lunghissime ne ebbi con Hitler nei giorni successivi. Tutte le mie argomentazioni non ebbero nessuna efficacia. Al punto in cui si trovavano ormai le cose, non vi era più possibilità alcuna di impedire l'attuazione del criminoso progetto. Lungamente studiato e discusso in tenebrosi conciliaboli tra il Fuehrer e i suoi seguaci. Ogni obiezione era respinta o messa addirittura in ridicolo. I loro progetti erano sbagliati dalle fondamenta. I gerarchi nazisti erano sicuri che la Francia e Gran Bretagna sarebbero rimaste neutrali.

UNA SCOMMESSA Ribbentrop fece con me una scommessa durante uno dei nostri tristi desinari all'Oesterreicher Hof, a Salisburgo. Io avrei dato un quadro di autore italiano a lui se gli anglo-francesi fossero rimasti neutrali. Se Ribbentrop avesse invece perduto la scommessa avrebbe dato a me una collezione di armi antiche. Alla scommessa erano presenti molti testimoni, ma Ribbentrop ha fatto poi finta di essersene dimenticato. Hitler giunse a dirmi che, come meridionale, io non potevo comprendere quanto lui, tedesco, la necessità di avere nelle mani le foreste della Polonia. Dai colloqui di Salisburgo in poi, la politica di Berlino nei riguardi dell'Italia fu un groviglio di menzogne, d'intrighi e d'inganni. Noi non siamo stati mai consultati. Le decisioni di interesse fondamentale ci venivano comunicate soltanto quando erano state già messe in attuazione. Eppure, si trattava di cose della massima importanza nel corso del conflitto europeo. La domenica precedente, 16 giugno, io ero stato con Von Ribbentrop a Venezia, e avevo discusso con lui in merito all'inclusione della roazia fra gli Stati aderenti al Patto Tripartito. Il mondo risuonò improvvisamente di voci su questo attacco contro la Russia, quantunque fosse ancor umida d'inchiostro la firma apposta al patto di non aggressione. Chiesi ragguagli in merito al mio collega dell'Asse, mentre ci recavamo in gondola dall'albergo Danieli al Palazzo del Conte Volpiper la colazione. Con studiata maniera, Von Ribbentrop mi rispose: "Caro Ciano, io non posso dirvi nulla al riguardo, perché tutto dipende dalle decisioni imprevedibili del Fuehrer. Ma una cosa è certa: se noi attaccheremo, la Russia di Stalin crollerà entro poche settimane".

(23 dicembre 1943, cella 27 del Carcere di Verona)

di Galeazzo Ciano