Padoan Riforme oIl ministro ai suoi: “Andiamo avanti su privatizzazioni e sgravi”. Le dimissioni sarebbero interpretate a Bruxelles come un rompete le righe. In mattinata la smentita del Mef, ma il nostro quotidiano conferma il retroscena: abbiamo riferito un suo sfogo.  Nei tre anni e quattro giorni sin qui vissuti da ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan non si è mai concesso una licenza, un diverso parere espresso in pubblico. E anche in questi giorni - durante i quali sta confidando l’urgenza di una svolta riformista nel governo in assenza della quale, per quanto lo riguarda, tutto è possibile - il ministro dell’Economia resta quello di sempre: ordinato, rispettoso della catena di comando, per nulla incline alle esternazioni destabilizzanti.

Le sue idee le ha sempre espresse a porte chiuse e con Matteo Renzi non sono mancate discussioni e divergenze anche significative, anche se poi una volta decisa una linea, si tirava dritto. Con Paolo Gentiloni, se non altro perché ne condivide l’aplomb e il lessico levigato, Padoan ha un dialogo più franco. 

In questi giorni, dopo una missione a Bruxelles e a Parigi, il ministro dell’Economia si è fatto più riflessivo, meno ottimista sul quadro, si è reso conto che a Bruxelles il no al referendum ha lasciato il segno, ha rappresentato un colpo all’immagine di un’Italia proiettata su un cambiamento accelerato e da quelle parti la possibile «gelata» delle riforme strutturali fa paura, molta più paura di un punto di Pil in più o in meno. «Il nostro problema - ha spiegato Padoan ai suoi collaboratori - non è tanto la correzione di aprile, ma se siamo in grado di ripartire con una strategia di riforme incisive». 

Le tensioni interne  

L’occasione per farlo, secondo il ministro dell’Economia, è il Def, il Documento di economia e finanza, che dovrà avere un profilo ambizioso e riformatore e che dovrà essere completato entro il 30 aprile, guarda caso lo stesso giorno nel quale si svolgeranno le Primarie del Pd. E qui si apre un altro capitolo dolente, ad avviso di Padoan. Nelle ultime settimane si sono moltiplicate le iniziative destabilizzanti da parte del Pd nei confronti del Mef: dal documento anti-tasse dei 38 deputati «renziani» - non molti per la verità - sino alla convocazione di Padoan e di Gentiloni davanti alla Direzione del Pd. E lì due esponenti di punta della maggioranza del partito, il ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio e il presidente Matteo Orfini, hanno punzecchiato Padoan su un tema tutt’altro che secondario. Delrio aveva detto: «Ho dei problemi a privatizzare le Frecce delle Ferrovie con dentro il trasporto pubblico regionale. Lo dico a Pier Carlo...». E Renzi: «Non possiamo spremere ulteriormente i cittadini. Il tema di non aumentare le tasse è un principio di serietà». 

Scelte condivise

Un quadro di piccole ma ripetute destabilizzazioni che non piace a Padoan: un Def strategico, con dentro riforme impegnative (privatizzazioni ben fatte, decontribuzioni strutturali per i nuovi assunti, una scuola veramente formativa), ha bisogno di coperture e dunque di scelte condivise. Ecco perché in questi giorni il ministro non ha mai usato esplicitamente la parola «dimissioni», ma semmai ha chiarito un concetto: «Resto se siamo nelle condizioni di un mettere in campo un Def coraggioso, capace di accelerare le riforme». Anche perché in questi tre anni Padoan ha messo la faccia, senza mai «smarcarsi» su compromessi non sempre condivisi, ma non coltivando ambizioni politiche per il «dopo», intende lasciare un segno su questa stagione.

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dall'articolo di Fabio Martini per lastampa.it

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