capture 074 10072021 102256Nei primi anni Trenta − quelli che Renzo De Felice, il maggiore biografo di Mussolini, definisce “gli anni del consenso” − la legislazione fascista in ambito sociosanitario subisce una forte accelerazione. Fortemente voluta dal duce come strumento di sviluppo economico e culturale in chiave imperialista, si concretizza la bonifica dell’Agro Pontino, innegabile successo del Ventennio, al di là della retorica della propaganda. Terra desolata e focolaio mai sopito di febbri malariche, la pianura che a ridosso della costa si estende a sud di Roma è oggetto di una poderosa riconversione. Duplice è l’obiettivo, sanitario e parimenti teso a favorire processi di migrazione interna, nell’ottica della ruralizzazione, reputata necessaria per formare una nazione solida anche in termini demografici, pronta a ogni evenienza, preferibilmente bellica. Nascono così dal nulla Littoria (l’odierna Latina), Sabaudia, Pontinia e Aprilia, mentre l’Agro Pontino diventa terra promessa di migliaia di contadini provenienti dal Nord, veneti in particolare.

capture 001 14062021 100956Dopo la fine della Seconda guerra mondiale, i titini occuparono Trieste. Un incubo durato 40 giorni, culminato nelle foibe

Trieste la definitiva liberazione dagli orrori della Seconda guerra mondiale non è arrivata il 25 aprile, ma il 12 giugno 1945 dopo 40 giorni di occupazione del capoluogo giuliano delle truppe di Tito. E adesso questa data è diventata ricorrenza ufficiale grazie ad una proposta del sindaco Roberto Dipiazza. Il 12 giugno Trieste ricorderà solennemente “la giornata della liberazione della città dall’occupazione yugoslava”. Berlino celebra la caduta del muro, ma il capoluogo giuliano è la prima città dell’allora mondo libero che celebrerà la fine, per fortuna breve, di un’occupazione comunista. Nella delibera approvata il 26 maggio si legge che “il 12 giugno, con l’uscita di scena delle truppe jugoslave e della loro polizia politica (Ozna) cessarono anche quegli arresti e quelle deportazioni funzionali al piano di preventiva bonifica del territorio messo in atto per rendere in maniera definitiva Trieste parte integrante della Jugoslavia comunista e il cui risultato furono migliaia di morti e scomparsi in tutto il territorio giuliano”.

Il primo maggio del 1945 i partigiani del IX Corpus titino entravano a Trieste proclamandone l’annessione. I famigerati 40 giorni furono contrassegnati da arresti arbitrari e sparizioni non solo di sospetti fascisti, ma anche di italiani che non avevano fatto del male a una mosca e membri della resistenza non allineati con i nuovi padroni comunisti. I prelevati e deportati non tornarono più a casa inghiottiti nelle foibe. Non a caso la delibera approvata dalla giunta comunale ricorda “che la terribile occupazione jugoslava, proprio a causa del suo carattere violento venne citata anche nella motivazione della concessione della medaglia d’oro al Valor militare della città di Trieste, nel seguente significativo passaggio: “Sottoposta a durissima occupazione straniera subiva con fierezza il martirio delle stragi e delle foibe non rinunciando a manifestare attivamente il suo attaccamento alla Patria”. Dopo il 12 giugno arriveranno in città gli alleati, che con il generale Harold Alexander avevano convinto Tito a ritirare le sue truppe.

capture 024 06062021 083424Nè revisionismo, né negazionismo: i crimini di una parte non giustificano, né elidono i crimini dell’altra parte: la conoscenza completa e onesta del passato, oltre a consapevolizzarci sull’oscurità che alberga nell’uomo, può impedire l’uso strumentale della storia e quindi il perpetuarsi di spirali di odio, violenza  e vendetta per i decenni successivi.

Con questa ispirazione è nato “Germania anno zero” (Italiastorica) l’ultimo libro dello studioso Massimo Lucioli, (già autore di notevoli studi sull’ultima guerra), dedicato al cosiddetto “Memorandum di Darmstadt”. Il volume comprende una sconvolgente raccolta di immagini, di cui molte inedite.

Nel 1946, il campo di internamento americano 91 a Darmstadt, in Assia, contava 24.000 prigionieri tedeschi. Qui, in segreto, durante il processo di Norimberga, un gruppo di avvocati internati raccolse per quattro mesi le dichiarazioni giurate di 6.000 testimoni sulle violazioni delle leggi e delle regole di guerra da parte degli Alleati: dagli eccidi sulla popolazione tedesca etnica in Polonia nel 1939 (che fornirono il casus belli a Hitler), alle uccisioni dei prigionieri di guerra germanici da parte sovietica prima –con casi di torture e mutilazioni – e Alleata poi. Si documentano le violenze sessuali e le brutalità dei soldati Alleati contro i civili tedeschi; gli stupri e i massacri di massa sovietici nelle province orientali della Germania nel 1944-’45; i bombardamenti incendiari sui quartieri popolari e centri storici delle città tedesche.

Nella giornata del 2 e nella mattinata del 3 giugno 1946 si tenne in Italia il Referendum per scegliere la forma istituzionale dello Stato, cioè tra Repubblica e Monarchia. Il Referendum fu a suffragio universale e, per la prima volta in Italia, votarono anche le donne.
Furono esclusi dal voto i cittadini della Venezia Giulia, della Dalmazia, dell’Alto Adige e della Libia (allora ancora italiana). Si disse che questi italiani avrebbero votato in seguito (sic), ma non se ne fece più niente.
Per assicurare l’ordine durante il Referendum fu costituita una polizia speciale formata da ex-partigiani.
Il 4 giugno i carabinieri, a metà spoglio, comunicano a Pio XII° (chissà perchè solo a lui) che la Monarchia si avviava a vincere.
Nella mattinata del 5 giugno, De Gasperi annuncia al Re Umberto II° che la Monarchia aveva vinto.
Dopo che i rapporti dell’Arma dei Carabinieri, presente in tutti i seggi, segnalarono al Ministro degli Interni Romita la vittoria della Monarchia, iniziarono una serie di oscure manovre ancora non del tutto chiare: nella notte tra il 5 ed il 6 giugno i risultati si capovolsero in favore della Repubblica con l’immissione di una valanga di voti di dubbia provenienza.
Accurati studi statistici hanno dimostrato che in quell’epoca non potevano esserci tanti votanti quanti ne sono stati conteggiati nei dati ufficiali del Ministero dell’Interno, dunque i voti giunti al ministero dell’Interno all’ultimo momento, che avevano dato la vittoria alla repubblica, erano scaturiti dal nulla.

capture 115 28052021 084807Pubblichiamo con piacere i commenti e le osservazioni sul grande poeta italiano, Gabriele D’Annunzio, scritte per il nostro blog da Piotr Pokorny, recentemente laureatosi in lingua e letteratura italiana e prossimamente docente. Grazie Piotr, tanti auguri, contiamo sulla tua assidua presenza tra di noi.

Per capire l’insolita vita di Gabriele D’Annunzio (1863-1938) e comprendere le scelte che egli fece durante la sua esistenza, occorre citare le parole pronunciate da Andrea Sperelli, il protagonista del primo romanzo dannunziano intitolato Il piacere. Questo giovane  aristocratico che si considerava “l’ultimo discendente di una razza di intellettuali” affermava che “l’uomo d’intelletto doveva fare la propria vita come si fa un’opera d’arte”.

Questo pensiero diventò una specie di motto di D’Annunzio. Il poeta pescarese sin dalla sua giovinezza, faceva di tutto per creare la leggenda di se stesso. Il suo sogno era di innalzare un monumento a  se stesso, attraverso la sua produzione artistica e lo stile eccentrico della sua vita.

Presentare un personaggio così poliedrico ed affascinante come Gabriele D’Annunzio, è senza dubbio una sfida. Nel suo caso parliamo non solo di un celebre poeta, noto al grande pubblico come l’autore della famosissima lirica intitolata La Pioggia nel pineto, la lettura della quale rievoca nei lettori ricchissime sensazioni uditive e visive, ma anche di uno scrittore di romanzi di successo e di drammaturgo.  

capture 075 23052021 084711Il leader politico di estrema destra che durante la guerra fu un collaborazionista dei nazisti e a cui il comune di Verona vuole dedicare una strada

Poche settimane fa il comune di Verona ha deciso di intitolare una via a uno storico leader della destra radicale italiana, Giorgio Almirante, morto nel 1988, ex dirigente del regime fascista e collaborazionista dei nazisti, divenuto nel dopoguerra fondatore del Movimento Sociale Italiano (MSI).

In Italia esistono già diverse vie e piazze Almirante, ma la notizia ha causato particolari polemiche poiché lo stesso consiglio comunale di Verona ha votato pochi giorni dopo per dare la cittadinanza onoraria alla senatrice a vita Liliana Segre, sopravvissuta ai campi di sterminio nazisti. Segre ha detto che le due scelte del comune di Verona sono incompatibili. «La città di Verona, democraticamente, faccia una scelta e decida ciò che vuole, ma non può fare due scelte che sono antitetiche l’una all’altra», ha scritto Segre.

Il dibattito su Almirante dura da decenni, in parte a causa della sua lunghissima carriera politica – fu parlamentare per quarant’anni, dal 1948 fino alla sua morte – ma soprattutto a causa della sua storia personale estremamente controversa. Durante il regime fascista, Almirante fu un importante dirigente del partito, autore di articoli razzisti e antisemiti; dopo la guerra non rinnegò mai la sua fede fascista, la sua ostilità alla democrazia e la sua ammirazione per Benito Mussolini.

capture 074 23052021 084504Giorgio Almirante nacque a Salsomaggiore, in provincia di Parma, il 27 giugno 1914. Il padre, attore, direttore di scena di Eleonora Duse e di Ruggero Ruggeri e poi regista del cinema muto, apparteneva ad una famiglia di attori e di patrioti, con ascendenti appartenenti all’alta nobiltà di Napoli. Il piccolo Giorgio visse quindi i suoi primi anni seguendo la famiglia da una città all’altra, fino a che gli Almirante si stabilirono a Torino, dove intraprese studi regolari. Successivamente, si trasferì con la famiglia a Roma, dove si iscrisse all’università nella Facoltà di Lettere.

Parallelamente agli studi, intraprese la carriera di cronista praticante presso “Il Tevere”, quotidiano fascista diretto all’epoca da Telesio Interlandi. Vi rimase fino al luglio 1943, ormai trentenne. Conseguita la laurea in lettere e l’abilitazione all’insegnamento di materie classiche, dopo sei anni di praticantato gratuito, viene nominato da Interlandi caporedattore e, poco dopo, anche segretario di redazione della nuova rivista “La Difesa della razza”, inizialmente diretta dallo steso Interlandi.

Cresciuto dunque in piena epoca fascista, come gran parte dei suoi coetanei, militò nelle organizzazioni giovanili fasciste, ma durante il regime non andò oltre la carica di fiduciario del GUF della facoltà di lettere dell’università di Roma. Quasi cinquant’anni dopo, avrebbe ammesso di essere stato allora razzista e antisemita in buona fede e per motivi politici (come molti giornalisti italiani poi passati all’antifascismo); la collaborazione alla “Difesa della razza fu”, di tutta la sua vita, l’unica esperienza che sconfessò completamente, pur conservando un ottimo ricordo di Interlandi. Inoltre, è noto che Almirante, durante il periodo della Repubblica di Salò, salvò dalla deportazione in Germania un suo amico ebreo e la famiglia di questo, nascondendoli nella foresteria del ministero della Cultura popolare a Salò.

Intanto, scoppia la seconda guerra mondiale, evento che vedrà Almirante coinvolto anima e corpo. Infatti, essendo stato richiamato alle armi come sottotenente di complemento di fanteria, viene mandato in Sardegna a comandare un plotone di guardia alla costa, un compito non certo esaltante. Almirante, invece, desiderava partecipare attivamente alle operazioni di guerra; si offrì dunque volontario per il fronte dell’Africa settentrionale, e a tal fine si fece nominare corrispondente di guerra. Raggiunse Bengasi alla fine dello stesso mese di giugno dove visse le alterne fasi della guerra fino a tutto il 1941, ottenendo la croce di guerra al valor militare. Tornato poi a Roma, riprese il suo posto di caporedattore del Tevere.

capture 013 17052021 105249La Libia e l’Italia: alle origini di un rapporto più che secolare. Una breve storia della politica italiana nella colonia libica (1912-1949).

A seguito dell’invasione italiana della Libia, la firma del trattato di pace di Losanna nel 1912 pose formalmente fine alla guerra italo-turca, ma non concluse affatto le ostilità. La guerra italo-libica proseguì sotto altre forme: non più un conflitto regolare tra due fronti, bensì una guerriglia. Le ambiguità contenute nel testo del trattato di pace, che lasciava all’impero ottomano la sovranità su Tripoli e consentiva all’Italia di fondare le proprie rivendicazioni territoriali sul diritto italiano, produsse l’effetto di consentire alla popolazione libica di considerare il sultano la propria guida spirituale e politica, nonostante l’occupazione italiana. Le resistenze mostrate dai libici, soprattutto in Cirenaica, raccolte attorno all’ordine della Senussia di Sayyid Ahmed ash-Sharif, proseguirono fino allo scoppio della prima guerra mondiale e, in parte, continuarono anche dopo la sua conclusione.

capture 012 17052021 104157Mentre era ancora in vita, Augusto fu venerato in tutto l’impero. Alla sua morte fu divinizzato, inaugurando una consuetudine che proseguì coi suoi successori

Quando il primo imperatore romano morì aveva quasi 77 anni e per circa mezzo secolo aveva regnato indiscusso. Il 19 agosto del 14 d.C. da Nola, vicino Napoli, il suo corpo fu portato a Roma a spalle dai notabili delle città situate lungo il cammino. Il viaggio si fece di notte per evitare che il corpo si decomponesse troppo rapidamente a causa dell’intenso calore estivo. Furono i cavalieri romani a incaricarsi di introdurre le spoglie dell’imperatore nella capitale. Tiberio, figlio adottivo e successore designato, pronunciò l’elogio funebre durante una sessione del senato.

Apoteosi di Antonino Pio e della moglie Faustina, che ascendono al cielo sorretti da un genio alato. Ai loro piedi ci sono la dea Roma e la personificazione del Campo Marzio che sostiene l’obelisco di Augusto

Foto: Scala, Firenze

Quindi la salma fu trasferita al Campo Marzio, dove Augusto si era costruito il suo mausoleo. La pira funeraria fu accesa da alcuni centurioni su ordine del senato. Mentre il rogo ardeva, un’aquila si alzò in volo dalle fiamme per trasportare in cielo l’anima del defunto imperatore. L’ex pretore Numerio Attico giurò davanti al senato di aver assistito all’evento miracoloso, facilitando in questo modo l’apoteosi di Augusto, che fu decretata il 17 settembre. A Roma era nato un nuovo dio.

Iniziò così una consuetudine che sarebbe proseguita per almeno due secoli: il senato divinizzava gli imperatori se ne giudicava positivamente l’operato. Era un’usanza nuova, che rompeva con le antiche tradizioni politiche e religiose dell’Urbe. La repubblica romana si era sempre definita una “città”, una comunità di persone che condividevano la cittadinanza e veneravano gli dei locali, in particolare Giove Capitolino, divinità suprema connessa alla fondazione dello stato.

capture 057 14052021 105521Sparta: storia, educazione, cultura e ordinamento sociale e politico dell'antica città greca rivale di Atene. Riassunto dello sviluppo e storia delle guerre

Sparta: storia e origini

Le origini di Sparta risalgono a un periodo che va dal XIII al X secolo a.C. Durante questi anni, la popolazione indoeuropea dei Dori invase la regione della Laconia, situata nella parte meridionale del Peloponneso. Qui fondarono, per sinecismo (ovvero unificando quattro villaggi, Cinosura, Limne, Mesoa e Pitane), la capitale Sparta, assegnandole inizialmente il nome di Lacedemone. Fu così chiamata in onore del dio Lacedemone, figlio di Zeus e fondatore dell’omonima città.

Il nome di Sparta le fu assegnato solo successivamente, in onore della moglie di Lacedemone. La regione della Laconia era precedentemente abitata dagli Iloti, che divennero poi schiavi. Oltre agli iloti, anche i messeni furono invasi; nei secoli successivi alla fondazione di Sparta, i Dori s’interessarono da subito alla confinante regione della Messenia, che riuscirono a conquistare dopo decenni di guerre. Questa vittoria portò agli spartani (discendenti dei Dori) una grande quantità di terre coltivabili oltre che schiavi per lavorarle. Sparta assegnò agli iloti, oltre alla coltivazione, anche il compito della lavorazione dei beni materiali utili alla città-stato. In questo modo i guerrieri spartani potevano dedicarsi esclusivamente alla pratica delle armi. Sappiamo infatti che Sparta era famosa per il suo potente esercito, in grado di vincere ogni guerra e ogni battaglia, perlomeno fino all’invasione Macedone.

capture 079 02052021 092903Roma, 4 feb – Quando si affronta il dramma delle foibe ci si scontra subito con un quesito brutale: quanti furono i morti? Ora, la contabilità cimiteriale è una pratica tetra e in verità piuttosto noiosa, molto efficace nella comunicazione propagandistica ma poco utile a capire la complessità dei fenomeni. E tuttavia, poiché la storia si fonde spesso con la politica, ragionare di numeri risulta alla fine inevitabile.

Il gruppetto scomposto che è andato a interrompere lo spettacolo di Simone Cristicchi a Firenze ha diffuso volantini e comunicati in cui possiamo leggere passi del genere:

Il “moto di odio e di furia sanguinaria” [si sta citando una frase di Napolitano – ndr] dovrebbe riferirsi alle 798 vittime ufficialmente ritrovate nelle cosiddette foibe, cioè le cavità carsiche presenti in territorio giuliano e istriano, fra il 1943 e il 1945. Infatti, nonostante i numeri sparati a caso di volta in volta dai vari esponenti politici, dall’estrema destra alla sinistra più ossequiosa, gli unici corpi ritrovati furono quelli che il maresciallo dei Vigili del Fuoco Harzarich ripescò nel biennio ’43-’45 (ribadiamo: fonte ufficiale fascista, quindi interessata ad amplificare l’accaduto). Poi più nulla. A ben vedere, in un contesto territoriale e temporale in cui morirono 50 milioni di persone, parlare di “moto di odio e di furia sanguinaria” sfiora il controsenso.

capture 035 25042021 095637Gli elementi dominanti della Resistenza, quelli comunisti, lottavano per l'Unione sovietica. Ecco perché Churchill voleva puntare non sulla Francia, ma sull'Italia

Quando guardo in streaming le facce nobili dei vecchi uomini inglesi e americani e del Commonwealth che hanno partecipato all'invasione della Francia nel 1944 e che ora sono tornati alle spiagge della Normandia per commemorare il 70° anniversario del «Longest Day», e poi, quando ascolto le loro parole piango - sorridendo. Sono da onorare perché sono uomini in perfetta sintonia con la regola antica della vita, cioè: per meritare l'onore, un uomo deve dimostrare prima l'umiltà e poi la virtù. E loro, questi uomini che ormai hanno compiuto i 90 anni - e tutti i loro compagni caduti in nome della libertà - ce l'hanno fatta.

Poi, però, penso alla liberazione di Roma dagli stessi anglo-americani, accaduta due giorni prima del D-Day - il 4 giugno 1944 - e mi incazzo. Per parecchi motivi. In anzitutto, mi incazzo perché sono inglese ma in Italia si commemora la liberazione d'Italia ogni 25 aprile come se fosse un lavoro compiuto da partigiani e basta. E mi sento offeso che a Forlì in Romagna dove abito la strada che porta ad uno dei due cimiteri degli alleati nella città si chiama Via dei Partigiani. E mi sento offeso che quando si parla di alleati in discorsi o sui giornali, si fa riferimento solo agli «americani». In quei due cimiteri di Forlì giacciono i resti mortali di 1.234 soldati dell'Ottava Armata Britannica. Così tanti morti, solo a Forlì. Ma vi rendete conto? Non è ora - dopo 70 anni - di affrontare una semplice verità? Eccola: la Resistenza in Italia era completamente irrilevante dal punto di vista militare. In ogni caso, nell'estate del 1944 non esisteva una Resistenza in Italia. Dopo, invece - dall'autunno del 1944 in poi - che cosa di concreto ha portato questa Resistenza?

capture 033 25042021 094431“I giovani facciano propri i valori costituzionali. La festa del 25 aprile ci stimola a riflettere come il nostro Paese seppe risorgere dopo la tragedia della seconda guerra mondiale. Un vero secondo risorgimento”. Lo ha detto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella al Quirinale ricevendo gli ex-combattenti. “Conoscere la tragedia il cui ricordo è ancora vivo ci aiuta a comprendere le tante sofferenze che si consumano alle porte dell’Europa che coinvolgono popoli a noi vicini”. Tanto è bastato all’Ansa per scrivere il titolo fazioso “No a riscritture della storia”. Siccome per passione (e studi) faccio lo storiografo trovo molto opportuno ripubblicare un articolo di alcuni mesi fa nella speranza che il Capo dello Stato impari tutta la storia e non solo quella che gli piace.

I FEMMINICIDI PARTIGIANI

Il femminicidio è una grave piaga della società contemporanea, epifenomeno di un retaggio culturale che nei secoli legittimò gli abusi maschilisti ma anche, o forse soprattutto, di una generale inaudita recrudescenza di belluina violenza sociale che miete vittime tra genitori anziani come tra bambini in culla. In Parlamento si sta cercando di dare una risposta legislativa al fenomeno con la nuova legge sul Codice Rosso in difesa delle donne che, però, come la precedente normativa sullo stalking,  rischia di rivelarsi solo un vacuo tentativo di smorzare gli effetti, a volte davvero imprevedibili, più che una reale soluzione per affrontare le vere cause. Se diamo uno sguardo alla nostra storia, inoltre, scopriamo purtroppo che il femminicidio è antico quanto la libertà d’Italia,

capture 034 25042021 094905PARMA- Non si può non essere colpiti dalla drammaticità di quanto viene raccontato dal Giornalista e Scrittore Giampaolo Pansa su quanto è accaduto durante la guerra civile in Italia, tra partigiani e fascisti e quanto di terribile ha continuato ad accadere negli anni immediatamente successivi alla fine della guerra.
Giampaolo Pansa riporta il numero di 2.365 donne uccise, spesso prima stuprate dai partigiani, di cui si conosce il nome e la vicenda. A cui bisogna aggiungere le centinaia di donne violentate che sono riuscite a sfuggire alla morte e che per un comprensibile senso di pudore hanno taciuto. E quelle picchiate, rapate a zero ed esibite come trofei per la sola colpa di essere fidanzate di soldati fascisti.

Giuseppina Ghersi era una bambina di appena 17 anni quando fu picchiata, stuprata e uccisa dai partigiani con l’accusa di essere al servizio del regime fascista. Studentessa delle magistrali alla “Rossello” di Savona scrisse un tema che la maestra inviò al Duce ottenendone i complimenti: questa la sua colpa.

La mattina del 25 aprile 1945, Giuseppina fu sequestrata da tre partigiani e portata nei locali della Scuola Media “Guido Bono” a Legino, adibito a Campo di Concentramento per i fascisti. Le cosparsero la testa di vernice rossa e le vergarono la emme di Mussolini sulla fronte per essere poi esibita in pubblico come un trofeo di caccia. Fu pestata a sangue e violentata per giorni.
Il 30 aprile fu posto fine al suo martirio con un colpo di pistola alla nuca e il suo corpo gettato, insieme ad altri, su un cumulo di cadaveri davanti al cimitero di Zinola.

capture 052 22042021 185654Josip Broz  (Kumrovec, Zagabria, Croazia, 7 maggio 1892, Lubiana, Slovenia 4 maggio 1980) meglio noto come TITO è stato un criminale comunista che fu al comando del Partito comunista jugoslavo a partire dal 1939.

I cenni biografici sulla vita di questo criminale comunista ci raccontano che dopo un periodo giovanile in cui lavorò come fabbro per seguire le orme del padre, iniziò a palesare un assiduo attivismo politico nelle file delle organizzazioni sindacali e della socialdemocrazia croata.

Durante la Prima Guerra mondiale divenne soldato dell’esercito austro-ungarico e nel 1915 fu fatto prigioniero dai russi e tradotto in Unione Sovietica, dove fu condannato ai lavori forzati in un campo degli Urali.

Nel 1917 venne nuovamente arrestato per aver capeggiato la protesta dei prigionieri di guerra, ma riuscì a fuggire e a recarsi a San Pietroburgo dove si unì ai manifestanti.

Nuovamente arrestato scontò un mese di carcere in Finlandia dove si era recato in fuga dal campo di lavoro.

Nel 1918 fu accettato in seno al Partito comunista russo ed entrò a far parte della NKVD, la famigerata Polizia segreta.

In questi anni Tito si sposò con la giovane Pelagia Belussova.

capture 051 22042021 180658Josip Broz Tito in uniforme, 1961

Gli Slavi Meridionali, che per un certo periodo vissero nello Stato unitario jugoslavo, costituivano una realtà complessa. Da un punto di vista strettamente linguistico, Croati, Serbi, Bosniaci e Montenegrini costituiscono qualcosa di omogeneo, diversi sono i Macedoni affini ai Bulgari e gli Sloveni affini agli Slovacchi. Più rilevanti sono le differenze religiose, essendo presenti Cattolici, ortodossi e musulmani, e nell’uso della scrittura, essendo presente sia l’alfabeto latino che quello cirillico. Sloveni e Croati, erano vissuti per un lungo periodo sotto l’Impero Asburgico, e in quanto prevalentemente Cattolici erano più orientati verso il mondo occidentale. Serbi e Macedoni erano invece vissuti sotto il più autoritario Stato Ottomano in un maggiore isolamento. Nell’Ottocento l’intera regione balcanica si affrancò dall’Impero Turco, ma a causa degli incerti confini etnico-linguistici, le dispute territoriali furono continue, e con esse un certo timore verso la supremazia della Serbia. Con i trattati successivi alla Prima Guerra Mondiale si formò lo Stato unitario jugoslavo sotto la dinastia serba di Karadordevic, ma la vita politica del Paese fu pesantemente tormentata dai contrasti fra Serbi e Croati, sebbene in alcuni momenti proprio la Corona cercasse di attenuare lo scontro. Dopo l’invasione italo-tedesca della Jugoslavia nel 1941, i massacri fra gruppi etnici divennero continui, in particolare da parte degli Ustascia, un movimento ultra nazionalista, filo fascista e successivamente filo nazista, che si ritiene abbia provocato la morte di 500.000 Serbi (incluso un certo numero di Ebrei e rom), l’espulsione di 250.000 non Croati e la conversione forzata al Cattolicesimo di un numero simile di Jugoslavi. Meno documentati sono i massacri compiuti dai Serbi, che ammonterebbero comunque a circa 100.000 persone. Interessante notare che meno di un quarto dei morti jugoslavi nel corso della Seconda Guerra Mondiale (1.400.000) sono da attribuire alla guerra di invasione italo-tedesca, la restante parte fu dovuta ai conflitti etnici e ai conflitti fra anticomunisti e titoini.

La Bosnia nel 1943 venne occupata dai comunisti titoini che progressivamente divennero la principale forza del Paese, per un certo periodo si contrapposero quindi tre grandi gruppi politici, gli Ustascia destinati rapidamente a scomparire, i cetnici (Serbi filo monarchici) e i comunisti di Tito. Le violenze subite dai cetnici spinsero questi verso un atteggiamento non belligerante verso i Tedeschi, gli Angloamericani si orientarono quindi verso il sostegno ai comunisti. Tale politica poteva apparire sotto il profilo politico poco congruente, del resto anche in Vietnam gli Americani avevano appoggiato i comunisti di Ho Chi Minh contro i Giapponesi. A Yalta comunque, gli Angloamericani tentarono di stabilire una convivenza fra comunisti e monarchici, ovviamente difficilissima da realizzare essendo i rapporti di forza ormai compromessi. Si è dibattuto se la liberazione della Jugoslavia sia avvenuta attraverso l’intervento dell’Armata Rossa o se sia stata un fenomeno dovuto unicamente alle forze jugoslave, gli storici propendono per una compartecipazione di entrambi.

capture 044 22042021 110821Non solo la collana di Kate Middleton, anche il gioiello della regina ha avuto un significato particolare in questa occasione

Di nero vestita, maestosa nella sua corporatura esile, eppure: umana. L’immagine della Regina Elisabetta al funerale del principe Filippo fa stringere il cuore di chi, con empatia, è riuscita a leggere nei suoi occhi lucidi il suo spiccato senso di umanità. Dalle nozze reali nel lontano 20 novembre 1947 a oggi, “Lilibet” e il duca di Edimburgo avrebbero celebrato 74 anni di matrimonio quest’anno. La mancata realizzazione di questo traguardo si è consumata a Windsor (anche) nel potente simbolismo di un gioiello sempre accuratamente scelto da Her Majestyla spilla. Tempestata di perle e diamanti, la spilla della Regina Elisabetta al funerale del principe Filippo porta con sé un duplice significato. Due valori interconnessi tra loro, legati da sacralità e senso di devozione.

capture 043 22042021 110323È il più anziano sovrano del mondo, e il monarca che ha regnato più a lungo nella storia della Gran Bretagna. Elisabetta II è regina non solo del Regno Unito, ma anche di Canada, Australia, Nuova Zelanda e di altri 12 stati membri del Commonwealth. Ha vissuto il progressivo smantellamento del glorioso Impero Britannico. Ha attraversato molte guerre e grandi sconvolgimenti economici e sociali.

https://www.raiplay.it/programmi/elisabettaiireginadinghilterra

capture 040 21042021 183828Mussolini ha scritto anche poesie
(Fabrizio De Andrè, Le storie di ieri)

Nel suo saggio La sindrome di Nerone, Errico Buonanno sostiene che dietro ogni efferato dittatore si nasconde un artista frustrato (BUONANNO 2013). La dinamica psicologica sarebbe spietatamente semplice: un artista fallito sarebbe «tanto insoddisfatto da attuare un piano surreale: cambiare quel mondo che lo aveva scacciato, ricevere a forza, con violenza, gli applausi che il pubblico gli aveva negato, e prendersi la sua brava vendetta su quella vita che lo aveva deluso». Insomma, una sorta di oscuro meccanismo di compensazione che risarcisce l’impotenza artistica con lo strapotere politico, secondo cui «se il mondo ci sfugge, e si rifiuta di farsi rinchiudere nella parola, nelle definizioni, nei tratti di pennello […] dobbiamo provare a dominarlo». D’altronde, i dittatori sono prima di tutto dei furiosi narcisisti, ossessionati da protagonismo e desiderio di prevaricazione sugli altri, pronti a soddisfare la loro psicotica vanità con ogni mezzo possibile. Poco importa che ciò avvenga scrivendo un poema, suonando il violoncello o conquistando una nazione. Buonanno porta decine di esempi a sostegno della tesi: le languide pose da giovane Werther di Napoleone; il trauma di Hitler, che si presenta tutto tronfio all’Accademia di Vienna con un quadretto banale, e farnetica, di fronte all’ovvio rifiuto, di oscuri complotti ebraici; le dozzinali commedie di Goebbels; le poesie pastello di Stalin, tutte violette in fiore, acque cristalline e brezze fra augelli.

capture 033 21042021 114642La vita di papa Giovanni XXIII, Angelo Roncalli, dalla sua infanzia sino all'elezione dopo il Concilio. L'appellativo di "Papa buono", mai dimenticato dai fedeli e dalla storia, poi la morte. Nel film di Ricky Tognazzi del 2003, "Il Papa buono – Giovanni XXIII" viene mostrata con chiarezza la grande personalità di questo Papa la cui carica durò meno di cinque anni. Nel cast del film, a interpretarlo è Bob Hoskins. 

Il paese della provincia di Bergamo porta il suo nome

Nato Angelo Giuseppe Roncalli, Papa Giovanni XXIII nacque a Sotto il Monte, comune italiano della provincia di Bergamo e che oggi porta il nome di Sotto il Monte Giovanni XXIII. Terra oggi falcidiata dal Coronavirus. Proprio presso il Santuario a lui intitolato vi sono le venerate spoglie del Papa, oggi Santo. È stato il 261esimo vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica. Morì il 3 giugno 1963. Al momento della morte di Angelo Roncalli, il paese che gli diede i natali prese cambiò il suo nome. Fu beatificato da papa Giovanni Paolo II il 3 settembre 2000. Il processo di canonizzazione è stato completato il 27 aprile 2014 da Papa Francesco I insieme a Benedetto XVI.