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La Francia rifugio felice di latitanti della lotta armata
Che il premier francese François Hollande abbia telefonato al nostro presidente del Consiglio Matteo Renzi per chiedergli un atto di clemenza verso Erri De Luca, lo ha scritto il quotidiano d’Oltralpe Journal Du Dimanche . Palazzo Chigi ha smentito. Se anche fosse vero, ci sarebbe poco da sorprendersi. Lo scrittore partenopeo, infatti, non è sicuramente un terrorista, ma De Luca (certo che l’ipotizzata telefonata di Hollande non abbia «influito sulla sentenza») ha più volte flirtato con la teoria della lotta armata. Quanto basta per far scattare nelle autorità francesi l’«istinto di protezione», derivazione della "Dottrina Mitterand", verso chi, negli anni di piombo, ha imbracciato le armi in Italia. Il territorio dei "galli", infatti, ospita il fior fiore del terrorismo italiano degli anni ’70.
La mappa del terrorismo "latitante"
"Contiamo che la galera per Battisti non sia l'unica per un terrorista che deve scontare la sua pena in Italia". Il Salvini pensiero è chiaro e di fatto si è aperta la caccia alle primule, rosse o nere che siano. Tutta una serie di terroristi, appartenenti a forze eversive di ogni ordine e grado in azione durante gli anni di piombo in Italia e che poi, per evitare il carcere, hanno trovato rifugio all'estero.
La dolce vita di Pietrostefani (e di altri latitanti)
L'arresto di Cesare Battisti ha riportato d'attualità il tema delle decine di ex terroristi latitanti all'estero, dove conducono vite assolutamente tranquille, senza aver mai pagato il loro debito con la giustizia italiana. Su tutti Giorgio Pietrostefani, condannato a 14 anni e due mesi di carcere per l'omicidio del Commissario Calabresi e fondatore con Adriano Sofri di Lotta Continua. Panorama ha scoperto che Pietrostefani vive a Parigi dove riceve una pensione dall'Inps di oltre 1500 euro. Oltre a lui Panorama ha scoperto chi sono e cosa fanno i 30 ex terroristi che hanno una pena da scontare ma vivono serenamente all'estero. Ecco un estratto dell'inchiesta che potete leggere sul numero in edicola dal 30 gennaio. Cinecittà hanno già pronta la «parte seconda» della cattura di Cesare Battisti, l’ergastolano consegnato dal governo boliviano alle patrie galere con la regia del neo-presidente del Brasile Jair Bolsonaro. Ovviamente non stiamo parlando degli studios capitolini, ma degli uffici della Direzione centrale della Polizia di prevenzione, l’antiterrorismo italiano, che si trova proprio di fronte alla nostra piccola Hollywood.
Prigionieri della democrazia Gli italiani deportati in Usa
Tanti, tantissimi. Sconfitti, a volte anche in modo umiliante, ma pure in un certo modo salvati. Messi ai margini, che si trattasse dei deserti del Texas o delle spianate vulcaniche delle Hawaii poco importa, eppure miracolosamente estratti da quel gigantesco tritacarne da settantuno milioni di morti che fu la Seconda guerra mondiale. Ecco il destino dei prigionieri italiani deportati negli Stati Uniti d'America a seguito delle tremende sconfitte dell'Asse in Nord Africa e in Sicilia.
Latitanti e contenti. Gli "altri" Battisti
Non c’è soltanto Cesare Battisti, l’ex esponente dei Proletari armati per il comunismo condannato per quattro omicidi (il gioielliere Pierluigi Torregiani, il macellaio Lino Sabbadin, il maresciallo della polizia penitenziaria Antonio Santoro e l’agente della Digos Andrea Campagna), e latitante per 26 dei suoi 64 anni. Gli anni di piombo italiani, purtroppo, hanno lasciato molte altre scorie in giro per il mondo. La lista è lunga e davvero mortificante, per la giustizia italiana. Tra gli esponenti più significativi del terrorismo impunito ci sono Alvaro Lojacono e Alessio Casimirri, due vecchi brigatisti rossi (oggi hanno 63 e 67 anni) che non si sono mai formalmente pentiti. Facevano parte del commando che il 16 marzo 1978 entrò in azione a Roma, in via Fani, uccidendo i cinque uomini della scorta dell’ex presidente della Dc. Sette mesi dopo, insieme, avevano anche colpito mortalmente alla testa il magistrato Girolamo Tartaglione, direttore generale degli affari penali. La nostra Corte di cassazione, in contumacia, li ha condannati all’ergastolo ma sono riusciti a fuggire e in Italia non hanno mai scontato un giorno di pena.
In fuga come Battisti, le primule rosse del terrorismo
L'arresto in Bolivia dell'esponente di punta dei Pac, Cesare Battisti, riaccende all'improvviso i riflettori sul lungo elenco dei terroristi, rossi e neri, ancora ricercati e latitanti. E il capogruppo alla Camera del Carroccio Riccardo Molinari e il deputato Daniele Belotti fanno sapere che la Lega presenterà una mozione alla Camera "per sollecitare con determinazione l'estradizione degli oltre 50 terroristi condannati in via definitiva e latitanti in Francia, Nicaragua, Argentina, Cuba, Algeria, Libia, Angola". Nel frattempo con i tanti anni trascorsi dal momento del reato per alcuni latitanti è scattata la prescrizione. Come è accaduto per l'ex leader di Potere Operaio Oreste Scalzone, condannato a 16 anni, rifugiato in Francia e tornato in libertà nel 2007.
Trentatrè terroristi in libertà Tra bella vita e amici potenti
I terroristi italiani ancora latitanti in un sicuro rifugio all'estero sono 33, dei quali 28 rossi (e 15 delle Brigate rosse), ancora in vita e individuati. Uno dei casi più eclatanti riguarda Alessio Casimirri condannato in contumacia a 6 ergastoli per il sequestro e l'omicidio di Aldo Moro. Il brigatista ha aperto un ristorante in Nicaragua e si è fatto pure fotografare con enormi pescioni catturati grazie alla sua passione per le immersioni. Come Battisti ai tempi del presidente Lula in Brasile sarà difficile convincere l'ex guerrigliero marxista Daniel Ortega, che guida il paese con il pugno di ferro, a rimandarci il terrorista italiano. La Francia è sicuramente il paese più ospitale per i latitanti degli anni di piombo, dove aveva trovato scampo alla cattura pure Battisti. Grazie alla dottrina Mitterrand, dal nome del presidente francese che aprì le porte ai terroristi se rinunciavano alla lotta armata.
Gli anni di piombo: dove sono oggi i terroristi?
Pedofilia, Emiliano Fittipaldi: "Papa Francesco promuoveva cardinali insabbiatori. Ora sono tutti processati"
"Nel 2017 in Lussuria indicai chi, nella Chiesa, copriva i pedofili. E raccontai cheFrancesco promuoveva cardinali insabbiatori: Pell, Barbarin, Ezzati", attacca il giornalista de L'Espresso Emiliano Fittipaldi: "Lussuria fu attaccato o ignorato". Ma la verità, continua, è che "oggi Pell è in carcere, Barbarin condannato, Ezzati a processo. Fidarsi dei fatti, sempre". Oggi 23 marzo infatti si è dimesso l'arcivescovo di Santiago del Cile, il cardinale Ricardo Ezzati. Papa Francesco ha accettato la rinuncia del porporato (già in proroga da due anni, ndr) nominando monsignor Celestino Aos Braco, finora vescovo di Copiapò, amministratore apostolico "sede vacante et ad nutum Sanctae Sedis".
Emiliano Fittipaldi: dal Vaticano alla Politica, perché in Italia è difficile fare inchieste che sfiorano in potere
Come il direttore Travaglio anche io non sono mai stato invitato alla Camera a parlare di temi di questa complessità e di questa importanza e quindi sono contentissimo di essere stato invitato. Mi spiace che è andato via il Presidente Fico che è stato il primo ad invitarmi a Napoli nel 2010, siamo napoletani entrambi e avevo fatto un libro “Così ci uccidono” che raccontava dell’inquinamento della nostra terra. E’ stato l’unico a presentarmelo, era il 2010 ai tempi della campagna elettorale per le Regionali. Eravamo 2 ragazzi e adesso mi fa strano vederlo qui, lui da una parte ed io dall’altra. Allora, io faccio inchieste sul potere. Qualsiasi forma di potere. Non soltanto il Vaticano che con le inchieste che mi hanno reso più celebre, perché io sono partito facendo inchieste.
Abolire l'ora di religione: la mozione contro la Chiesa
Un testo in quattro punti che metterebbe in grave difficoltà la chiesa cattolica, proposto dagli stessi partiti appoggiati dalla Cei per arginare la Lega. La strategia del Vaticano alle ultime elezioni non ha pagato. Anzi per scongiurare l'ascesa della Lega, la Chiesa si sarebbe data la zappa sui piedi. Secondo quanto scrive Antonio Socci oggi su Libero i partiti su cui la Cei avrebbe cercato di convogliare i voti dei cattolici sono stati Pd, Leu, “Più Europa” di Emma Bonino e pure M5S da quando Di Maio decise di fare campagna elettorale contro Salvini. Difatti, ricorda Socci, il Fatto quotidiano titolava: "Il Papa è la vera opposizione a Matteo Salvini" e "Cei: “Votate tutti tranne Salvini”.
Rai Cinema, lo sperpero è kolossal
Rai Cinema è come “Blade Runner”: si vedono cose «che voi umani non potreste immaginare». Triangolazioni con piccoli produttori italiani che comprano decine di film da società ungheresi per rivenderli alla Rai a costo maggiorato, 600 mila euro dati a un falso broker con l’hobby della regia poi arrestato perché in odore di camorra, diritti di opere prime di perfetti sconosciuti pagati oltre un milione di euro, telenovela argentine (“El refugio”) acquistate con i soldi pubblici a prezzo (quasi) doppio rispetto a quanto speso in origine da società intermediarie. Senza parlare di milioni di euro investiti in librerie di pellicole spazzatura mai mandate in onda. Leggendo i documenti riservati che “l’Espresso” ha visionato si potrebbe sceneggiare una serie a metà tra il comico e il drammatico, anche se alla procura di Roma hanno poca voglia di scherzare.
RAI, LO SPOT E' OCCULTO
Un mese fa la giunta del Veneto ha investito 230 mila euro per la finale di "Miss Italia nel mondo" che si svolgerà a Jesolo: RaiUno in cambio s'impegna a organizzare un reportage di 40 minuti per riprendere le bellezze della laguna, Bassano del Grappa, Thiene e Marostica. Un do ut des tra Rai e Regioni che si replica qualche giorno dopo in Puglia, dove Nichi Vendola ha stanziato oltre 400 mila euro dei fondi regionali per sovvenzionare il programma "Okkupati", trasmissione sul mondo del lavoro che va in onda la domenica su RaiTre. "Un regalo del presidente a una trasmissione destinata alla sua auto-apologia, uno schiaffo alle televisioni locali", ha attaccato il consigliere Pdl Nino Marmo. Senza sapere che nelle stesse ore il suo collega di partito e governatore della Sardegna, Ugo Cappellacci, decideva di mettere una fiche da 300 mila euro per l'organizzazione del premio "Rodolfo Valentino", trasmesso il 4 luglio da RaiUno. Secondo qualche oppositore i soldi sarebbero stati praticamente buttati dalla finestra: troppo pochi gli spot sulla Sardegna durante la serata, fatta peraltro a pezzi dal critico televisivo Aldo Grasso: "Sarebbe interessante sapere chi paga queste feste auto-celebrative, e quanto è a carico dei contribuenti", ha scritto. "Nei momenti di crisi e di tagli alle tredicesime, ci sono spese che sono prioritarie e altre di cui forse si può fare a meno".
Storia del cinema: Ventennio fascista: le tappe salienti
Nel tentativo di controllare l’opinione pubblica, il regime fascista si occupa ben presto anche dell’industria cinematografica, soprattutto per la capacità dei film di influenzare i comportamenti di massa. Già nel 1925, ossia tre anni dopo la Marcia su Roma, viene fondato l’Istituto Luce (acronimo di L’Unione Cinematografica Educativa) con il compito di produrre cinegiornali che documentino le opere del regime, le imprese dei gerarchi, le parate in armi, i raduni e ogni altro momento di aggregazione del Partito Fascista, oltre, ovviamente, le performace mussoliniane (Mussolini agricoltore, nuotatore, cavallerizzo ecc). Secondo la frase che viene attribuita allo stesso Mussolini («Il cinema è l’arma più efficace», rielaborata su quella pronunciata da Lenin «Il cinema è l’arte più importante»), la produzione viene ben presto indirizzata su due filoni principali: le opere di propaganda e le opere disimpegnate, le cosiddette commedie dei telefoni bianchi. Terzo filone (minoritario) è quello definito dalla critica delle opere “calligrafiche”. Si tratta principalmente di film desunti da opere letterarie (cfr. la sezione dedicata agli intellettuali e il cinema), formalmente ben curati, impeccabili sul piano formale, ma comunque distanti dalla realtà sociale del paese la cui rappresentazione sarebbe incappata nelle maglie della censura.
Amedeo Nazzari un grande del cinema italiano
“…e chi non beve con me, peste lo colga”. Questa la battuta più popolare dell’attore Amedeo Nazzari. Battuta recitata nel film ‘La cena delle beffe’ (1942) diretto da Alessandro Blasetti. Possiamo dire che Amedeo Nazzari è stato uno dei più importanti e popolari attori cinematografici del Secolo scorso. Amedeo Nazzari: cagliaritano di nascita e romano d’adozione. Amedeo Nazzari nome d’arte di Amedeo Carlo Leone Buffa (Classe 1907) nasce a Cagliari in una casa situata all’angolo tra la via Caprera e Viale Trieste. Il padre Salvatore Buffa era proprietario, insieme ai fratelli, di una industria molitoria e al tempo stesso di alcuni pastifici. Mentre la madre, Argeneide era la figlia del Presidente della Corte d’Appello di Cagliari, Amedeo Nazzari. Nome che utilizzerà per la sua carriera artistica. Amedeo Nazzari, un mancato ingegnere. A causa del decesso prematuro del padre e di una crisi nel settore industriale molitoria, la madre nel 1913 decise di trasferirsi a Roma con il piccolo Amedeo di 6 anni e le sorelle maggiori. Una volta preso il diploma, deciderà di iscriversi alla facoltà di ingegneria ma nel 1928, dopo soli 3 anni, mollerà gli studi per dedicarsi alla sua passione artistica. (Una scena di un film dell’attore A. Nazzari)
Quarant’anni fa l’addio a Vittorio De Sica. Esordì con gli Almirante…
Quarant’anni fa scompariva in un ospedale parigino a soli 73 anni una eccellenza italiana che il mondo ci invidia: Vittorio De Sica. Quasiasi definizione di lui parrebbe una mancanza di rispetto. Regista, sceneggiatore, attore, documentarista, cantante, padre del neorealismo? A lui forse piacerebbe profeta della “ciociarietà”… Ma lui fu molto, molto di più. Era nato in Ciociaria, a Sora, nel luglio del 1901 da Umberto e Teresa, entrambi di origine campana. «Vivevamo in una tragica e aristocratica povertà», ebbe a dire De Sica, che nel 1952 tributò al padre il film Umberto D. Nel 1914 la famiglia si trasferì dapprima a Napoli, poi a Firenze e infine a Roma, dove Vittorio intraprese gli studi ragioneria. Primo attore nel 1930. Nel 1917 ottenne una piccolissima parte in un dimenticato film muto. Ma è importante perché fu l’inizio della sua inarrestabile carriera. Nel 1923 lavorò in teatro con la compagnia dell’attrice russa Tatiana Pavlova, per due anni. Nel 1925 si aggrega come secondo attore brillante alla compagna teatrale , prestigiosa all’epoca, di Italia Almirante, figlia di un ufficiale garibaldino, diretta da Luigi Almirante, zio dell’uomo politico Giorgio. Due anni dopo diventa secondo attor giovane nella compagnia Almirante-Tofano-Rissone.
Venezia, il sindaco Brugnaro su una nave da crociera: «La soluzione è passare dal canale nord». Il blitz all'alba
Blitz alle 4 di mattina di sabato 20 luglio per il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro, che è salito a bordo di una nave da crociera attraccata alla banchina di Porto Marghera e che ha percorso il Canale dei Petroli entrando dalla bocca di porto di Malamocco. L'occasione di dimostrare la fattibilità dell'opzione-Marghera per le Grandi navi è stata il divieto di transito alle imbarcazioni lungo il Canale della Giudecca, imposto per la presenza del ponte di barche per il Redentore.
NAVI DA CROCIERA IN LAGUNA, IL SINDACO DI VENEZIA ATTACCA TONINELLI
Botta e risposta tra il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro e il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli, dopo l'incidente sfiorato ieri in laguna, quando una nave da crociera ha rischiato di travolgere uno yacht. "La responsabilita' maggiore di quanto e' accaduto e di quello che potra' accadere in futuro e' di chi non ha deciso in questi mesi", ha detto Brugnaro, chiamando in causa "il ministro Danilo Toninelli, che ha poteri funzionali sull'intera filiera portuale". "Il tempo dell'attesa e' finito - ha aggiunto Brugnaro -. Siamo molto arrabbiati. Basta con le navi a San Marco e lungo il Canale della Giudecca", "il Ministro si sieda al tavolo con Comune e Regione per ragionare di grandi navi, con umilta' e senza preconcetti ideologici e politici". "Brugnaro come al solito straparla - replica Toninelli -. Dopo anni di inerzia anche da parte di quelli della sua area politica, siamo vicini a una soluzione seria per mettere fuori le grandi navi da Venezia".
Dove nasce la tragedia dei migranti: cos’è il franco Cfa con cui Macron sfrutta l’Africa
La prima a denunciare il neocolonialismo valutario della Francia – “neo” ma antico per storia e origini – era stata da tempo la leader di Fratelli d’Itala, Giorgia Meloni, che ieri ha ricordato a Di Maio e alla sinistra italiana come “svegliarsi” oggi su un tema così delicato è strumentale e non cancella l’immobilismo del passato. Al centro del ragionamento, il franco Cfa, da ieri protagonista in tvm prima sventolato da Fazio per mano di Alessandro Di Battista poi dalla stessa Giorgia Meloni sulla Sette, fino ai video di Luigi Di Maio che lo ha evocato tra la folla. Il franco CFA (la valuta utilizzata in 14 colonie francesi dell’Africa) è diventata in poche ore la moneta delle polemiche, complici la leader di Fratelli d’Italia e i due esponenti di spicco del Movimento Cinque Stelle che l’hanno chiamata in causa puntando il dito contro il presidente francese Emmanuel Macron. Ma cos’è? Di che si tratta?
Francia-Italia, lo scontro vero è sui campi petroliferi in Libia: Haftar, uomo di Parigi, punta ad accerchiare l'”italiano” Al Sarraj
Il 16 gennaio il generale della Cirenaica ha lanciato un'offensiva nella regione meridionale del Fezzan. E il 7 febbraio, poche ore prima che il Viminale puntasse il dito contro la polizia francese e l'Eliseo reagisse, il suo esercito aveva annunciato la presa dell'impianto di Al Sharara, il più grande del Paese con una capacità di 315mila barili al giorno, un terzo della produzione totale, finora controllato dal governo appoggiato da Roma. L’endorsement e le foto con i gilet gialli, le scaramucce sui gendarmi che rallentano i treni al confine, le accuse sul franco Cfa, le reciproche accuse sulla gestione dei migranti. Sono solo la superficie. Si consuma nel sud della Libia il vero scontro tra l’Italia e la Francia. L’uomo di Parigi nello scacchiere libico, Khalifa Haftar, il 16 gennaio ha lanciato un’offensiva nell’estesa regione meridionale del Fezzan.
Così la Francia ha scatenato una guerra per scalzarci dalla Libia: il convegno senza tabù di FdI
«La domanda che una persona normale, che non ha pregiudizi ideologici, si deve fare è: pensiamo che a portare all’indebolimento della presenza italiana in Libia – oltre che allo scenario difficile che conosciamo – e al rafforzamento di quella francese siano state una serie di circostanze fortuite?». Intervenendo al convegno organizzato da FdI e dalla Fondazione FareFuturo su “Francia vs Italia: addio Libia?”, Giorgia Meloni ha inquadrato l’approfondimento offerto dagli altri relatori dando la lettura politica di quello che è avvenuto dopo l’attacco francese a Tripoli. E ha ribadito che, no, non è stato un caso. Che «una persona dotata di senno capisce che era frutto di un preciso disegno: il governo francese, approfittando di un governo italiano indebolito dagli attacchi finanziari, ha deciso di scatenare una guerra per affermare il suo predominio in Nord Africa».
Meloni torna alla carica: "Subito il blocco navale e affondiamo la Sea Watch"
Il leader di Fratelli d'Italia contro la decisione del gip di Agrigento di liberare la comandante della Sea Watch 3 Carola Rackete. Giorgia Meloni continua a spingere uno dei suoi cavalli di battaglia: un blocco navale, immediato. Ma oltre all'azione militare per impedire l'accesso e l'uscita delle imbarcazioni trasportanti migranti da certi porti, il leader di Fratelli d'Italia torna alla carica, con rinnovata forza contro le Ong e, in particolare, contro la Sea Watch 3. Come? Chiedendo che la nave dell'organizzazione governativa venga, almeno, affondata o demolita.
Italia non è campo campo profughi Ue
L'Italia "non è più il campo profughi di Bruxelles, Parigi, Berlino. E non è più disposta ad accogliere tutti gli immigrati in arrivo in Europa". Lo dice il vicepremier e ministro dell'Interno Matteo Salvini annunciando di aver inviato una lettera al collega francese Christophe Castaner nella quale ribadisce che Francia e Germania "non possono decidere le politiche migratorie ignorando le richieste dei paesi più esposti come noi e Malta". La lettera arriva alla vigilia della riunione convocata dal governo di Parigi, aperta a tutti i 28 paesi dell'Ue e alla quale parteciperà anche il commissario uscente alle migrazioni Dimitri Avramopoulos, per tentare di trovare una soluzione alla questione degli sbarchi. Un incontro al quale Salvini ha fatto già sapere che non avrebbe partecipato, inviando dei tecnici del Viminale. "Intendiamo farci rispettare - aggiunge il ministro dell'Interno - L'ho spiegato a Helsinki e ora l'ho messo nero su bianco al mio omologo francese Castaner. L'Italia ha rialzato la testa".
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